Sabato, 27 Aprile 2024

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Tra palazzi del ’500, vicoli medievali e antichi monasteri

Città di Castello. La crisi infinita del centro storico. Inchiesta parte terza. San Giacomo.

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Ci inoltriamo, per la terza tappa del nostro viaggio, nel rione storico di San Giacomo. Entriamo da nord, da porta San Giacomo, e percorriamo l’importante asse viario di via XI settembre.

All’inizio possiamo ammirare il Pomerio San Girolamo, che nella parte sinistra è ancora intatto, come lo potevano vedere i pellegrini che in epoche lontane entravano in città dopo aver percorso antiche strade.

Oggi, purtroppo, via XI Settembre si è spogliata di tante attività commerciali: persistono i bar, la storica tabaccheria, il fotografo, ma non ci sono più gli alimentari, spariti gli artigiani del ferro, i ceramisti e i falegnami. Rimane un monumento, il sig. Tonino Giogli, le sue biciclette e tanti pezzi di storia appesi alle pareti del suo negozio.

Via XI settembre funge anche da parcheggio ed è l’unica strada che può essere percorsa interamente dalle macchine; per questo la pavimentazione soffre di un degrado dovuto al tempo e al traffico, che il materiale usato non riesce a sostenere.

Abbiamo parlato con diverse persone e quello che colpisce è l’affermazione, ripetuta da tutti, che a San Giacomo si sta bene, c’è accoglienza e ancora solidarietà.

L’identità dei “sangiacomini” non si è persa, si sente ancora molto l’appartenenza al rione (lo dimostra il successo del veglione).

Le famiglie storiche non sono scomparse, sono presenti nei vicoli e in via XI settembre e sono orgogliose del loro rione, anche se mettono in evidenza che i rapporti umani non sono più quelli di 30 anni fa, confermano che i cambiamenti sono evidenti: nonostante la presenza degli uffici comunali, la scuola di musica, la biblioteca, i monasteri, le scuole che garantiscono un certo via vai di persone, ma la vivacità di un tempo è ormai persa.

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Le “Piccole Ancelle del Sacro Cuore” sono un punto di riferimento del rione. Quando sono nate, agli inizi del novecento (1915), si sono occupate dell’accoglienza dei bambini di strada e degli orfani; il popolo di San Giacomo si preoccupava di sostenerli, e, quando nel 1990 ci fu un grosso incendio, i primi ad arrivare sono stati gli abitanti del rione, che hanno dato un aiuto straordinario. Oggi, come continua a raccontarci la direttrice della scuola, non è più così: «la scuola stessa viene definita “dei ricchi”, ma la nostra accoglienza non ha perso il suo spirito».

In questi tre anni abbiamo avuto a scuola 10 bambini ucraini che sono stati sostenuti da tutti.

Il rione parla di via XI settembre come di una “città della carità” per la presenza degli empori della Caritas, dell’Istituto Sacro Cuore e dei numerosi conventi.

Certo i conventi, presenza storica, sono sempre più vuoti ma preziosi per il turismo religioso che, come dicono in molti, potrebbe avere più sviluppo se fossero aperti più spesso alle visite con i loro chiostri, i giardini e beni artistici di pregio.

Altri abitanti ci fanno notare che nei vicoli sono scomparse tutte le attività commerciali e gli artigiani che li popolavano non ci sono più. Inoltre, confermano, alcuni palazzi che si affacciano in via XI settembre sono chiusi, come diverse case nei vicoli. Non è facile vivere al terzo piano senza ascensore e non avere la possibilità di parcheggio.

Un altro storico esercente mette in evidenza che mantenere aperti i negozi, soprattutto per chi deve pagare un affitto, è difficile.

Chi arriva in città, a parte le visite ai monasteri, non rimane a passeggiare in via XI settembre. I giovani non hanno motivo di frequentare questa zona, non ci sono attrattive per loro, a parte accedere alla biblioteca per motivi si studio. A Natale San Giacomo era ancora più triste: tutto era spento, non c'era neanche una addobbo luminoso, se non quello della Società Rionale. Però, precisa un altro interlocutore, ci sono tanti abitanti in questo quartiere, persone che lavorano e stanno bene. Durante il giorno non c’è quasi nessuno in giro; dopo le cinque la vita si rianima, ma non dentro il rione: gli aperitivi si vanno a fare fuori dalla cinta muraria, si va in palestra, a fare spesa, in genere nei supermercati, e le strade del rione rimangono silenziose.

Il quadro è chiaro; ritornano molte situazioni già viste e descritte. E come giustamente sottolineava Piergiorgio Lignani nel numero scorso, tutto ciò è il risultato di un processo di trasformazione sociale ed economica che non si vive solo nella nostra città. Lo conferma Confcommercio (sui giornali di questa settimana) denunciando la chiusura di 100.000 attività economiche nei centri storici di tutta Italia.

Nelle città medio-grandi, per i centri storici è allarme desertificazione. Eppure c’è già chi applica “La città in 15 minuti” come ha fatto per prima la Sindaca di Parigi, Anne Hidalgo (a voi la curiosità di scoprire come...), progetto che fa parte dell’agenda 2030 dell’Onu, e oggi attivato da molte città in tutto il mondo.

Si può cambiare. Certo non è facile, ma ci si può provare e molte città lo dimostrano (Cagliari, Ferrara, Milano, Roma, Londra, Bogotà). Lavorando tutti insieme, dai commercianti ai singoli cittadini, “portando idee” all’amministrazione comunale che deve ascoltare, si può sperare di rianimare un centro storico definito da tantissimi turisti “bellissimo!”. ◘

di Maria Grazia Goretti

A San Giacomo, come negli altri rioni, la questione della chiusura della attività commerciali è complessa. Il loro spostamento verso la periferia e i centri commerciali pare irreversibile, a Castello come altrove. Lì i commercianti trovano spazi, servizi e parcheggi adeguati e un flusso di clienti ben più corposo di quello semplicemente tifernate. Tuttavia nel centro urbano potrebbero insediarsi negozi di qualità, molto specializzati e raffinati, insieme a piccole realtà artigianali e culturali che vi troverebbero l’ambientazione più idonea e attraente. Non solo bar, pizzerie e ristoranti, quindi. Ma ci sono proprietari di locali utilizzabili che chiedono ancora cifre esorbitanti per l’affitto, quasi la metà superiori al valore reale di mercato. Inoltre bisognerebbe attrarre i commercianti disponibili ad investire con agevolazioni fiscali e incentivi; e soprattutto rendendo più fluida e agevole la comunicazione tra centro storico e periferia e curando con molta più attenzione la vivibilità del centro. Ma che volete pretendere: nella Città di Castello di Burri e della Bellucci, della Pinacoteca e di Santa Veronica, del tartufo e del fumetto, non c’è un bagno pubblico dove poter andare a fare la pipì…
A.T.

 


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