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Tracce d'esilio

Arezzo. Intervista ai curatori dello studio sul Campo Profughi di Laterina (1948-1963), uno dei 109 campi attivati nel secondo dopoguerra.

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Il volume sul CRP di Laterina testimonia lo svolgimento di un lavoro di ricerca imponente. Potete illustrarci come avete fatto a ricostruire la storia del Centro e di coloro che vi sono passati?

«La nostra ricerca è iniziata nel 2009 e si è avvalsa soprattutto dei documenti del ricco Fondo della Prefettura di Arezzo, documenti conservati presso l’archivio di Stato di Arezzo, che sono stati confrontati con le fonti orali già disponibili e con fonti orali inedite, da noi raccolte, nonché con la ricca bibliografia sull’argomento. L’intento è stato quello di ricostruire un contesto di italiani provenienti da varie aree geografiche (innanzitutto dalla Venezia Giulia, ma anche dall’Africa orientale e settentrionale e da altri Stati europei) che per cause diverse avevano perso tutto, casa, terra, lavoro, anche affetti familiari. Abbiamo cercato di rimettere insieme i segmenti, le “tracce” (da qui il titolo) di quei protagonisti contenute negli archivi, nelle testimonianze indirette e memorie private. Sono stati visitati, inoltre, siti web di istituti storici e associazioni che raccolgono interviste e materiali autobiografici, quest’ultimi rivelatisi di grande importanza per i profughi provenienti dalla Libia».

Il Campo di Laterina è uno dei luoghi simbolo della tragedia dei profughi istriano-giuliano-dalmati. Quali testimonianze avete raccolto?

«Alla stregua del Campo di Fossoli o della Risiera di San Sabba, il Campo di Laterina fu luogo di prigionia e violenza, ma anche luogo in cui si manifestò l’eredità diretta del coinvolgimento dell’Italia nel secondo conflitto mondiale. Subì, infatti, successivi riadattamenti nel corso degli anni '40 in relazione alle alterne vicende belliche. Fu luogo di detenzione per prigionieri inglesi, catturati nell’Africa settentrionale a partire dal 1941, anno della sua edificazione, divenne poi Campo di prigionia tedesco per italiani renitenti alla leva o militari sbandati dopo l’8 settembre '43 e poi spazio di reclusione per prigionieri fascisti e tedeschi dopo la liberazione. Infine, fu riadattato come centro di accoglienza per profughi provenienti dai territori perduti della Venezia Giulia e dalle ex colonie. Questo dall’agosto del 1948, quando l’afflusso degli esuli istriano-giuliano-dalmati divenne più imponente, in seguito all’entrata in vigore del Trattato di pace di Parigi».

E la permanenza, quanto durò?

tracce d esilio altrapagina mese novembre 2021 2«La permanenza nei Campi avrebbe dovuto essere breve, in realtà molte famiglie o singoli rimasero a Laterina per anni, alcuni anche dieci anni. Contrariamente ai presupposti, il ricovero nel Campo contribuì a ritardare l’integrazione sociale dei profughi. Nonostante le diverse forme di intervento assistenziale pubblico, privato e anche internazionale, le loro condizioni economiche erano assai precarie, se non di “miseria nera” durante i 15 anni di apertura del Centro. Il sussidio che ricevevano dallo Stato era ai limiti della sussistenza; gli ambienti abitativi (le baracche) erano freddi, malsani, privi di adeguate misure igieniche, di intimità. In una baracca potevano vivere fino a 120 persone nei periodi di maggior afflusso. La promiscuità e la mancanza di lavoro aggiungevano dolore alla delusione di chi aveva dovuto abbandonare la propria casa e la propria terra».

Il numero dei profughi ospitati a Laterina è piuttosto alto. Quale andamento nel tempo ha avuto l’arrivo dei profughi? E da dove provenivano?

«Nella prima fase dal 1948 al 1960 furono quasi 5.000 gli assistiti. Erano nella grande maggioranza giuliano-dalmati e, in misura assai minore, rimpatriati dalle colonie africane. Tra questi ultimi soprattutto ex coloni italiani dalla Libia. Nella fase dal 1960 al 1963 le baracche furono abitate da un numero altrettanto consistente di profughi di origine italiana espulsi prevalentemente dalla Tunisia, ma anche dall’Egitto e persino dal Congo.

tracce d esilio altrapagina mese novembre 2021 3I giuliano-dalmati raggiunsero la quota maggiore dopo le condizioni imposte dal Trattato di Pace e successivamente dal Memorandum di Londra del 1954. Il picco di profughi dalla Libia si ebbe nel 1956 e quello dei profughi dalla Tunisia dopo il 1960. Entrambi come diretta conseguenza del processo di decolonizzazione e delle misure adottate dai nuovi organismi statali sorti in quei territori».

Come fu stabilizzata la loro situazione?

«Nel Campo si trovarono a convivere esperienze molto diverse, persone accomunate dall’esigenza di ridefinire i contorni della propria identità, individuale e nazionale. I profughi dopo un iniziale spaesamento e isolamento dal resto della comunità, dettero vita a un “paese” speculare rispetto al nucleo storico di Laterina, con i propri “luoghi” di riferimento: la scuola, l’asilo, l’infermeria, lo spaccio, la chiesa, la sala da ballo… Il rapporto con i laterinesi fu ambivalente: in prevalenza di sospetto, ma anche di comprensione e solidarietà».

Ha suscitato grande interesse la ricostruzione della vita del Campo e l’attenzione che avete dedicato ai rimpatri degli italiani dall’Africa e la diaspora ebraica libica. Quale destino ebbero?

«La prima ondata di profughi libici risale a metà degli anni ’50, quando si intensificarono le azioni di violenza e rappresaglia da parte degli elementi più estremisti della popolazione locale. Molti coloni italiani che avevano aderito con entusiasmo alla campagna di colonizzazione fascista di Balbo negli anni '30 abbandonarono spontaneamente casa e terreni. Il loro reinserimento nella realtà nazionale si sviluppò avviandoli alle pratiche agricole su cui si erano specializzati. Il secondo flusso risale invece all’esodo degli anni '70 sulla scia delle nuove misure restrittive adottate dal colonnello Gheddafi una volta preso il potere, e in questo caso a partire furono italiani residenti nei centri urbani, quindi commercianti, impiegati, piccoli imprenditori. Un discorso a sé riguarda la comunità ebraica, che subì due pogrom nel 1945 e nel 1948, in seguito ai quali si calcola che già 30.000 ebrei emigrarono. Anche se la storia degli ebrei di Libia non ha coinvolto direttamente il Campo di Laterina, ci è parso fondamentale ricostruire almeno le tracce di vicende ancora poco note».

Rimangono i profughi tunisini.

tracce d esilio altrapagina mese novembre 2021 4«L’insediamento degli italiani in Tunisia risaliva ad almeno due, tre se non quattro generazioni precedenti. Non erano colonizzatori, ma neanche assimilabili alle popolazioni locali. Erano i “piccoli bianchi” per contrasto con i “grandi bianchi” colonizzatori francesi, ma in quanto tali espulsi dalla volontà delle nuove istituzioni di procedere alla “tunisificazione” della società. Erano contadini, commercianti, proprietari terrieri, operai di etnia italiana, ma di cultura prevalentemente francese per aver frequentato le scuole francesi. Molti, dopo Laterina, si fermarono in Italia, altri si recarono in Francia o oltreoceano. Questi si sentivano un po’ francesi, un po’ italiani, un po’ tunisini».

Quale messaggio invia la vostra esperienza alla scuola, agli studenti e ai giovani che studiano la Storia del nostro Paese?

«La contestualizzazione dei fenomeni storici è sempre importante, lo è in particolare per la Storia del nostro confine orientale, per la quale spesso si assiste a un suo uso politico. Riteniamo fondamentale considerare gli eventi nella loro complessità e globalità, scevri da schemi politici precostituiti. Apriamo dunque gli orizzonti verso prospettive sempre più ampie, che ci aiutino a riflettere e a tentare di comprendere la complessità e la bellezza del presente guardando alle radici che ci accomunano». ◘

Di Matteo Martelli


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