Se c’è un settore che non conosce crisi è proprio la vendita e l’esportazione di armi, di cui l’Italia è produttrice, a dispetto dei proclami pacifisti e della nostra Costituzione che impedisce di vendere armi a paesi in guerra. Per aggirare l’ostacolo servono delle triangolazioni con paesi terzi che si prestano al gioco perché i mercanti di morte non hanno scrupoli.
La rincorsa al riarmo coinvolge non solo i grandi produttori, come Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Gran Bretagna, che hanno firmato un Trattato di non proliferazione nucleare, ma anche paesi che non l’hanno siglato, come India, Pakistan, Corea del Nord e Israele. Le quindicimila testate nucleari stipate nei vari arsenali potrebbero distruggere il pianeta diverse volte e con vettori sempre più precisi, con una potenza di fuoco inimmaginabile. È una prospettiva inquietante che permetterebbe con un solo colpo di scatenare una guerra per errore, come è accaduto con il Boeing 176 ucraino scambiato per un missile statunitense.
La storia dell’aeronautica è costellata di episodi in cui si è sfiorata la catastrofe nucleare. È stata la bravura e la lucidità di un comandante russo a capire che si trattava di un errore tecnologico nel 1983. Le macchine non sono perfette, si rompono e fanno disastri. Affidarsi a un drone per schiacciare un nemico non è solo un gesto di crudeltà disumana, ma è anche credere che la tecnologia possa risolvere i problemi con cui ci confrontiamo.
L’ultima trovata nel campo degli armamenti è la guerra informatica, in grado di mandare in tilt i sistemi di comunicazione dell’avversario. È il primo passo verso quell’intelligenza artificiale che permetterebbe alle macchine di combattere tra di loro senza perdita di vite umane.
È un piatto ricco in cui l’industria si è buttata a capofitto; escogita armi “leggere” mentre si esercita in guerre pesanti.
Achille Rossi