Lunedì, 14 Ottobre 2024

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L'algoritmo della guerra nucleare

algoritmo della guerra nucleare2Dopo la caduta del muro di Berlino la pace come la immaginavamo è dura­ta pochi anni. Già a metà degli anni ’90 del secolo scorso è ripresa la corsa al ri­armo e nell’arco degli ultimi 15 anni la spesa per armamenti ha cominciato a crescere in modo esponenziale. Nel 2018 sono stati spesi 1780 miliardi di dollari per la difesa» afferma Maurizio Si­moncelli, vicepresidente di Isti­tuto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo - IRIAD. «E il quadro internazionale è preoc­cupante per l’aumento del com­mercio di armi e, in particolare, per quello che sta avvenendo nel campo delle armi nucleari e del­le armi di distruzione di massa».

 

Quali sono i principali sistemi di armamenti di distruzione di massa a cui si riferisce?
«Le armi di distruzione di mas­sa sono di tre tipi: armi nucleari, armi chimiche e armi nucleari chimiche e biologiche (o batte­riologiche). Mentre per le armi chimiche e le armi biologiche si è arrivati a due accordi inter­nazionali che ne vietano l’uso (è stato richiamato il conflitto si­riano come teatro di un possibi­le uso di armi chimiche, ma non si è capito bene chi le abbia usa­te e che tipo di armi siano state usate), il problema principale riguarda le armi nucleari che ri­mangono non solo in dotazione ai diversi Paesi, ma vengono an­che ritenute utilizzabili nel caso di un conflitto».

Che cosa è cambiato rispetto al confronto tra Est e Ovest in piena Guerra Fredda nella cor­sa agli armamenti nucleari?
«Durante quel periodo si valuta che ci fossero circa 70mila te­state nucleari nel mondo, oggi siamo riusciti a ridurle attra­verso una serie di accordi, in particolare attraverso il Trattato di non Proliferazione Nuclea­re, a 15mila testate nucleari, di cui 4000 operative, ossia pronte all’uso. Si tratta di armi di nuova generazione, con vettori sempre più precisi, in grado di colpire a lunga distanza in modo mul­tiplo e contemporaneo diversi obiettivi, dotate di una potenza di fuoco inimmaginabile rispetto al periodo della Guerra Fredda e potrebbero distruggere il pianeta più volte».

Durante la Guerra Fredda si valuta che ci fossero circa 70mila testate nucleari nel mondo,
oggi sono state ridotte a 15mila, di cui 4000 operative,
ossia pronte all’uso e potrebbero distruggere il pianeta più volte

 

Nonostante il club di Paesi dotati di armi nucleari stia aumentando, alcuni possono decidere chi debba o non deb­ba detenere l’arma nucleare: Usa, Russia e Cina.
image 105«Questo fenomeno è molto in­quietante. Mentre i Paesi firma­tari del Trattato di non Prolife­razione Nucleare (Usa, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina) si sono impegnati in forza di quell’accordo a ridurre e addirit­tura a eliminare in prospettiva le armi nucleari (il trattato risa­le al 1968 e quindi sono passati molti decenni da quel momen­to), molte di queste armi sono ancora negli arsenali di questi Paesi e nelle dottrine strategiche che ipotizzano il loro uso. Nono­stante la presenza del Trattato, altri Paesi, che non lo hanno fir­mato, si sono dotati di armi nu­cleari: l’India, il Pakistan, la Co­rea del Nord. Per alcuni di essi si dice che non devono avere que­ste armi, è il caso della Corea del Nord, mentre si dà per scontato che Israele, Pakistan e India pos­sano avere armi nucleari».

 

L’Iran come si colloca in que­sto scenario internazionale?
«Si tratta di un caso a parte, perché l’Iran non ha mai avuto armi nucleari e si era impegnato nell’ambito di un accordo inter­nazionale con le Nazioni Unite, con i Paesi europei, con gli Stati Uniti e con l’Agenzia interna­zionale per l’Energia Atomica (AIEA) a produrre materiale fis­sile solo per scopi civili. E secon­do questa agenzia l’Iran aveva fi­nora rispettato gli impegni presi in questo campo. Per cui accu­sarlo di voler realizzare armi nucleari è sembrato soprattutto un pretesto per farlo rientra­re nei “Paesi canaglia” e quin­di da combattere. Solo dopo la denuncia dell’accordo da parte degli Usa e il silenzio dei Paesi europei, l’Iran ha deciso di non rispettare più tale accordo».

Che fine hanno fatto le armi nucleari della Guerra Fredda? È possibile che alimentino un mercato clandestino, cosiddet­to sporco, e che possano finire in mano ai terroristi?
«Gli esperti ritengono che sia molto difficile. È più una ipotesi teorica che reale. A volte è stata rappresentata a livello cinemato­grafico, ma non ha concrete pos­sibilità di realizzazione. I pericoli concreti invece vengono da una possibile escalation da una guer­ra convenzionale a una guerra nucleare tra due Paesi che hanno problemi tra di loro. Caso esem­plare è la vicenda indo-pakistana a proposito del Kashmir».

Ormai i sistemi informatici si stanno diffondendo sempre di più e
quindi il rischio di una intrusione nella rete di un sistema missilistico è possibile.
E se partisse anche un singolo colpo, potrebbe scatenare la guerra

 

Quali rischi rappresentano gli armamenti attuali rispetto al passato? Che cosa è cambiato?
«I rischi maggiori sono di due tipi. Uno è rappresentato dal­la possibile intrusione da parte di hacker nella rete informati­ca. Ormai i sistemi image 107informatici si stanno diffondendo sempre di più e quindi il rischio di una intrusione nella rete di un siste­ma missilistico è possibile. E se partisse anche un singolo colpo, potrebbe scatenare la guerra. L’altro rischio è l’errore uma­no. La fallibilità è nella natura umana e basta un piccolo errore per mettere a repentaglio la vita del genere umano. Il giornali­sta investigativo Eric Schlosser, nel suo ottimo libro Comando e controllo ha fatto la cronaca di tutta una serie di incidenti ca­pitati agli armamenti nucleari; in particolare racconta l’inci­dente accaduto in Arkansas nel 1980. Durante la manutenzione di un silos, una pinza cade nel serbatoio del missile e provoca la fuoruscita di carburante che prende fuoco… per fortuna la testata non era innescata. Più conosciuto è il caso accaduto in Unione Sovietica nel 1983. Il comandante Petrov, addetto al controllo, rileva nei monitor dei computer un attacco di cin­que missili balistici, ma capisce subito che si tratta di un errore tecnologico e non reagisce. Una scelta che ha sventato una guer­ra nucleare presa nell’arco di 15 minuti, il tempo necessario per decidere il contrattacco. Poco più di un anno fa c’è stato un al­larme alle Hawaii, uno stato di allerta lanciato alla popolazione e rientrato dopo 37 minuti. Noi uomini sbagliamo, le macchine si rompono e questo potrebbe es­sere forse uno degli elementi da tenere presente al di là degli sce­nari fantascientifici tipo spectre o altro».

In questo scenario ci sono an­che le armi di nuova genera­zione ad alto contenuto tecno­logico.
«Molto sviluppata è la tecnolo­gia dei droni, aeromobili che possono essere pilotati a miglia­ia di chilometri di distanza da equipaggi seduti tranquillamen­te nella loro cabina di pilotaggio a terra, grazie a sistemi satelli­tari e quant’altro. Dalla Sicilia siamo in grado di pilotare droni che possono operare in Africa o in Medio Oriente e così via».

Nella applicazione della tecno­logia ai sistemi d’arma qual è la frontiera più avanzata?
«Un enorme sviluppo deriva dal­la applicazione delle intelligenze artificiali al settore militare. Si parla dei killer robot, cioè di siste­mi d’arma autonomi che vengo­no programmati per individuare da soli degli obiettivi da colpire. Sistemi complessi programma­ti attraverso degli algoritmi che vengono posizionati a difesa di punti sensibili o strategici: una base militare, una nave o altri presidi, e quando si avvicina un elemento che l’algoritmo del si­stema indica come nemico, vie­ne individuato e colpito. Ma per fare un esempio molto semplice, una persona che si avvicina a un territorio munito di questo sistema può essere un nemico , un terrorista, ma potrebbe anche essere un ubriaco, una persona che ha semplicemente smarrito la strada. Il sistema non è in gra­do di capire se la situazione è di effettivo pericolo».

Se il sistema missilistico spara e sbaglia, a chi attribuire la colpa?
Al generale che ha adottato quel sistema d’arma? Alla fabbrica che l’ha installato?
O all’algoritmo che ha fallito?
Una catena di responsabilità difficile da ricostruire

 

La guerra per errore così di­venta ancora più probabile?
«La realizzazione di questi siste­mi d’arma può essere un passo azzardato. Se il sistema missili­stico spara e sbaglia, a chi attri­buire la colpa? Al generale che ha adottato quel sistema d’arma? Alla fabbrica che l’ha installato? O all’algoritmo che ha fallito? Una catena di responsabilità dif­ficile da ricostruire. La mente umana riesce a capire molto di più di quello di cui oggi è capace l’intelligenza artificiale».

Il passaggio a sistemi d’arma totalmente autonomi compli­ca ancora di più il ricorso alla guerra?
«Da un lato potrebbe diventa­re più facile la guerra per erro­re, dall’altro potrebbe favorire la guerra tout court, perché si combatterebbero delle macchine tra di loro, senza perdita di vite umane civili e di soldati, almeno per il paese che usa questo siste­ma di armi. Putin ha affermato che chi riuscirà ad arrivare per primo a una evoluzione signifi­cativa dell’intelligenza artificiale, sarà il padrone del mondo. Di questo si sta discutendo a Gine­vra nell’ambito della Conferenza sui sistemi d’arma non conven­zionali. Non tutti sono concordi sul loro uso. Dietro ovviamente c’è l’industria che preme perché si tratta di un settore di sviluppo assai promettente. Come Archi­vio Disarmo abbiano fatto alcu­ne ricerche e abbiamo visto che già ci sono sistemi di questo ge­nere in elaborazione, alcuni atti­vati e anche se la loro autonomia non è al 100%, ci stiamo avvici­nando. Parliamo ovviamente de­gli Stati Uniti, della Russia, del­la Cina, della Francia, e tutti chi più chi meno sono impegnati in questo settore».

I PUNTI CHIAVE DELLE SPESE PER LA DIFESA

  • Il Budget del Ministero Difesa sale nel 2018 a 21 miliardi (1,2% PIL), +3% in un anno, +1% nell’ultima legislatura, +18% nelle ultime tre legislature
  • La spesa militare complessiva (secondo la metodologia Mil€x) sale nel 2018 a 25 miliardi (1,4% PIL), +4% in un anno, +4% nell’ultima legislatura, +26% nelle ultime tre legislature
  • In aumento le spese per armamenti: 5,7 miliardi nel 2018, +7% in un anno, +88% nelle ultime tre legislature
  • Vengono analizzati tutti i programmi di acquisizione armamenti e i loro co­sti (provvisori) per il 2018. Aumenta il contributo proveniente dal MISE (3,5 miliardi nel 2018, +5% in un anno, +30% nell’ultima legislatura, +115% nelle ultime tre legislature) e il costo dei mutui correlati (427 milioni nel 2018)
  • Analizzato il “tesoretto” di circa 13 miliardi a vantaggio della Difesa (2/3 per nuovi armamenti) nascosto nel “Fondo Investimenti” da 46 miliardi de­ciso a fine 2016, rifinanziato con altri 38 miliardi
  • Le spese 2018 per l’adesione dell’Italia alla NATO assommano a 192 mi­lioni mentre i costi per contributi a presenza basi USA sono 520 milioni. i Costi relativi alla presenza di testate nucleari USA sono di almeno 20 milioni annui con stime elevabili a 100 milioni
  • Rischio “fuori servizio” immediati per i primi 8 F-35 italiani già acquisiti (e costati 150 milioni l’uno, almeno 50 miliardi il costo per 30 anni di vita ope­rativa); la Corte dei Conti denuncia ricavi e posti di lavoro dimezzati rispetto alle ottimistiche previsioni del Governo
  • I costi nascosti delle missioni (Mission Need Urgent Requirement) e i costi complessivi della missione afgana (8 miliardi) e irachena (3 miliardi). Il para­dosso della “necessità” del Fondo Missioni MEF per mantenere operatività di base
  • Spese 2018 per la base Gibuti (intitolata a eroe di guerra fascista): circa 43milioni
  • Lo “scivolo d’oro” dimenticato per gli alti ufficiali e gli altri privilegi pensionistici e retributivi del comparto militare
  • Nonostante le promesse, ancora 200 cappellani militari con gradi da ufficiali rimangono a carico dello Stato (15 milioni l’anno tra stipendi e pensioni)

di Maurizio Simoncelli. Vicepresidente di Archivio e Disarmo (IRIAD)


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