Dopo la caduta del muro di Berlino la pace come la immaginavamo è durata pochi anni. Già a metà degli anni ’90 del secolo scorso è ripresa la corsa al riarmo e nell’arco degli ultimi 15 anni la spesa per armamenti ha cominciato a crescere in modo esponenziale. Nel 2018 sono stati spesi 1780 miliardi di dollari per la difesa» afferma Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo - IRIAD. «E il quadro internazionale è preoccupante per l’aumento del commercio di armi e, in particolare, per quello che sta avvenendo nel campo delle armi nucleari e delle armi di distruzione di massa».
Quali sono i principali sistemi di armamenti di distruzione di massa a cui si riferisce?
«Le armi di distruzione di massa sono di tre tipi: armi nucleari, armi chimiche e armi nucleari chimiche e biologiche (o batteriologiche). Mentre per le armi chimiche e le armi biologiche si è arrivati a due accordi internazionali che ne vietano l’uso (è stato richiamato il conflitto siriano come teatro di un possibile uso di armi chimiche, ma non si è capito bene chi le abbia usate e che tipo di armi siano state usate), il problema principale riguarda le armi nucleari che rimangono non solo in dotazione ai diversi Paesi, ma vengono anche ritenute utilizzabili nel caso di un conflitto».
Che cosa è cambiato rispetto al confronto tra Est e Ovest in piena Guerra Fredda nella corsa agli armamenti nucleari?
«Durante quel periodo si valuta che ci fossero circa 70mila testate nucleari nel mondo, oggi siamo riusciti a ridurle attraverso una serie di accordi, in particolare attraverso il Trattato di non Proliferazione Nucleare, a 15mila testate nucleari, di cui 4000 operative, ossia pronte all’uso. Si tratta di armi di nuova generazione, con vettori sempre più precisi, in grado di colpire a lunga distanza in modo multiplo e contemporaneo diversi obiettivi, dotate di una potenza di fuoco inimmaginabile rispetto al periodo della Guerra Fredda e potrebbero distruggere il pianeta più volte».
Durante la Guerra Fredda si valuta che ci fossero circa 70mila testate nucleari nel mondo, |
Nonostante il club di Paesi dotati di armi nucleari stia aumentando, alcuni possono decidere chi debba o non debba detenere l’arma nucleare: Usa, Russia e Cina.
«Questo fenomeno è molto inquietante. Mentre i Paesi firmatari del Trattato di non Proliferazione Nucleare (Usa, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina) si sono impegnati in forza di quell’accordo a ridurre e addirittura a eliminare in prospettiva le armi nucleari (il trattato risale al 1968 e quindi sono passati molti decenni da quel momento), molte di queste armi sono ancora negli arsenali di questi Paesi e nelle dottrine strategiche che ipotizzano il loro uso. Nonostante la presenza del Trattato, altri Paesi, che non lo hanno firmato, si sono dotati di armi nucleari: l’India, il Pakistan, la Corea del Nord. Per alcuni di essi si dice che non devono avere queste armi, è il caso della Corea del Nord, mentre si dà per scontato che Israele, Pakistan e India possano avere armi nucleari».
L’Iran come si colloca in questo scenario internazionale?
«Si tratta di un caso a parte, perché l’Iran non ha mai avuto armi nucleari e si era impegnato nell’ambito di un accordo internazionale con le Nazioni Unite, con i Paesi europei, con gli Stati Uniti e con l’Agenzia internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) a produrre materiale fissile solo per scopi civili. E secondo questa agenzia l’Iran aveva finora rispettato gli impegni presi in questo campo. Per cui accusarlo di voler realizzare armi nucleari è sembrato soprattutto un pretesto per farlo rientrare nei “Paesi canaglia” e quindi da combattere. Solo dopo la denuncia dell’accordo da parte degli Usa e il silenzio dei Paesi europei, l’Iran ha deciso di non rispettare più tale accordo».
Che fine hanno fatto le armi nucleari della Guerra Fredda? È possibile che alimentino un mercato clandestino, cosiddetto sporco, e che possano finire in mano ai terroristi?
«Gli esperti ritengono che sia molto difficile. È più una ipotesi teorica che reale. A volte è stata rappresentata a livello cinematografico, ma non ha concrete possibilità di realizzazione. I pericoli concreti invece vengono da una possibile escalation da una guerra convenzionale a una guerra nucleare tra due Paesi che hanno problemi tra di loro. Caso esemplare è la vicenda indo-pakistana a proposito del Kashmir».
Ormai i sistemi informatici si stanno diffondendo sempre di più e |
Quali rischi rappresentano gli armamenti attuali rispetto al passato? Che cosa è cambiato?
«I rischi maggiori sono di due tipi. Uno è rappresentato dalla possibile intrusione da parte di hacker nella rete informatica. Ormai i sistemi informatici si stanno diffondendo sempre di più e quindi il rischio di una intrusione nella rete di un sistema missilistico è possibile. E se partisse anche un singolo colpo, potrebbe scatenare la guerra. L’altro rischio è l’errore umano. La fallibilità è nella natura umana e basta un piccolo errore per mettere a repentaglio la vita del genere umano. Il giornalista investigativo Eric Schlosser, nel suo ottimo libro Comando e controllo ha fatto la cronaca di tutta una serie di incidenti capitati agli armamenti nucleari; in particolare racconta l’incidente accaduto in Arkansas nel 1980. Durante la manutenzione di un silos, una pinza cade nel serbatoio del missile e provoca la fuoruscita di carburante che prende fuoco… per fortuna la testata non era innescata. Più conosciuto è il caso accaduto in Unione Sovietica nel 1983. Il comandante Petrov, addetto al controllo, rileva nei monitor dei computer un attacco di cinque missili balistici, ma capisce subito che si tratta di un errore tecnologico e non reagisce. Una scelta che ha sventato una guerra nucleare presa nell’arco di 15 minuti, il tempo necessario per decidere il contrattacco. Poco più di un anno fa c’è stato un allarme alle Hawaii, uno stato di allerta lanciato alla popolazione e rientrato dopo 37 minuti. Noi uomini sbagliamo, le macchine si rompono e questo potrebbe essere forse uno degli elementi da tenere presente al di là degli scenari fantascientifici tipo spectre o altro».
In questo scenario ci sono anche le armi di nuova generazione ad alto contenuto tecnologico.
«Molto sviluppata è la tecnologia dei droni, aeromobili che possono essere pilotati a migliaia di chilometri di distanza da equipaggi seduti tranquillamente nella loro cabina di pilotaggio a terra, grazie a sistemi satellitari e quant’altro. Dalla Sicilia siamo in grado di pilotare droni che possono operare in Africa o in Medio Oriente e così via».
Nella applicazione della tecnologia ai sistemi d’arma qual è la frontiera più avanzata?
«Un enorme sviluppo deriva dalla applicazione delle intelligenze artificiali al settore militare. Si parla dei killer robot, cioè di sistemi d’arma autonomi che vengono programmati per individuare da soli degli obiettivi da colpire. Sistemi complessi programmati attraverso degli algoritmi che vengono posizionati a difesa di punti sensibili o strategici: una base militare, una nave o altri presidi, e quando si avvicina un elemento che l’algoritmo del sistema indica come nemico, viene individuato e colpito. Ma per fare un esempio molto semplice, una persona che si avvicina a un territorio munito di questo sistema può essere un nemico , un terrorista, ma potrebbe anche essere un ubriaco, una persona che ha semplicemente smarrito la strada. Il sistema non è in grado di capire se la situazione è di effettivo pericolo».
Se il sistema missilistico spara e sbaglia, a chi attribuire la colpa? |
La guerra per errore così diventa ancora più probabile?
«La realizzazione di questi sistemi d’arma può essere un passo azzardato. Se il sistema missilistico spara e sbaglia, a chi attribuire la colpa? Al generale che ha adottato quel sistema d’arma? Alla fabbrica che l’ha installato? O all’algoritmo che ha fallito? Una catena di responsabilità difficile da ricostruire. La mente umana riesce a capire molto di più di quello di cui oggi è capace l’intelligenza artificiale».
Il passaggio a sistemi d’arma totalmente autonomi complica ancora di più il ricorso alla guerra?
«Da un lato potrebbe diventare più facile la guerra per errore, dall’altro potrebbe favorire la guerra tout court, perché si combatterebbero delle macchine tra di loro, senza perdita di vite umane civili e di soldati, almeno per il paese che usa questo sistema di armi. Putin ha affermato che chi riuscirà ad arrivare per primo a una evoluzione significativa dell’intelligenza artificiale, sarà il padrone del mondo. Di questo si sta discutendo a Ginevra nell’ambito della Conferenza sui sistemi d’arma non convenzionali. Non tutti sono concordi sul loro uso. Dietro ovviamente c’è l’industria che preme perché si tratta di un settore di sviluppo assai promettente. Come Archivio Disarmo abbiano fatto alcune ricerche e abbiamo visto che già ci sono sistemi di questo genere in elaborazione, alcuni attivati e anche se la loro autonomia non è al 100%, ci stiamo avvicinando. Parliamo ovviamente degli Stati Uniti, della Russia, della Cina, della Francia, e tutti chi più chi meno sono impegnati in questo settore».
I PUNTI CHIAVE DELLE SPESE PER LA DIFESA
- Il Budget del Ministero Difesa sale nel 2018 a 21 miliardi (1,2% PIL), +3% in un anno, +1% nell’ultima legislatura, +18% nelle ultime tre legislature
- La spesa militare complessiva (secondo la metodologia Mil€x) sale nel 2018 a 25 miliardi (1,4% PIL), +4% in un anno, +4% nell’ultima legislatura, +26% nelle ultime tre legislature
- In aumento le spese per armamenti: 5,7 miliardi nel 2018, +7% in un anno, +88% nelle ultime tre legislature
- Vengono analizzati tutti i programmi di acquisizione armamenti e i loro costi (provvisori) per il 2018. Aumenta il contributo proveniente dal MISE (3,5 miliardi nel 2018, +5% in un anno, +30% nell’ultima legislatura, +115% nelle ultime tre legislature) e il costo dei mutui correlati (427 milioni nel 2018)
- Analizzato il “tesoretto” di circa 13 miliardi a vantaggio della Difesa (2/3 per nuovi armamenti) nascosto nel “Fondo Investimenti” da 46 miliardi deciso a fine 2016, rifinanziato con altri 38 miliardi
- Le spese 2018 per l’adesione dell’Italia alla NATO assommano a 192 milioni mentre i costi per contributi a presenza basi USA sono 520 milioni. i Costi relativi alla presenza di testate nucleari USA sono di almeno 20 milioni annui con stime elevabili a 100 milioni
- Rischio “fuori servizio” immediati per i primi 8 F-35 italiani già acquisiti (e costati 150 milioni l’uno, almeno 50 miliardi il costo per 30 anni di vita operativa); la Corte dei Conti denuncia ricavi e posti di lavoro dimezzati rispetto alle ottimistiche previsioni del Governo
- I costi nascosti delle missioni (Mission Need Urgent Requirement) e i costi complessivi della missione afgana (8 miliardi) e irachena (3 miliardi). Il paradosso della “necessità” del Fondo Missioni MEF per mantenere operatività di base
- Spese 2018 per la base Gibuti (intitolata a eroe di guerra fascista): circa 43milioni
- Lo “scivolo d’oro” dimenticato per gli alti ufficiali e gli altri privilegi pensionistici e retributivi del comparto militare
- Nonostante le promesse, ancora 200 cappellani militari con gradi da ufficiali rimangono a carico dello Stato (15 milioni l’anno tra stipendi e pensioni)
di Maurizio Simoncelli. Vicepresidente di Archivio e Disarmo (IRIAD)