L’attesa costruttiva della pace
DI Enrico Peyretti
L’Europa, mi sembra chiaro, non è nata soltanto dopo la seconda guerra mondiale, dal disgusto e ripudio delle dittature, dal risveglio civile dei popoli umiliati dai dittatori e usati come carne da cannone; non è nata soltanto dalla resistenza europea e da quelle nazionali al nazifascismo; né soltanto dal bisogno sano di federarsi dopo essersi autolesionati con tante guerre nazionali.
Queste energie civili, rianimate dalla reazione ai dolori e alle offese della guerra, hanno agito con la lotta partigiana armata, ma non solo armata. La lotta armata si è basata ed è stata sostenuta dalla nuova coscienza dei popoli ampiamente svegliatisi, anche per le sofferenze della guerra, dal sonno e dalla debolezza civile - la “servitù volontaria” - dell’obbedienza ai tiranni.
La resistenza civile nonviolenta è una realtà, insieme alla lotta armata, dell’antifascismo: basti citare i casi più noti, tra molti, come la Resistenza danese e la Rosa Bianca. Invito il lettore a vedere la bibliografia storica delle lotte nonviolente, pur incompleta, che ho raccolto nel mio blog.
I dati più recenti (cfr il volume ampio di Erica Chenoweth) mostrano che le lotte nonviolente, dal 1900 al 2019, hanno avuto successo nel 50% dei casi, a confronto del 26% delle lotte violente. Non c’è solo, nella forza umana nonviolenta, una superiorità morale, ma anche una maggiore efficacia storica effettiva. Non è la guerra che governa la storia, ma la coscienza di sé presente nell’umanità, quando è presente.
Valga, questa rapida osservazione, per sapere che l’Europa del nostro tempo, se ha coscienza nuova di sé, può vincere la nuova ondata di violenza bellica senza entrare nella trappola del gioco imitativo, senza partecipare essa stessa - come sembra di dovere orribilmente temere - al massimo crimine contro l’umanità, perché tale ogni guerra è.
Affrontare la guerra con la guerra è far vincere la guerra, è cadere succubi della sua logica e della disperata antropologia governata dalla guerra omicida, stragista. L’umanità è condannata a condannarsi da sé? Questa disperata metafisica è pure nell’anima machiavellica e hobbesiana e schmittiana europea, ed è nella rozza subumana pratica della violenza, ma è solo il lato nero della coscienza europea.
L’intelligenza indagatrice, interrogativa e operosa, della tradizione greca, cristiana, umanistica, è il cuore vero e vitale dell’Europa, anche se periodicamente dorme e si contraddice. L’umanesimo cristiano di Erasmo, l’illuminismo morale di Kant, sono stati un fondamento vitale della modernità, purtroppo temporaneamente sopraffatti dalle reciproche condanne di religioni armate, di nazionalismi sovrani e assoluti, fino al razzismo sterminatore; temporaneamente sopraffatti dalla europea violenza coloniale e predatrice e disumana su mezzo mondo. L’Europa ha tradito per secoli la coscienza in cui è nata, di bene umano e di tensione alla verità di vita. Ha contraddetto, ma non ha mai perduto del tutto questa coscienza critica e promotrice. La quale le ha pure permesso, nei più svegli, di ascoltare con rispetto e attenzione le altre civiltà umane, nel Pluralismo delle vie (Pico della Mirandola; Pier Cesare Bori) alla verità di vita. Quella coscienza umanistica europea ha sofferto e testimoniato nella persecuzione, sotto le dittature dei particolarismi che vivisezionano l’umanità, ma non è morta, non poteva morire, perché è la coscienza stessa della scintilla spirituale insufflata nelle narici di terra di Adamo.
Negli anni dal 1945, di risorgimento dall’abisso della seconda guerra mondiale, di Hiroshima, della Shoah disvelata, l’umanità ha saputo concepire l’Onu, il ripudio (più o meno chiaramente così nominato) della guerra, le costituzioni dettate dalle varie espressioni della filosofia umanistica. Poi non è stata del tutto fedele a questo giuramento: il sistema militar-industriale-capitalistico (già denunciato da Eisenhower nel 1961) ha continuato a regnare e a uccidere, in vari orrendi modi. L’ingiustizia delle madornali diseguaglianze della fame, del disprezzo, del silenzio, dell’espulsione dalle frontiere, ha continuato a regnare e a uccidere.
L’Europa ha la sua parte di colpa storica, ma forse ha possibilità di una coscienza (più chiara di altri continenti? Comunque è coscienza nostra) di che cosa è l’umano, in ognuno e in tutti, su tutta la terra. Sì, ma una coscienza che negli ultimi anni temiamo sia oscurata dalla sottomissione a convenienze economiche, a dipendenze tecnocratiche, a nuovi micronazionalismi, a paura della diversità umana (che invece è ricchezza umana), a povertà di riflessione, nel chiasso del mercato.
L’Europa per la quale votiamo il 9 giugno è in crisi di autocoscienza, di responsabilità verso il mondo, verso le altre grandi famiglie civili e spirituali. Si tratterà di non mandare solo dei funzionari interessati a gestire particolarismi sulla confusa piazza europea, ma di raccogliere con responsabilità le materne civiltà da cui veniamo: la sapienza greca e quella ebraica; la democrazia iniziata ad Atene, ma avviata da noi a cercare vero compimento; lo spirito profetico ebraico-cristiano, in dialogo con la saggezza islamica e la sapienza dell’Oriente; la sete di bellezza sofferta dagli artisti di tutti i tempi e linguaggi e latitudini; e soprattutto l’attesa costruttiva della pace giusta (non d’imperio, non di vittoria), generosa e coraggiosa, che dall’India di Gandhi come dal continente colorato di Martin Luther King, come dalla Russia di Tolstoj, è venuta a noi Europa come suggerimento e ispirazione, che ci fa speciali responsabili del mondo.
Ma la tragedia è ora che un piccolo misero spirito dell’Europa, come atrofizzato, pensa a competere in armi nella gara oscena degli imperi. Difficile e drammatico è il momento, in cui arriva l’appuntamento del voto. Forte il richiamo alle coscienze vive e sveglie: la pace, la soluzione dialogica e mediata dei naturali conflitti (che sono differenze e stimoli della vita, e le guerre ne strozzano la fecondità), la custodia insieme della terra di tutti, la difesa e affermazione della dignità di ogni persona umana e delle aggregazioni civili, tutti questi beni, e ciò che implicano e promettono, possono essere il criterio saggio delle nostre scelte di cittadini.