Derive e destino dell’Europa
Intervista a Riccardo Petrella, economista, scrittore, attivista
Un’Europa mercantile
Di Achille Rossi
A Riccardo Petrella, economista politico che ha lavorato con Jaques Delors alla Comunità europea, chiediamo cosa si è incrinato nella ostruzione europea.
È stato privilegiato il mercato, invece che l’istanza sociale e politica?
«Ci sono state delle rotture importanti, ma lo spirito fondamentale della Comunità Economica Europea fu lo spirito mercantile basato sul mercato. Si pensava che si potevano integrare popoli, economie, culture differenti partendo dagli interessi economici. È stata la teoria funzionalista che sembrava la maniera migliore per realizzare l’integrazione europea».
È stato il peccato originale che oggi che tutti condividono?
«Certamente. Non c’è stata una inversione di tendenza. I vari popoli sono riusciti a far rispettare sempre di più i mutamenti o le posizioni politiche europee in funzione del condizionamento mercantile. Il progetto iniziale di unire i popoli partendo dalla convergenza economica si è rivelato sbagliato».
Stiamo assistendo a una disaffezione totale della politica. I cittadini europei sono risucchiati da un sistema anonimo che non riescono a controllare. L’esito finale sarebbe l’indifferenza?
«Le nostre società, per quanto avanzate democraticamente, spesso sono fondate su oligarchie che non sono capaci né di cooperare né addirittura di fare opposizione. Per questo i cittadini europei sono invitati ad essere protagonisti dell’integrazione, ma in quanto consumatori. È sempre la corda economica che spinge i Paesi a entrare in Europa, non quella sociale e culturale».
Negli anni ’80 però l’Integrazione europea non era così conveniente. Perché?
«Sono stati proprio i cittadini a porsi il problema: quanto vale l’integrazione, quanto costa? “Quanto costa l’Europa”, affermò il capo del governo di allora».
Siamo stati educati non a essere cittadini ma portatori di interessi?
«In fondo siamo egoisti, l’Europa ci conviene. È un processo concreto e forte; al consumatore non interessa la politica, ma si limita alla creazione della costruzione europea dettata dall’utilità e ha spazzato via il concetto stesso di cittadinanza. Continua comunque ad appoggiare le iniziative dell’Unione Europea e della stabilità monetaria, anche se ciò costituisce l’elemento fondamentale della disintegrazione della stessa Europa come comunità»
Quando è stato realizzato il mercato unico?
«Nel 1992. Delors non pensava all’integrazione politica e sociale dell’Europa, ma utilizzava lo strumento politico per convincere le forze economiche del business e della finanza ad accettare passi verso l’integrazione politica. Offrendo il mercato unico, riteneva di aver maggiore forza contrattuale nello scontro con gli Stati per realizzare istituzioni politiche sovranazionali. Nella visione social democratica di Delors il mercato non gli appariva così cattivo, anzi sarebbe stato utilizzato per avanzare sul piano politico».
Come è avvenuto il suo contrasto con Delors?
«Nel 1992 Delors lanciò il libro bianco sull’economia e sulla competitività sperando sull’appoggio politico del mondo degli affari e della finanza e sposò completamente le teorie dominanti. Secondo lui, solo una economia competitiva crea occupazione e garantisce il diritto al lavoro e al reddito».
Quali sono i punti di contatto e di frizione tra queste due figure così singolari?
«Alla base c’era una sintonia sulla concezione della vita, dato che entrambi eravamo cristiani. Il problema esplose quando il presidente elaborò il libro bianco su competitività, crescita e occupazione, che sottolineava la trilogia del pensiero economico dominante di stampo capitalistico. Secondo Delors l’obiettivo principale di ogni economia deve essere competitivo sui mercati mondiali, vista la globalizzazione, la liberalizzazione, la deregolamentazione dell’economia. Era un punto strategico per far crescere l’economia e l’occupazione».
Questa trilogia affermata dal pensiero dominante non corrisponde a verità?
«Avevo dimostrato dai miei studi che questa trilogia era sbagliata e avevo messo in cantiere il Gruppo di Lisbona, chiedendo a Delors di seguire le nostre attività. Mi ero trovato in una situazione di opposizione e di critica, ma ero aperto al confronto sperando nel sostegno di Delors, che invece ha chiuso i ponti. Io ho continuato a lavorare con il Gruppo di Lisbona, ma egli lo interpretò come negazione del libro bianco di Delors».
“Dare un’anima all’Europa” era uno dei motti centrali di Delors. Pensava a un modello di società fondata su principi etici comuni, al di là delle differenze di cultura e di religioni?
«Per lui l’anima della integrazione europea doveva avere le sue radici nella ricca tradizione socio economica cristiana. Ne era convinto. È l’espressone di una borghesia illuminata che si accorge che le scelte politiche o di grande mutamento cominciano con gli interessi della maggioranza della popolazione. In un secondo libro bianco Delors aderisce al concetto di governance economica, dove ci sono portatori di interessi che hanno potere decisionale».