Una Tecnologia al potere
Intervista a SERGE LATOUCHE, economista, scrittore
Serge Latouche, economista di livello internazionale, ha messo in discussione il sistema economico domiante. Non si tratta di una nuova teoria economica, ma l’abbandono della fede nello sviluppo.
Gli chiediamo se le elezioni europee mettano in discussione tutto l’impianto della costruzione europea. A suo parere l’Europa ha privilegiato l’aspetto economico rispetto a quello politico e sociale?
«Fin dalle sue origini la costruzione europea è stata quasi esclusivamente economica. È guidata da un organismo tecnocratico non eletto, la Commissione, che è fortemente soggetta all’influenza delle lobby. In sostanza, il sociale e l’ecologico vengono sacrificati e si riducono a normative pignole di green e social washing. La pandemia di Covid e la guerra in Ucraina hanno un po’ cambiato le carte in tavola, spingendo l’ortodossia monetaria e il credo neoliberista, soprattutto a favore della militarizzazione e dell’aumento della gestione tecnocratica della salute e della sicurezza».
I cittadini europei si sono quasi spossessati del loro destino e sono prigionieri di un sistema anonimo di cui non conoscono l’esito? Per questo motivo la metà degli europei non va più a votare?
«L’Unione europea riproduce e aggrava la deriva tecnoburocratica dei suoi Stati membri. I cittadini sono tanto più scoraggiati in quanto le rare volte in cui si chiede il loro parere – come per il progetto di Costituzione del 2005, sottoposto a referendum in Francia e respinto a maggioranza –, non se ne tiene conto. Non c’è da stupirsi, nelle loro condizioni, che i cittadini abbiano l’impressione che il voto sia una farsa che non serve a nulla, qualunque sia il risultato. Le multinazionali e le loro lobby manipolano ampiamente la Commissione, come hanno dimostrato numerosi scandali».
Stiamo assistendo in Europa alla crescita del nazionalismo».
Lei è preoccupato della decrescita della democrazia in tutti questi Paesi? C’è una richiesta dell’uomo forte?
«Non è la democrazia a morire, perché non esiste realmente e l’ascesa dei populismi, non necessariamente nazionalisti come nel XX secolo, è il risultato delle frustrazioni generate da una tecno-plutocrazia, certo pluralista, ma corrotta. Naturalmente, questo è molto preoccupante e non solo in Europa - pensiamo alla prospettiva di una rielezione di D. Trump negli Stati Uniti. Un intellettuale piccolo-borghese non può non essere sensibile alla scomparsa di ciò che resta, malgrado tutto, di uno «Stato di diritto». Tuttavia, non percepisco questa ascesa degli estremisti di Destra come una richiesta dell’uomo forte, ma piuttosto come l’aspirazione a un modo di governo antisistema. Vista dalla Francia, l’esperienza italiana sembra dimostrare che in realtà l’arrivo al potere di un governo guidato da un partito neofascista non cambia molto, in quanto le costrizioni di un sistema continentale e anche mondiale bloccano i cambiamenti intempestivi che le irruzioni elettorali tenterebbero, siano esse di Destra (come i neofascisti) o di Sinistra (come i 5Stelle o Podemos)».
Lei pensa che sia importante per l’Europa rinforzare la sua natura democratica in un momento così difficile del suo percorso?
«Ovviamente. Per me è il deficit di democrazia che spiega i mali di cui soffriamo, ma, come i Romani della fine della Repubblica, secondo la formula di Tito Livio, «non possiamo sopportare né i nostri vizi, né i loro rimedi». Non vedo come l’Europa possa imboccare la strada della democrazia, soprattutto economica ed ecologica, che sarebbe opportuno intraprendere».