Intervista di Alessandro Vestrelli
Una voce limpida e determinata si esprime sulla tragedia che avvolge il Medio Oriente e la popolazione di Gaza in particolare: quella di Maymouna Abdel Qader, nata a Perugia, di origine palestinese, studi in scienze politiche, mediatrice culturale, doppia cittadinanza italiana e giordana, sposata con un italiano e madre di due figli. Ama definirsi musulmana di cultura cattolica. Suo padre, Mohamed Abdel Qader, ha dedicato la sua vita alla cura e al dialogo sia come medico che come imam di Perugia e Colle Val d’Elsa (Siena) ed è stato un grande uomo di pace fino alla sua prematura scomparsa, nel gennaio 2021, nel periodo più drammatico dell’epidemia da Covid 19. Arrivato a Perugia nel 1972 se n’era subito innamorato.
Quando, nel 1998, la prima moschea in Via dei Priori era risultata troppo piccola aveva creato un Centro culturale islamico in Via Carattoli 11, al piano terra di due edifici popolari abitati soprattutto da famiglie italiane.
Tale Centro e l’annessa nuova moschea hanno, fin dall’inizio, svolto un’intensa attività culturale e religiosa, senza che sia mai stato registrato un serio problema o attrito, mentre nel resto d’Italia o della regione infuriavano polemiche ideologiche o si speculava sulla islamofobia. E, proprio a partire dal Centro islamico di Perugia, Maymouna ha deciso, con sua madre, di proseguire l’opera di Mohamed. L'altrapagina ha sempre avuto a cuore le sorti della Terra Santa - oggi ancor di più insanguinata e senza pace - e proprio in un’ora così buia crediamo sia importante intervistare chi ha sempre creduto nella possibilità di una convivenza pacifica per cercare insieme (come ci ha insegnato Aldo Capitini) di fare qualcosa per fermare la mano degli assassini e ridare spazio alla speranza.
Benché i media mainstream occultino quelle più sconvolgenti, nel web circolano immagini che non avremmo mai voluto vedere e che ci fanno percepire l’orrore che è stato e che prosegue. Alla barbara uccisione di civili e alla cattura di ostaggi da parte dei terroristi di Hamas, Israele sta rispondendo applicando ben più della legge del taglione: una rappresaglia senza freni che non si ferma davanti a scuole, ospedali, ambulanze, campi profughi….. Maymouna, da palestinese avrai possibilità di accesso diretto a notizie fornite da parenti o conoscenti costretti a sopravvivere nell’inferno di Gaza e nella West Bank. Cosa hai da dire o proporre a chi non vuol restare indifferente?
«Purtroppo da Gaza e dalla Cisgiordania arrivano notizie terribili. A Gaza ho avuto perdite anche di amici e parenti, fra cui molti bambini. In Cisgiordania, dove vive una gran parte della mia famiglia d’origine, c’è una situazione di alta tensione, già presente ma accentuata dagli ultimi eventi. Una situazione che ci ricorda quella di apartheid, dove anche il più banale spostamento (casa, mercato o verso l'ospedale o il lavoro) diventa un’impresa. Non c’è serenità, non c’è tranquillità! Purtroppo a noi giunge solo parte delle informazioni e dei racconti reali della situazione. Bisogna cercare la giusta informazione! Oggi, con i vari social, basta seguire le storie di chi vive di persona la tragedia. A Gaza sono morti quasi 100 giornalisti che, con i pochi strumenti a loro disposizione, raccontavano la drammatica quotidianità. Ma quello che accade non si può più nascondere e ci insegna che l’essere umano non impara mai dagli orrori del passato…
Non si può restare indifferenti a tutto questo, dobbiamo iniziare a informarci bene, a raccontare e non dimenticare, a non rimanere in silenzio di fronte alle tragedie. Soprattutto di fronte alla morte di oltre 10.000 bambini in poco più di due mesi di conflitti senza fine!
Basti pensare al voto di astensione dell’Italia sulla richiesta di un cessate il fuoco: le nostre scelte politiche possono fare la differenza, oggi e domani!»
Dopo gli accordi di Oslo tanta acqua torbida è passata sotto i ponti pazientemente costruiti dalla diplomazia della pace; gli integralisti sono aumentati a dismisura nelle opposte sponde e non hanno perso occasione utile per bombardare tali accordi. Come sono cambiati gli israeliani e i palestinesi in questi ultimi decenni, cosa pensi di Hamas e di ciò che sta facendo Israele?
«Negli ultimi decenni si sono sviluppate più traiettorie: da una parte l’impegno di molti per costruire percorsi di pacifica convivenza, dall’altra la crescita dell’estrema Destra israeliana ha favorito l’aumento dei coloni in Cisgiordania e, conseguentemente, degli scontri, degli espropri nei confronti dei palestinesi, delle situazioni di ingiustizia! Non è difficile immaginare anche lo sviluppo di forme più radicali tra i palestinesi. In queste condizioni è difficile pensare a una pace giusta e duratura, ma è nostro dovere morale desiderarla! Dobbiamo cercare di non alimentare l’odio che fomenta gli estremismi a sostegno di una ragione piuttosto che dell’altra. Forse bisogna ripartire da zero…»
Hai mantenuto la fiducia in una prospettiva di pace in Medio Oriente per i due popoli palestinese e israeliano? A quali condizioni sarà possibile e, secondo te, cosa possiamo fare noi concretamente in Europa per fermare la strage, aiutare la popolazione martoriata e mantenere viva la speranza?
«Non abbiamo alternativa. Dobbiamo credere che possa esistere un futuro di pace! Perché ci sia giustizia è, però, necessario che si avverino delle condizioni imprescindibili, tra cui:
Il diritto dei palestinesi a una propria indipendenza e autonomia senza alcuna possibilità di ingerenza da parte di Israele, come accade in uno Stato sovrano. La definitiva soluzione della questione dei “coloni”. Colono è chi occupa un territorio non proprio, per questo essi devono ritirarsi dai territori palestinesi. L'Onu, se ci crediamo ancora, deve poter svolgere un ruolo serio. E le sue risoluzioni vanno rispettate. Questi alcuni dei punti che garantirebbero a Israele maggiore sicurezza e riconoscimento da parte palestinese. Soluzioni non impossibili se pensiamo agli israeliani e ai palestinesi che ne parlano e che vorrebbero convivere in pace.
Tra le cose che possiamo fare c’è la necessità di conoscere la storia e imparare da essa. Un messaggio da trasmettere ai nostri figli è l’importanza di riconoscere agli altri il diritto di esistere, ognuno con le proprie specificità».
Nel 2015 Aliseicoop ha pubblicato un tuo prezioso memoir autobiografico dal titolo “Ho viaggiato per mondi, modi, identità, fino…”, denso di riflessioni sulla tua identità plurale di ragazza di seconda generazione: quali vantaggi ne hai saputo trarre? Ad esempio di fronte ad una situazione di conflitto?
«Essere figlia di immigrati è stato fondamentale. Avere uno sguardo “terzo”, rispetto alle origini, palestinesi, italiane, islamiche, mi ha aiutato a spogliarmi dei retaggi culturali, religiosi, politici e a vivere in maniera autentica i valori che mi hanno trasmesso. Mi è stato insegnato ad amare e a non odiare, incondizionatamente! Mi è stato insegnato a essere una testa e non una coda. E ad essere sempre promotrice di dialogo, anche tra parti totalmente diverse e in disaccordo. Perché è così che dovrebbe essere. Non si cambia realmente se non c’è nessuno che ha il coraggio di fare un primo passo, di esprimere un pensiero diverso, di proporre qualcosa di nuovo».
Seguendo le orme di tuo padre, ogni anno inviti rappresentanti delle istituzioni locali, abitanti del quartiere e moltissimi amici all’Iftar, il pasto serale che interrompe il digiuno del mese del Ramadan. Il 14 aprile scorso l’Arcivescovo di Perugia, il Sindaco di Perugia e la Sindaca di Assisi, il Rettore dell’Università degli studi, il Prefetto di Perugia, rappresentanti della società civile e numerose/i amiche/i hanno preso parte al convivio in un Centro islamico felicemente inserito nel contesto urbanistico circostante, il tutto in un clima di dialogo e ascolto reciproci… Cosa significano per la vostra comunità questi eventi e cosa ci dicono sulle prospettive di coesione sociale in un’Umbria sempre più multiculturale?
«Abbiamo vissuto, come musulmani, momenti molto difficili. Dopo l’11 Settembre abbiamo dovuto dimostrare spesso di non essere dei fanatici estremisti, per questo è diventato importante costruire momenti di conoscenza e di dialogo: le cose che ci accomunano sono più di quelle che ci dividono!
Le basi del dialogo sono il riconoscimento reciproco, il rispetto della pluralità e la capacità di ascolto dell’altro. Perugia è stata una rilevante protagonista in questo percorso.
E ogni anno, nell’ultimo venerdì del mese di Ramadan, mese benedetto e importante per noi musulmani, cerchiamo di ribadire e onorare l’impegno assunto all’insegna della fratellanza, del dialogo e dei valori comuni. E continueremo così. Perché ci crediamo. Come ha detto Papa Francesco: bisogna essere “artigiani della pace”, impegnarsi e crederci realmente, perché tutto ciò è possibile e necessario!»