Giovedì, 28 Marzo 2024

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Ucraina oggi, Taiwan domani

Geopolitica.

silvia romano2

Xi Jinping, il presidente cinese, a Mosca, dal 20 marzo per una visita di tre giorni a Putin, con l’impegno di incontrare poi anche Zelensky; Fumio Kishida, il premier giapponese, «a sorpresa» a Kiev, e poi a Washington, nelle braccia, seppur malferme, di Biden. Si tratta di passeggiate politico-aeree di routine o c’è qualcosa di più, di molto di più? Dei tre temi discussi a Mosca, gli accordi bilaterali, la guerra in Ucraina, i rapporti con l’«Occidente collettivo» (copyright russo-cinese) neo-atlantista, dominato dagli Usa, è ovvio che il principale è il terzo. Da esso dipendono gli altri due. Il piano di pace cinese in 12 punti è stato respinto da Biden, prima ancora che da Zelenskj. A conferma che questa è una guerra Putin-Biden, di cui l’Ucraina è la scena teatrale in cui recita a soggetto l’ex-attore Zelensky. Sulla pelle del popolo ucraino, massacrato da una guerra scatenata da Putin, ma provocata da Biden e dalla Nato minacciosamente allargatasi fino ai confini russi. Senza un decisivo incontro negoziale tra Biden e Putin, che per ora purtroppo è nel libro dei sogni, la guerra in Ucraina non può cessare, anzi può solo incrudelirsi, in un tunnel senza uscita. Ne è prova l’ininterrotta escalation militare, rafforzata dall’annuncio dell’invio a Kiev di proiettili all’uranio impoverito da parte del governo britannico, per bocca della baronessa vice-ministra della Difesa. Dall’uranio impoverito fu ricavata l’atomica su Hiroshima. E così, da parte sua, Mosca minaccia l’Armageddon nucleare e rafforza i suoi legami con Paesi amici o neutrali, come, tra gli altri, la Cina. Ma perché proprio la Cina?

ucraina oggi taiwan domani altrapagina aprile 2023 1La chiave della risposta è nel viaggio, che è «a sorpresa» solo per gonzi, di Kishida a Kiev e a Washington, a ridosso della visita di Xi a Mosca. Lo ha dichiarato più volte nel 2022-2023 lo stesso Kishida: «L’Ucraina oggi potrebbe essere l’Asia dell’Est di domani». Ossia: Ucraina oggi, Taiwan domani. Chi vince o perde oggi in Ucraina, vince o perde domani a Taiwan. Ma che c’entra Zelensky con Taiwan? Poco o nulla, se non fosse che la guerra per interposta Ucraina contro la Russia è il preambolo della possibile prossima gigantesca guerra degli Usa contro la Cina, grande potenza in ascesa, fumo negli occhi di Washington. A un possibile scontro armato tra Usa e Cina ha accennato nel gennaio 2023 la nota «segreta» inviata ai suoi ufficiali dal generale Michael Minihan, capo dello Us Air Mobility Command, indicandone la data d’inizio entro il 2025 a causa della «questione di Taiwan». Ma quale «questione». Esiste politicamente una sola Cina, la Repubblica popolare cinese, membro del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Taiwan è la piccola parte insulare della Cina continentale, e, per il diritto internazionale, non è un Paese sovrano. Non è tale nemmeno per gli Stati Uniti, che sin dagli anni Settanta hanno avviato accordi con Pechino sulla sua sovranità de iure su Taiwan.

Accordi che oggi gli Stati Uniti ignorano, ventilando un appoggio militare a Taiwan, se fosse annessa con la forza, «aggredita» direbbero i trombettisti imperiali, dalla Cina. Ecco: Taiwan come l’Ucraina. Uguale lo «schema di gioco»: difendere «l’aggredito dall’aggressore». Uguale la finalità: il dominio globale del Neo-Impero degli Anelli. Che cosa è stato l’allargamento della Nato, che poi significa delle basi Usa, fino alle porte di Mosca, se non la preparazione strategica della guerra russo-ucraina in corso? Ebbene, al conflitto armato con la Cina Washington si prepara da tempo. Almeno dagli anni del presidente Obama, di cui il già evanescente Biden era vice, e della sua svolta politica denominata Pivot to China, che spostava dall’Atlantico all’Indo-Pacifico il centro della politica estera e della strategia globale statunitense. Da ricordare che l’Indo-Pacifico è disseminato di basi aeree, missilistiche, navali e terrestri Usa, a pochi chilometri dal confine cinese: in Corea del Sud (una decina di basi; la Corea è un prolungamento peninsulare della Cina), nel Giappone del premier Kishida (Paese dal 1945 sotto il controllo, e il ricatto, imperiale di Washington: vi risiede la United States Forces Japan, con 6 grandi basi; a Yokosuka, la più grande base navale statunitense e la sede del Comando della Settima Flotta della U.S. Navy), in Indonesia, Filippine, Nuova Zelanda, ecc., fino alle Hawaii, assoggettate con una proditoria guerra d’aggressione nel 1959 e trasformate nel 50o Stato a stelle e strisce. Qui risiede il supremo Comando indo-pacifico degli Stati Uniti. Qui, alle spalle di frotte di gioiosi turisti scamiciati, si svolgono febbrili permanenti esercitazioni e simulazioni di guerra. Contro chi? Indovina indovinello. E pensare che la Cina, almeno finora, non ha una sola base militare all’estero.

Una guerra nell’Indo-Pacifico, che raddoppierebbe quella in corso nell’Est-Europa, sarebbe il funesto inizio di un incendio nucleare globale. Lo sanno in molti. Lo sa, e lo teme, la maggioranza degli italiani. Basta un minimo di buon senso. Ma forse non lo sa la strana coppia Meloni-Schlein, la guerriera in gonnella della Garbatella e la movimentista ora di fatto gue(r)rinista a capo del Pd: la prima decreta l’invio di armi a Kiev, la seconda vota a favore, con la destra. Non sarebbe finalmente il caso di riflettere sul saggio monito del filosofo Edgar Morin: «Più la guerra si aggrava, più la pace è difficile e più è urgente»? ◘

Di Michele Martelli


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