Opere d’arte come lapidi per non cancellare la memoria dei “senza nome”

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Solidarietà. Intervista a Claudia Andreani (ceramista).

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Claudia Andreani, nata come copywriter, esperta ceramista, svolge la sua attività presso l’Officina Via Fratta a Umbertide nel cuore di un micro-quartiere di produzione culturale formato anche dal Centro polivalente Fa.Mo. (dove si trova il Museo delle Ceramiche Rometti), il cinema Metropolis e la Biblioteca Comunale.

La sua produzione è perfettamente calata nel contemporaneo ed in continua evoluzione. Grazie al desiderio di sperimentare sempre nuovi percorsi creativi e all’impegno sociale nel mondo dell’associazionismo, Claudia ha svolto molteplici attività come docente e consulente in diversi progetti, ha realizzato laboratori nelle scuole, ha guidato allievi con disabilità, dando vita insieme a opere di grande bellezza, significato e impatto emotivo.

Nel 2021, insieme a Francesco Piobbichi, Barbara Sellari e Modou Lamin Jammeh, promuove “Memoramica”, progetto di memoria e racconto che oggi è diventato pure una vera propria associazione di promozione sociale.In qualità di esperta in ceramica è stata consulente e mentore di Modou Lamin Jammeh, in un progetto di innovazione sociale che ha contribuito alla start-up di questo giovane creativo nato in Gambia che è diventato artigiano ceramista.

Tutta l’esperienza in corso viene descritta in un documentario: “I senza nome” il cui trailer è visibile qui: https://www.youtube.com/watch?v=dVAnfMv-h4g

Claudia, da dove scaturisce l’idea di “Memoramica”?

Come spesso accade nella vita, le cose succedono casualmente. E così, da un incontro casuale tra me, Francesco, Barbara e Modou Lamin, nel periodo in cui seguivo come consulente Modou Lamin nel suo percorso di conoscenza ed esperienza con la ceramica, è nato il progetto MEMORAMICA: rappresentare su mattonelle in ceramica i “disegni dalla frontiera” di Francesco e farli diventare le lapidi dei migranti che hanno perso la vita nel mar Mediterraneo e sono sepolti presso il cimitero comunale di Lampedusa. Abbiamo semplicemente unito, messo in campo, ognuno le proprie competenze ed abbiamo iniziato a lavorare insieme su questo progetto di celebrazione della memoria e di umanizzazione dei dimenticati, utilizzando la ceramica come strumento di racconto visivo.

Quale metodo adottate per ideare e realizzare una lapide?

Il lavoro inizia da una prima raccolta del materiale informativo da trascrivere sulla lapide che andremo a realizzare, ovvero un nome, quando esiste un nome, una data di morte e una storia della persona, materiale che arriva direttamente dalle vecchie lapidi già esistenti presso il cimitero di Lampedusa. Poi si procede con il trasferimento del disegno su piastrelle in terra bianca, attraverso l’utilizzo di matite e gessetti sottocristallina. L’uso di questa tecnica pittorica ci ha permesso di restituire ai disegni quel valore e sapore originale delle matite usate su carta da Francesco. E soprattutto la mano artistica di Modou Lamin, quel suo tocco “africano” del colore, ha reso possibile una interpretazione dei disegni su ceramica che sembra voler ridare vita a quelle vite strappate. In ogni operazione, in ogni gesto pittorico e in ogni passo c’è un’attenta visione di insieme, un lavoro di gruppo che ci coinvolge tutti e quattro dall’inizio della lavorazione di una lapide fino al montaggio finale al cimitero di Lampedusa. E qui, devo aggiungere, che la collaborazione dei volontari che ci aiutano ogni volta in questa fase finale è la cosa più preziosa e più importante che dà forza a tutto il nostro progetto.

Nel trailer del documentario “I senza nome” a un certo punto si dice : “più mani toccano le mattonelle più loro si caricano dell’energia di tutti quelli che le toccano”. Mentre compi questi atti creativi di restituzione della identità e dignità a quelle sepolture, quali sono le emozioni che ti attraversano?

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Non a caso questa frase spiega già tutta quell’energia che si genera da quelle tante mani che intervengono in questo processo di creazione e soprattutto restituisce quell’emozione che io stessa provo ogni volta nella fase comunitaria del montaggio. È un’emozione che contiene in sé una sorta di passione e di dovere, di rispetto e condivisione di un momento che rimarrà per sempre nella mia memoria, unita alla speranza che quelle immagini pittoriche, quei disegni che raccontano storie di vita, quelle frasi che parlano di persone che non ci sono più possano imprimersi nella memoria di chi le osserva. Ma tutto questo, meglio delle mie parole, lo spiegano le immagini del documentario “I senza nome”, girato l’estate scorsa durante le operazioni di montaggio delle lapidi in ceramica presso il Cimitero comunale di Lampedusa, in cui la voce di Modou Lamin Jammeh, racconta l’esperienza da lui vissuta in prima persona, rappresentando anche quella di coloro che, invece, non ce l’hanno fatta ed i cui corpi sono ora sepolti sotto quelle lapidi. ◘

di Alessandro Vestrelli