Giovedì, 28 Marzo 2024

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Cara Maestra

Il personaggio del mese.

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Valeriana Croci è stata maestra elementare dal 1954 al 1998. Attraverso la sua testimonianza di insegnante nelle zone più impervie dell'Appennino, rivive un pezzo di storia e di civiltà che non c'è più

CARA MAESTRA

Come si può raccontare la scuola di ieri agli scolari di oggi? E come raccontarla ai loro insegnanti e maestri? Un aiuto viene dall’ultimo libro di Valeriana Croci, Cara maestra, tratto da un ricco epistolario dei suoi scolari che aveva conservato in un vecchio scatolone.

Valeriana, a cui l’incedere degli anni non ha fatto perdere l’entusiasmo per la vita e per l’insegnamento, ha ripreso uno a uno disegni, lettere a lei scritte dagli scolari, i loro elaborati e attraverso la trasposizione di una vivida memoria fa rivivere nomi, volti, ricordi, sensazioni e affetti che costituiscono la trama di un dialogo mai interrotto.

«Perché non lo ha fatto prima?», le abbiamo chiesto. «Allora non potevo, perché la famiglia, il lavoro, la mamma malata e l’aggiornamento professionale non mi lasciavano spazio per questo. Ma ora ho deciso di farlo». E da quelle letterine, a volte scritte con stile incerto, altre con tratti decisi, dai disegni smaglianti e dagli elaborati emerge un canto pieno di amore e di poesia. Quell’amore per la scuola che Valeriana aveva saputo infondere nei suoi scolari. Scorrendo una lettera dopo l’altra, si percepisce l’essenza di una scuola intessuta di relazioni, un luogo di vita dove prima della trasmissione dei saperi contano le persone e gli affetti. Scrive Miranda: «Cara Signorina, i miei genitori sono molto contenti che io sono promossa. A me dispiace tanto aver lasciato la scuola per sempre… e i miei compagni.., ma più quando sono venuta a salutare a lei, il mio dolore è stato più grande di prima». E quel pensiero finale: «Termino di scrivere la lettera con la penna, ma non col pensiero…». «Cara Miranda, risponde Valeriana, in ogni stagione, partivi dalla Badiaccia dove abitavi e a piedi, sola, con la borsa sulle spalle percorrevi tanta strada. Arrivavi sempre sorridente… L’aula, allestita nella vecchia cucina abbandonata di una casa disabitata, era il tuo punto d’arrivo».

cara maestra altrapagina marzo 20231 2Nelle campagne, allora, le scuole non erano come le possiamo immaginare oggi. «In un altro paesino allestii la scuola in una stalla che ripulii personalmente, ci feci mettere i banchi per renderla presentabile ma non aveva il gabinetto». Aule improvvisate, improbabili, senza bidelli, dove, quasi sicuramente gli ispettori non hanno messo mai piede. «Mi sono trovata in una scuola, a Norcia, in cui non c’erano i servizi igienici. Chiesi al Comune di mettere almeno un gabinetto. I funzionari impiegarono tre ore per arrivare alla scuola, ma il gabinetto non si fece, perché nessuno fu disposto a cedere un lembo della propria terra per timore che venisse sporcata. Così, quando dovevano fare i loro bisogni, aprivo la porta e i bambini uscivano dall’aula per andare in mezzo ai campi». Nella loro precarietà erano luoghi palpitanti di vita, dove ogni bambino era centro di tutto: avevano un nome, un volto, una storia, una geografia dei luoghi da dove provenivano e dove ritornavano, una mappa delle famiglie, dei lavori. «A Cascia mi sono trovata con una pluriclasse di venti bambini. Era riscaldata da un focolare che emanava poco calore. La finestra piccola e bassa sembrava inutile. La tristezza passava tra i banchi come una ladra di speranze. C’era un banco vuoto perché un bambino non veniva mai. Allora sono andata a cercarlo e l’ho trovato in una casa che non saprei descrivere: era completamente buia; in fondo a una parete c’era un camino con poche legne che facevano una flebile luce. E lì, vidi questo fagottino rannicchiato che stava male. Chiesi alla mamma perché non veniva a scuola, “sta male" mi dicono “non può venire", provo a capire che cosa possa avere, ma non ci riesco. Il viso pallido e smunto mi rimase così impresso e non riuscii nemmeno a piangere. Non tolsi il banco vuoto, ci appoggiai sopra un desiderio e una speranza che non volli rimuovere».

cara maestra altrapagina marzo 20231 3I racconti di Valeriana non sono dissimili da quelli che si possono leggere sui libri di letteratura del primo e secondo Ottocento. Quelli da lei descritti sono personaggi e quadri di vita inscritti in un tempo immobile da secoli, infinito, magico per certi aspetti, duro e terribile per altri, scandito dal lavoro, dalla fatica, dalle stagioni, dalla malattia che spesso falcidiava le famiglie, dalla morte. Un tempo che nasceva dalla terra e alla terra ritornava, un tempo circolare che fecondava le cose e le persone per ritornare sempre su se stesso, non prima di averle irradiate di vita. Un tempo che i bambini sapevano illuminare con la loro voglia di vivere.

Il suo viaggio è iniziato molto presto: «A 18 anni partivo la mattina alle sei da San Giustino e scendevo a Città di Castello. Poi mi avviavo a piedi verso la Montesca fino a Uppiano. E da Uppiano al Monte Santa Maria Tiberina. Impiegavo tre ore per arrivare alla scuola, la mia prima scuola. Le lezioni iniziavano a mezzogiorno, e poi la sera riprendevo la strada di casa. Tutti i giorni avanti e indietro. D’inverno era necessario rimanere. Ricordo che mi venivano a prendere con un mulo camminando in mezzo alla neve. E quando il mulo si abbassava per brucare l’erba, rischiavo di cadere». Quella fu la prima esperienza educativa in una pluriclasse sussidiata che «si faceva per acquisire punteggi». Poi il contesto, le famiglie, i racconti vicino al focolare. Una fonte di conoscenza inesauribile di tante storie, come quella di Melo, diminutivo di Amleto, figlio di un’attrice e di un signore facoltoso, nato da un’unione naturale e consegnato a una famiglia per essere allevato e da cui non si volle più staccare nonostante le lusinghe della ricchezza e del benessere. E quella di Natalia che le faceva trovare tutte le mattine il latte caldo per colazione. E poi l’accoglienza: «Dormivo in una soffitta a Monte Santa Maria Tiberina assieme alle figlie del “Toscano”, un personaggio gentile che ricorderò sempre». Un itinerario che l’ha portata a Cascia, di fronte al monte Vettore «dove ho visto la transumanza. Di notte i pastori accendevano i fuochi che illuminavano tutta la montagna per portare le bestie a pascolare in pianura». Da Norcia, ritornando verso il Trasimeno, in quell’Isola Maggiore «dove mi innamorai del Lago, delle sue brezze, dei suoi rumori. Circondata da uno specchio di acqua che d’inverno diventava una lastra di ghiaccio e non si poteva navigare. C’erano 133 persone, con me e mia figlia, distribuite in due strade: una degli uomini, una delle donne. E sei chiese. La mattina facevo scuola e la sera avevo creato un centro di lettura per gli adulti. Fu lì che incontrai la persona con cui mi sono sposata e ho vissuto».

Un itinerario di vita e di passione per l’insegnamento che Valeriana ha condensato in numerosi libri. Lei ha dato tutta se stessa alla scuola e la scuola l’ha ripagata riempiendole la vita. Di amore per i bambini e di affetti. Era un’altra scuola. Ma era anche un altro mondo. Un mondo in cui niente era lasciato al caso, tutto doveva essere conquistato. Come lei ha fatto.

Ci siamo lasciati con una domanda: «Quale sarà il prossimo suo libro?». «Ho già trovato il titolo», ci ha risposto. «“Parole”. Perché le parole sono come degli scrigni: al loro interno contengono altre parole e ognuna ne richiama un’altra». Anche per Valeriana la vita è stata un cerchio: è partita da San Giustino e a San Giustino è ritornata, ha percorso gran parte della Regione per ritornare a insegnare e a vivere per molti anni a Lama, distribuendo ai suoi scolari i frutti migliori accumulati in tanti difficili anni d’insegnamento; un’insegnate, una donna forte, inaffondabile, con una mente aperta e moderna. ◘

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Redazione Altrapagina.it


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