Venerdì, 29 Marzo 2024

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Una siccità devastante

Intervista a Jean Léonard Touadi, politico, scrittore, giornalista.

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Quando i riflettori sulla Cop 27 sul clima indetta dall’Onu ormai sono spenti, i problemi del continente africano sono sempre più preoccupanti. Ne parliamo con Jean Léonard Touadi, intellettuale e giornalista che vive a Roma, e gli chiediamo perché la società civile non è stata invitata agli incontri di Sharm el Sheikh.

«C’è stato un accesso molto limitato per i partecipanti ed è stato un errore; di fronte a sfide globali tutti hanno diritto di parola, anche perché questa costituisce l’unica piattaforma multilaterale che ci rimane, altrimenti ciascuno va per conto proprio senza alcun coordinamento».

L’ultima giornata dei negoziati è stata dedicata alla questione della giustizia climatica. Perché gli Stati africani si sono impuntati?

«L’Africa è il continente che produce il 3,4% delle emissioni di gas nocive, mentre la responsabilità maggiore spetta alle industrie occidentali, che devono risarcire coloro che subiscono gli impatti negativi dei cambiamenti climatici. Il deserto avanza quotidianamente, distruggendo le condizioni minimali per la vita delle popolazioni».

Touadi descrive con dovizia di particolari la condizione climatica del Sahel: «C’è una grande instabilità per lo spostamento della popolazione tra nomadi e sedentari; il lago Ciad si sta prosciugando mettendo a rischio coloro che vivono di pesca, la foresta equatoriale subisce una devastazione continua tra guerra, sfruttamento selvaggio e rifugiati».

Anche l’Africa orientale subisce la stessa sorte?

«Il Mozambico, ad esempio, conosce il fenomeno del Niño con inondazioni devastanti, mentre il Corno d’Africa registra una dura siccità aumentata dalle cavallette. Una situazione penosa».

Dopo tanti negoziati quale è stato l’esito finale?

«Si è ottenuto che il risarcimento fosse approvato con i meccanismi di pagamento che saranno discussi alla prossima Cop 28. Il principio è acquisito, però il meccanismo è ancora da definire. Il Covid e la guerra in Ucraina hanno provocato una severa crisi della catena alimentare nel continente».

Con le delegazioni che sono venute a Cop 27 c’erano dei lobbisti molto interessati all’estrazione di materie prime in Africa. Potresti parlarne?

«Questa dell’estrazione è una situazione paradossale. I Paesi africani trovano nel petrolio e nel gas una fonte di reddito molto elevata per superare la crisi energetica europea. Avevamo rotto l’impegno di abbandonare le energie fossili e di avviarci velocemente verso le energie rinnovabili, ma la situazione ci ha spinto a investire di nuovo verso le energie fossili. Paesi come l’Algeria, il Congo, il Mozambico dove si trova il giacimento più importante dell’Africa, ci hanno aiutato a soddisfare nell’immediato la nostra sete di energia».

L’Egitto, dove si è svolta la Cop 27, è considerato uno dei Paesi più violenti e repressivi. Come si può coniugare giustizia politica e giustizia climatica?

«Èun dilemma che non appartiene solo all’Egitto. Dall’inizio del 2011 pensavamo che la società civile, il pluralismo democratico, il rispetto dei diritti umani e delle donne alla lunga avrebbero trionfato in tutto il continente. Ma non è stato così. L’Egitto ha precorso i tempi; basti pensare a quello che accade in Tunisia, in Africa occidentale, con colpi di Stato a ripetizione e abbandonando l’idea di ripristinare la democrazia».

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Siamo di fronte a una questione democratica?

«Ormai in tutti i paesi africani le persone vanno a votare per confermare i capi di Stato che manipolano la Costituzione per ricevere un terzo mandato. Eppure siamo di fronte a 600 milioni di africani che non hanno accesso all’elettricità o per mangiare devono utilizzare legna o carbone. I politici devono ascoltare quello che bolle sotto la pentola africana: la vera democrazia parte dalle aspirazioni di un popolo in fermento, non semplicemente dalle élite. Stiamo assistendo a una specie di inverno democratico, nel quale i popoli sono abbandonati alla solitudine di fronte ai meccanismi internazionali e ai loro dirigenti».

Cosa sta succedendo nel Corno d’Africa? La situazione sta precipitando verso una carestia sempre più micidiale?

«Abbiamo abbandonato questo paese al suo destino, pur avendo legami molto stretti, culturali e storici, legati alla colonizzazione. Si sta verificando una grande siccità che colpisce milioni di persone, minacciate dalla fame e dalla insicurezza alimentare. Eppure uomini e animali muoiono nell’indifferenza generale, senza che si alzi un grido di dolore per aiutare il Corno d’Africa. È crudele che le persone possano morire con i riflettori spenti».

Touadi ci parla di Gibuti, un piccolo paese dove si sta giocando una competizione globale che sta riguardando l’Africa.

una siccita devastante altrapagina mese dicembre 2022 6«La Cina a Gibuti ha una delle basi militari cinesi che controllano il traffico tra Medio Oriente e Oceano Indiano. Un’area estremamente strategica. Comunque il Corno d’Africa è imploso e l’Etiopia sta precipitando in una guerra di tutti contro tutti. Quando le questioni politiche, sociali e culturali si sono trasformate in una cosmesi istituzionale, le cose non funzionano. È necessario percorrere la via politica del dialogo per costruire una nazione. Il tentativo del presidente Ahmed di risolvere la ribellione nel Tigray con la forza è stato un disastro, perché ha fatto esplodere tutti gli altri focolai etnici di questo enorme paese. Senza considerare il problema dell’acqua del Nilo che l’Egitto considera essenziale. Ancora una volta il ricorso alla politica, invece che alla guerra».

L’Africa è un continente giovane, pieno di vitalità. Come occidentali possiamo ascoltarlo senza pregiudizi e con una certa umiltà?

«L’Africa è il continente del futuro, una realtà in movimento, con una popolazione che tra qualche decennio arriverà a due miliardi e mezzo, di cui il 60% sono giovani sotto i 25 anni. È un autentico laboratorio, pieno di fermenti. Purtroppo il dibattito sull’emigrazione vede il singolo albero che arriva in Italia, ma non scorge la foresta che lascia a casa. Queste Afriche in movimento rappresentano non solo un grande regalo all’Africa, ma a noi stessi. L’Europa è un centro anziani che abita di fronte a un asilo nido: anziani e bambini devono trovare una strada da percorrere insieme». ◘

di Achille Rossi


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