CULTURA. Dopo la lettera scritta sulla stagione teatrale da alcuni cittadini "abbonati", si è accesa una una polemica che non fa bene al teatro.
L’unica polemica (?) a sfondo culturale a più di un anno dall’insediamento della Giunta Municipale è stata suscitata non già da esponenti dell’opposizione (?) né da associazioni di seducenti intellettuali, bensì da un gruppo di cittadini, ‘abbonati storici’ del teatro che hanno semplicemente messo il dito su piaghe innegabili. Si dice che l’assessorato e l’ufficio-cultura abbiano reagito con suscettibilità ai limiti del nervosismo, e, se così fosse, sarebbe il modo più sbagliato di affrontare i problemi, anche perché nella lettera non c’era alcun attacco né al Comune né al TSU e dunque l’unico elemento disturbante risiede forse nel titolo dato all’articolo (“Stagione teatrale sotto accusa”), che riportava le osservazioni degli habitués. Ma è risaputo che i titoli nei giornali non li fanno né l’autore del pezzo né tanto meno gli estensori della lettera inviata in redazione. Infatti, a una lettura appena un po’ meno frettolosa della missiva, si può soltanto constatare come da questa emerga la volontà di mettere sul tappeto alcuni nodi del settore, inestricati da troppi anni, non già puntare dita minacciose o formulare sgarbate accuse. Né tali considerazioni possono essere modificate in alcun modo dai numeri (relativi) delle presenze rivendicati in proposito dall’Amministrazione Comunale, che invece farebbe bene ad aprirsi a un confronto a tutto tondo: si tratta infatti in termini assoluti di cifre da teatrino parrocchiale, ben lontane dai sold-out di altri tempi che imponevano persino di replicare gli spettacoli.
Conviene dunque analizzare i punti focalizzati nella ormai famosa lettera.
Scelte artistiche - La questione non è se le scelte degli spettacoli siano più o meno azzeccate, anzi forse nella maggior parte dei casi la qualità delle proposte è ineccepibile e il ruolo del TSU fondamentale per veicolarle adeguatamente anche in provincia. Quello che manca è una prospettiva complessiva dell’uso del teatro, una progettualità articolata che dovrebbe far capo a una Direzione artistica degna di questo nome per evitare opzioni episodiche, appuntamenti sporadici fine a se stessi, magari anche di livello, se singolarmente presi, ma slegati da una visione ampia in grado di fare degli Illuminati il fulcro continuativo e multidisciplinare (prosa certo, ma pure musica nelle varie accezioni dalla classica al jazz), che dia il senso di un cartellone quanto più possibile completo e retto da una logica di coerenza. L’ottica giusta sarebbe quindi quella di realizzare una rassegna capace di allargare il target di riferimento senza tralasciare le scelte inedite e/o di nicchia, che per loro stessa natura sarebbero più adatte a un Festival, proprio quello che il Festival delle Nazioni non fa più da anni condannandosi all’irrilevanza.
Questo della mancanza di una direzione artistica è dunque un problema vero o no?
Spazi - È mai possibile che Città di Castello abbia oggi un solo spazio fruibile per spettacoli (che fatalmente diviene un calderone dove entra tutto e di tutto) quando ben due secoli fa poteva vantare due teatri ben più capienti e in piena attività? Ebbene è proprio così, nell’indifferenza colpevole non solo delle amministrazioni avvicendatesi negli anni, ma degli stessi spettatori cosiddetti colti. È mai possibile che il progetto di riconversione di San Domenico in auditorium di importanti dimensioni giaccia abbandonato senza che nessuno si senta in dovere di riprenderlo in mano e offrire così non solo al capoluogo, ma all’intera vallata, un’opportunità vera per ospitare eventi di grande impatto al momento impossibili? È mai possibile che non sia stata studiata in tanti anni un’alternativa credibile al S. Antonio, ora definitivamente trasformato in cinema, per esibizioni di minore impegno? E ciò mentre tutte le alte città umbre (non solo Perugia che presto riavrà Turreno, Pavone e S.Francesco al Prato !!!!), si sono attrezzate per moltiplicare la capacità di offerta con tutte le ricadute anche economiche del caso: lo sanno bene a Foligno cosa hanno significato pure su tale versante le migliaia di eventi ospitati nel ‘loro’ San Domenico!
Questo della mancanza di spazi è dunque un problema vero o no?
Orari - Quella dell’inizio anticipato di un quarto d’ora delle pièces è senza dubbio un dettaglio di non primario rilievo, ma anche in tal caso attuato in maniera estemporanea, poiché, semmai, sarebbero tutti gli orari di vita della città a dover essere considerati, dagli uffici ai negozi, dai ristoranti ai caffè, visto che oltretutto nel teatro tifernate non c’è più nemmeno uno straccio di bar. Il fatto poi che la prosa inizi alle 20,45, l’operetta alle 20,30, i concerti alle 21 o alle 21,15 non è indice di chiarezza e coerenza, anzi è ovviamente fonte di disorientamento; lo stesso che provano gli utenti del (meritevole peraltro) profluvio di incontri in Biblioteca stabiliti a tutte alle ore più diverse e in ogni giorno della settimana in un tourbillon privo di logica programmatoria. Fatto salvo l’autore di livello nazionale che deve essere (ça va sans dire) modulato sulle sue esigenze è tanto difficile collocare in un giorno fisso a un’ora fissa la presentazione di libri e iniziative letterarie di carattere locale? Ma almeno qui una novità c’è: lo spazio, sinora denominato in termini buro-carcerari ‘sala 43’ è stato intitolato alla memoria del compianto grande filosofo Paolo Rossi Monti: finalmente una bella notizia! ◘
di Massimo Zangarelli