Personaggi. Una storia tifernate nella II^ Guerra mondiale a 80 anni dalla battaglia di El Alamein: il vissuto militare di Luigi Allegria (1922-2005) e la prigionia in mani inglesi (parte seconda).
Nel corso del conflitto mondiale è forte l’opera svolta da Croce Rossa Internazionale e Santa Sede (dal 1939 su volontà di Pio XII è creato l’Ufficio Informazioni Prigionieri), che si adoperano per avere notizie su dispersi, feriti e prigionieri su ogni fronte, portando sollievo ai familiari in sofferente attesa. Nella ricerca sono pervenuto a documenti dell’International Committee of Red Cross (a Ginevra) e altri negli archivi vaticani riguardanti mio padre, da aggiungere al materiale fotografico che dal campo di prigionia raggiunse le campagne tifernati.
Al momento della definitiva cattura il soldato Allegria Luigi è ridotto a 48 chili, colpito da dissenteria, pleurite e polmonite. Per fortuna i nemici inglesi, sebbene alquanto duri e severi con i prigionieri, rispettano le convenzioni internazionali e si prendono cura del suo stato di salute. Sono stilate le liste nominative di cattura per la I.C.R.C. e per la Santa Sede: gli elenchi e le capture card danno certezze e speranza alle famiglie in ansia. Nel caso di Luigi la cartolina di cattura viene stilata il 22/11/1942 e andrà a comporre la “lista 2031 foglio 1 con elenco dettagliato di prigionieri in mani inglesi al 7 dicembre 1942”, successivamente diramata alle autorità. Da questo momento diventa il P.O.W. ME/348503 (prisoner of war Middle East) e questo riferimento viene utilizzato per le comunicazioni. In appoggio all’opera della Santa Sede sarà particolarmente attiva la Delegazione Apostolica di Zamalek-Cairo, da cui la lista prigionieri il 13-01-1943 sarà inviata in Vaticano, dove giunge solo il 27 febbraio.
Fino al 13 luglio 1943 per l’Esercito Italiano il soldato Luigi Allegria verrà solo dichiarato irreperibile fino a che, tramite la I.C.R.C., si ha certezza della sua prigionia in mani inglesi in area Middle East. Dopo l’armistizio di Cassibile e al proclama Badoglio dell’8 settembre, nei mesi seguenti le condizioni di vita dei prigionieri migliorarono. Luigi sottoscrisse la dichiarazione di non appartenenza al regime fascista per cui, vedendosi riconosciuta la qualifica di cooperante, da maggio ‘44 venne assegnato al 2662 Italian Coy 219 Group P.C., in cui svolge varie attività: dal giardinaggio presso i comandi (sua occupazione ufficiale avendo dichiarato alla cattura la professione di contadino), alle cucine e occasionalmente ai lavori su strade, ponti e dighe. Iniziata la collaborazione con gli inglesi, riuscì, tramite un commilitone, a entrare a servizio in cucina come aiuto cuoco, e dopo qualche tempo ebbe la possibilità di andare a fare la spesa per gli ufficiali inglesi: tante volte ha raccontato che aveva nascosto delle scatolette vicino alle piramidi e, se avesse avuto la possibilità di tornarci, le avrebbe sicuramente ritrovate! Si trovò, seppure da prigioniero, nella condizione di dare una mano con il mangiare anche a soldati inglesi di colore, dato che erano trattati peggio degli italiani collaboranti (naturalmente facendo la cresta sulla spesa degli ufficiali). Raccontava che un ufficiale non gradì qualche suo modo di fare e lo minacciò: dovette desistere, trovandosi accerchiato dai soldati di colore che presero le sue difese.
Dal 1944 migliora la possibilità di inviare o ricevere posta: ci sono fotografie inviate a casa o da lì ricevute con brevi dediche nel retro. La posta che gli perviene tramite l’Ufficio Informazioni Prigionieri della Santa Sede sarà sempre firmata da Don Pietro Fiordelli (nel 1954 ordinato vescovo a Prato) e “zia Lisa” Menchi Fiordelli (in realtà Elisa Marinelli, sorella di nonna Caterina). In un messaggio del 20 marzo 1944 Don Pietro così si rivolge a Luigi: “Carissimo: i tuoi tutti bene. Zia Elisa e tutti di casa mia ti ricordano e ti salutano affettuosamente. Ti ricordo sempre nelle mie preghiere. Il Signore ti custodisca e presto ti riporti a noi. Aff.mo D. Pietro”.
La via del ritorno a casa sarà ancora lunga e costellata di lavoro, fatica, difficoltà e prigionia. Col procedere della guerra in favore delle forze alleate, migliora il clima nei campi di detenzione: aumenta la razione del vitto, c’è possibilità di scambi con la popolazione locale ai margini del campo e piccoli lavori possono essere svolti all’interno.
Da maggio 1945, a conflitto praticamente concluso, i prigionieri beneficeranno anche di permessi nei fine settimana con cui recarsi al Cairo o Alessandria. Destò in lui grande emozione la possibilità di vedere le piramidi e il poter girare tra i grandi mercati di quei luoghi. Con l’arrivo dell’anno 1946 si inizia a parlare di rimpatrio, finché non giunge la notizia del trasferimento vicino a Porto Said al P.O.W. Camp 380, dove ha sede l’Italian Repatriation Wing, che provvede alla gestione dei prigionieri in via di ritorno a casa.
L’imbarco per l’Italia avviene il 1° giugno 1946 su una nave battente bandiera U.S.A. Il 4 giugno, dopo quattro anni e quattro mesi di lontananza, Luigi torna sul suolo italiano sbarcando a Napoli; raggiungerà il Centro Alloggi a Roma due giorni dopo, e il 7 giugno potrà avviarsi verso casa con una licenza di rimpatrio di 60 giorni. Saranno immense la gioia e la commozione provate al riabbracciare tutti i familiari e in modo particolare il fratello Olinto, duramente provato dalla guerra e dalla prigionia in Germania. Il lungo elenco di amici e persone conosciute, scomparsi nei vari fronti di battaglia, rese allo stesso tempo amaro il ritorno alla vita civile in un difficile dopoguerra.
Dopo la licenza di rimpatrio, Luigi si recherà all’ospedale militare di Perugia il 1° agosto 1946, ricevendo una ulteriore licenza di sessanta giorni, dopo la quale, dichiarato comunque idoneo, sarà posto in congedo illimitato a partire dal 1° ottobre 1946. Tornò senza indugio al lavoro nei campi e non cercò nemici su cui vendicarsi per la sua prigionia. Si rifiutò sempre di parlare degli orrori visti e vissuti; solo nelle rare occasioni in cui incontrava altri suoi compagni di prigionia tifernati si lasciava andare ai ricordi difficili.
Ricordo con piacere il suo salutare e colloquiare in arabo con i venditori ambulanti nordafricani, di cui dava dimostrazione di conoscere usi e costumi. Voleva mostrarci solo il buono di ciò che aveva visto nei quattro anni trascorsi in quelle terre. Ha cresciuto noi figli predicando l’inutilità della guerra e degli eserciti e il rispetto delle idee altrui come fossero le proprie. Per questo gli siamo grati.
di Roberto Allegria