Lettere in redazione.
In questi giorni strani di acquazzoni improvvisi al numero 26 di Corso Vittorio Emanuele, dopo le scale della chiesetta di Santa Maria Nuova (dalla quale ogni tanto si sentono uscire canti un po’ sgangherati di vecchiette devote misti a zaffate di incenso), si trova un salone aperto e si nota un cartello con su scritto: “CREAZIONI”. Il salone con le piastrelle di graniglia sbiadita gialla e verde che sanno di tanti anni passati in fretta, davanti alle vetrine dei negozi ancora ostinatamente luminosi e fra gente che sempre più dà l’immagine delle ombre, quasi senza più parole, con pochi saluti, senza più richiami e il suo dialetto, senza le soste rumorose agli imbocchi delle vie secondarie e con gli occhi estranei e più stranieri di quelli dei Bengalesi o delle donne con lo hijad, nell’aria scura appunto, di questo autunno arrivato con violenza, dopo la canicola estiva, pulendo le dismesse pietre, le persiane dei nobili palazzi, le pipì che qualche ubriaco ha lasciato nella notte agli angoli dei vicoli, tutto è stato lavato, anche gli stendardi che ornano l’aria con i colori e i motivi della festa e del rione più antico della città: “La Mattonata”, in mezzo a tutto questo, si trova : “Creazioni”.
Entri e trovi la Castello che cercavi, le parole che conoscevi, l’aria di Castello, quella più vera, quella che abbiamo nel sangue e che abbiamo respirato e che ci svela segreti. C’è Mario con un sorriso dagli occhi grandi che interrogano prima di rispondere, la voglia di parlare e di spiegare il mistero di gioielli preziosi con l’anima paziente degli artigiani di una volta. La sua è una “bottega” improvvisata dove non si vende assolutamente nulla ma si mostra il piacere di creare con le cose semplici come le ossa dei bovini o, per intenderci, l’ossobuco. Dall’ossobuco nasce il gioiello come avorio prezioso come l’anima più antica dell’uomo. È l’anima più antica dell’uomo infatti, che nei paesi dell’Africa immensa o in Brasile o in Australia ha scritto le sue pagine o ha creato i suoi ornamenti con la pazienza, ancella della fantasia e della poesia.
Questo è “Creazioni “ in Città di Castello, questi sono i gioielli raffinati di un giovane che, in un lontano ’68, anno che vedeva nascere cavalieri che cercavano strade forse raramente trovate, incideva il primo armatissimo cavaliere che cerca ancora oggi, anche lui, con lo sguardo lontano. Il cavaliere, a chi si immerge nella lettura attenta degli altri piccoli “preziosi” incorniciati, anticipa personaggi della nostra storia tifernate di chi ha vissuto fra le strade, i vicoli, i campanili, le piazzette e la diritta del decumano e i reperti romani e le vecchie mura di porta Santa Maria, di chi ama e respira la storia dei Vitelli, guerrieri spietati, signori colti e sanguinari, ricchi e potenti raccontati con devozione d’amante da Dino, custode geloso per una vita, di uno dei palazzi più belli della città e disegnati, anche ora, fra le nubi del suo cielo, dalla matita ironica, arguta, intelligente e saggia di Baldino. Mario è riuscito a farne dei cammei come ad esempio incidendo il volto austero di Niccolò che prese dimora proprio alla Mattonata, o con il volto splendido della “sora Laura” forse, storicamente, Angela dei Rossi di San Secondo Parmense. Mario è riuscito a dare un’anima a quel volto di donna leggendaria, signora e figlia di stirpi potenti e famose nella Storia d’Italia e ha inciso per lei come ornamento del suo volto di padrona degli orecchini di pregevole fattura.
Gli occhi del visitatore vanno sui vicoli, sui campanili, le torri che visti un po’ in lontananza, sembrano pizzi pregiati. Sono sempre i campanili che fanno da sfondo a una dolcissima natività, un presepe che emana
l’incanto del Natale.
Sembra di sentire una serenata cogliendo lo svolazzare di un tabarro e il capello sghimbescio dei cantori della Pasquella che danno gioia e un po’ di amore ai bimbi, ai vecchi e alle donne.
Mario riesce a racchiudere in cornici i cavalli, tanti, con la loro forza e la libertà, le criniere al vento, desiderio di un babbo che faceva il barrocciaio e che sognava un ranch infinito come li aveva visti nei film western e che ha lasciato al figlio in eredità la fantasia, i sogni e il soprannome.
Fra i preziosi cammei sembrano uscire dalle teche le donne, soavi nel loro biancore, piccole ma immense con i volti pieni di grazia e assieme lunari che, con un gesto come la mano sopra un solo seno, gli occhi, il sorriso, svelano il loro mistero. Le donne che danno l’anima e la vita al legno d’ulivo e provocano danze della fantasia, della mente e dei sensi. L’ulivo di Mario è la pianta contorta e fertile, cangiante e ricca che trasmette sentimenti di inesauribile vitalità e forza.
Grazie Mario Franchi, per averci fatto conoscere un po’ di te.
Un’ amica della Mattonata.