Mercoledì, 04 Dicembre 2024

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Da sport a merce-spettacolo

Libri.

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Nella Prefazione al suo Antropallonismo. Riflessioni su una sindrome psicosociale dell’uomo moderno, Angelo Stumpo (Dirigente scolastico del Liceo “Plinio il Giovane” di Città di Castello)  descrive in modo analitico il processo di trasformazione di una delle attività sportive più amate in Europa, in Russia, in America latina. Ormai, sostiene Stumpo, «di calciogiocato» è rimasto ben poco. La logica del profitto del capitalismo imperante ha trasformato il calcio in «merce-spettacolo». L’«avidità dei potenti gruppi economici», senza dire degli interessi sempre più manifesti della mafia e della criminalità organizzata, non ci risparmia di constatare la montagna di “illeciti” registrati quotidianamente.

Quale futuro possiamo immaginare per il calcio? La sua pratica può ancora collocarsi tra le attività educative dei ragazzi e dei giovani?

Stumpo affronta in modo organico i vari aspetti del “fenomeno calcio”: la passione che sfocia in fanatismo e idolatria; il gioco che diventa attività produttiva; le contraddizioni che si sviluppano in seno alla società; il predominio delle emozioni sulle analisi razionali; l’incertezza di un futuro problematico e “aperto a chissà quali scenari”.

Il calcio è un’attività che funziona da distrattore sociale. Chi segue con passione totalitaria le partite, i campionati, le polemiche tra tifosi, difficilmente mostra interesse per quanto accade in politica e in economia; anzi, è partecipe di una forma di “ipnosi” collettiva nella quale dominano gli “idoli” della propria squadra. Il tifoso adora i propri calciatori, è coinvolto in una forma di culto caratterizzato da conformismo assoluto: segue la “squadra del cuore” nelle vicende quotidiane, dominate dalle attività, dalle notizie, dall’informazione continua sulla propria squadra, sui propri idoli, sulle vicende del calciomercato. Il pallone assolve così a quella che è stata chiamata “funzione terapeutica”: il tifoso è eterodiretto. Vive delle emozioni e delle eccitazioni che lo spettacolo mette a sua disposizione.

Alex Ferguson e Arrigo Sacchi sono stati i costruttori del “calcio totale”, un modello vincente, costruito per attrarre il tifoso-cliente e conquistarlo nel profondo: la «logica del capitalismo cominciò così a radicarsi nel calcio in maniera consistente» e a produrre da un lato il culto dell’individualismo e dall’altro la subalternità della scuola, trasformatasi in sistema narcisista. Gli effetti educativi provocati dalla rivoluzione del calcio-spettacolo sono stati evidenti nel boom dell’individualismo e nello sviluppo incontenibile delle tendenze narcisiste.

A testimoniare la “dicotomia” del tifoso è la disattenzione generale rispetto alla correttezza civile e morale dei protagonisti, “eroi popolari”, ai quali si giustifica tutto, anche quanto “il tribunale della ragione” condanna. E non c’è spazio per quei calciatori che si oppongono all’organizzazione capitalistica, che domina nelle società calcistiche, e ne denunciano, a proprie spese, le prevaricazioni e le illegalità. D’altronde, non è facile entrare nella platonica caverna dell’intrattenimento, nella quale si chiude lo sportivo dei nostri giorni, “posseduto” letteralmente dalle trasmissioni che le televisioni dedicano agli eventi sportivi. Senza dire del ruolo svolto dalla criminalità organizzata che fa affari col pallone.

Non è facile rispondere alla domanda: «I giovani sono un problema oppure una risorsa per la nostra società?». Angelo Stumpo è convinto che il mondo del calcio, nonostante tutto, può contribuire allo scopo, a patto che intraprenda un vero e proprio processo rivoluzionario, basato su una vera e propria destrutturazione del sistema calcistico, operando una vera e propria bonifica nella gestione del personale, nelle spese, nei contratti relativi ai diritti televisivi, nella gestione delle scuole di calcio, nella promozione della sfera femminile, nel ripensamento radicale del welfare comunitario.

Il gioco del calcio è assimilabile all’attività artistica, suggerisce Stumpo, e può essere promosso come strumento “per lo sviluppo e per la pace” tra i popoli; come modello «di cambiamento in grado di incoraggiare gli uomini a praticare azioni volte alla coesione sociale, alla risoluzione collettiva dei problemi e allo studio di prospettive efficaci per il futuro».

Superando il “contagio capitalistico e consumistico”, il calcio – con tutti i suoi limiti e i suoi aspetti negativi – può promuovere “una nuova concezione del sistema economico-sociale”, può “educare al gioco della vita”, può assurgere a “formidabile strumento di civilizzazione”, può educare alla “solidarietà” e alla “lotta contro la violenza”: può guidare “nell’approccio allo studio e alla conoscenza dell’uomo”,...”. Purtroppo, conclude Stumpo a ragione, dobbiamo constatare che il calcio, come altre attività sportive,  è stato asservito al potere. E non sarà facile restituirlo alla libertà.  ◘

di Matteo Martelli


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