I maestri non se ne vanno

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Personaggi. Ricordo del pedagogista Andrea Canevaro, un seminatore di idee e di innovazioni.

silvia romano2

A fine maggio ci ha lasciato Andrea Canevaro.

Il nome di questo grande maestro è molto noto a chi si occupa di educazione: è sicuramente nel cuore di chi ha dedicato il proprio sguardo a chi è venuto al mondo e/o ha incontrato durante la propria esistenza situazioni di fragilità, svantaggio, povertà. Chi ha avuto la fortuna di incrociarlo nella propria vita, non lo dimenticherà: lo terrà stretto nella memoria non solo per la qualità e l’intensità delle riflessioni, ma soprattutto per la bellezza e l’autenticità della sua persona.

Come suggerisce Sergio Manghi, così come per un fiore, quando ci si accosta al racconto di un grande uomo, possono essere scelte due strade.

Una è quella che permette di averlo di fronte, in una sorta di biografia professionale che lo racconta indipendentemente da noi. In questa direzione Andrea Canevaro, come professore ordinario di Pedagogia Speciale dell’Università di Bologna, ha accolto sfide importanti per il diritto all’educazione di tutti e di ciascuno, a partire da chi fosse o avesse sperimentato una condizione di disabilità. Ha sposato e vissuto in prima persona la possibilità dell’inserimento scolastico alla fine degli anni Settanta, ha promosso un pensiero di integrazione reale oltre la mera presenza fisica, si è avvicinato alla possibilità di un orizzonte che potesse incarnare quello dell’inclusione dove a cambiare sono i contesti, contenendo le manie correttive verso i bambini e i ragazzi. Molti i suoi studi nazionali e internazionali, dedicati alle professionalità educative, al mondo della scuola, alla figura dell’insegnante di sostegno, ai progetti di cooperazione come occasione di contaminazione e mai di colonizzazione. Le sue pubblicazioni, capaci di intrecciare saperi e linguaggi, hanno aperto domande che credo interrogheranno ancora a lungo la ricerca. Nei suoi scritti si trova spesso un “noi” che è già invito per il lettore ad accogliere e fare proprio quanto proposto, con fiducia e una sana dote di abbandono.

Potremmo continuare a lungo in questa direzione e declinare un profilo professionale e scientifico di altissimo valore, facilmente reperibile anche fuori da qui.

Mi interessa invece la seconda via proposta da Sergio Manghi che invita ad accostarci a qualcuno, pensandolo in relazione a noi. Provo allora di seguito a raccontare cosa ha rappresentato per me, con la speranza che saprà essere una narrazione di risonanza per tanti altri.

Ho avuto la fortuna di incontrare i suoi studi da giovanissima all’Università: oltre a farmi innamorare della possibilità di riconoscere il valore di ogni umanità, ho cominciato a pensare che la sua lezione potesse parlare fortemente alla mia persona e ai modi di stare dentro le relazioni, fuori e dentro la pratica professionale. Ho imparato la bellezza dello sporcarsi, del contaminarsi, dell’ essere bricoleur, la potenza dei “grigi”. Seguendo le sue sollecitazioni, ho così iniziato ad apprezzare la significatività del domandare in educazione. Che significa partecipare ad una relazione e non determinarla? Che vuol dire essere “dono leggero” per chi si incontra? Come si fa a diventare mediatore? Come possiamo far evolvere i contesti? Come è possibile riconoscere un’identità e non attribuirla come se fosse un’etichetta? Come attraversare le proprie fragilità senza volerle risolvere? Come dare respiro? Come diventare professionisti che “sanno abbastanza” e non avere la presunzione di possedere tutto?

La sua proposta invita a essere in ricerca, a chiedere a ciascuno di noi dove siamo e chi siamo prima ancora che pretenderlo da chi ci sta accanto. Ha incarnato la possibilità di dire con semplicità cose complesse e farle apparire come un orizzonte possibile, ciascuno con il suo passo.

Il pensiero di Andrea Canevaro ha indirizzato profondamente la persona-professionista che sono, l’educatrice prima e ricercatrice oggi: la gratitudine è così sconfinata da emozionarmi. Negli ultimi anni ho potuto esprimere questa riconoscenza grazie a una corrispondenza che mi ha donato e che custodirò gelosamente come mio piccolo testamento personale.

In uno di questi scambi mi ha invitato un giorno a dire queste parole quando avrebbe lasciato questo mondo. Rimango fedele a questa promessa e condivido questa bellissima preghiera di Francis Jammes. La rileggo e mi dico: “Già manca tanto Andrea Canevaro”. Poi ripenso a lui e mi correggo: “Vive in tanti di noi: continuiamo a crescere con lui e attraverso lui”.

Ciao Maestro, ti voglio bene.

di Moira Sannipoli