Intervista a Paolo De Castro, ex Ministro dell’Agricoltura, Ordinario di Economia Politica all’Università di Pisa.
La guerra in Ucraina ha sconvolto gli equilibri mondiali e ha provocato una crisi alimentare di enormi proporzioni. Ne parliamo con Paolo De Castro, eurodeputato, Ordinario di Economia e Politica Agricola all’Università di Bologna.
Cosa sta accadendo sulle navi cariche di grano destinato ai paesi poveri?
«Sono cariche e stanno al porto di Odessa, ma non riescono a lasciarlo, perché i russi le tengono lì bloccate e si sta studiando un modo per riuscire a farle partire. È in corso una trattativa tra l’Unione Europea e le Nazioni Unite insieme alla Turchia, per vedere se sia possibile convincere i russi a sbloccare questa situazione, che tiene bloccati milioni di tonnellate di cereali, mentre mezzo mondo soffre per la mancanza di cibo, soprattutto di grano».
La questione alimentare colpisce tutti i Paesi del sud del mondo?
«È un problema che riguarda principalmente i Paesi in via di sviluppo e in particolare il Nord Africa, che abbiamo di fronte alle nostre coste».
Come mai la situazione è precipitata all’improvviso? Penso al Libano, alla Tunisia, all’Egitto.
«Perché importano il 70/80% di grano dall’Ucraina e adesso l’Ucraina non riesce più a esportare soprattutto per via ferrata, per treno. Quello che può arrivare da noi non riesce ad arrivare in Africa, in Nord Africa, quindi la situazione è precipitata con la guerra».
Stiamo precipitando verso una carestia globale?
«Sì. È una grave crisi alimentare globale. Abbiamo purtroppo i dati della Fao, delle Nazioni Unite, ma anche dei grandi settimanali economici; penso all’ “Economist”, la cui copertina diceva: Food catastrophe. Siamo nel pieno di una grande catastrofe alimentare globale».
Come si esce da una situazione del genere, in una guerra come quella attuale, una situazione difficile anche dal punto di vista sociopolitico?
«Stiamo tentando come Unione Europea, insieme alle Nazioni Unite, di creare questi corridoi verdi, in modo di far partire queste navi dal porto di Odessa verso i porti nordafricani ed europei. Speriamo che con la mediazione turca e la determinazione europea si possa riuscire a sbloccare la situazione».
Quali sono i Paesi che sono più a rischio secondo lei, soprattutto in Nord Africa?
«Bisogna guardare le percentuali di importazione. Se uno vede, per esempio, che l’Egitto dipende dalle importazioni di cereali dall’Ucraina e dalla Russia per il 75%, è chiaro che è un Paese molto a rischio. Quasi tutti i Paesi nordafricani dipendono per una fetta molto importante delle loro importazioni dall’Ucraina e dalla Russia, che rappresentano il 30% delle esportazioni mondiali di cereali. Il venir meno di una fetta così rilevante di esportazioni certamente crea problemi molto gravi nei Paesi più poveri del mondo».
Fra alcuni giorni si terrà nella sede della Fao a Roma un incontro internazionale sull’alimentazione. Quale valore ha secondo lei?
«Intanto, quello di rendere sempre più consapevoli i Paesi occidentali e anche in parte la Cina, l’India, i grandi Paesi che non hanno preso una posizione netta di condanna dell’invasione russa in Ucraina, a prendere una posizione più determinata a favore di una mediazione per liberare almeno il grano, e non utilizzarlo come arma di guerra, per riuscire a sbloccare queste produzioni che sono fondamentali per i Paesi più poveri del mondo. Oggi le stime Fao parlano di un raddoppio di persone al mondo che soffrirà la fame, dai 400 milioni di oggi agli 800 milioni. Queste cifre sono davvero preoccupanti».
Ci può parlare della crisi alimentare e del rapporto tra agricoltura e alimentazione?
«L’obiettivo della Commissione Green Deal voleva determinare una maggiore attenzione alla sostenibilità da parte delle pratiche agricole in tutta Europa. Lo abbiamo fatto nella riforma della F.A.C., aumentando l’impegno ambientale in maniera determinante. Adesso, invece, ci troviamo alle prese con la sicurezza alimentare, che determina una preoccupazione che può rallentare il percorso che avevamo messo in campo per una transizione ecologica il più rapidamente possibile.
Lo stesso obiettivo di ridurre del 55% la Co2 nell’atmosfera era un obiettivo che ci eravamo dati come Europa, e invece oggi con i problemi energetici che abbiamo, addirittura con un ritorno alle centrali a carbone per produrre l’energia, venendo meno quella venduta come petrolio e gas dai russi, è chiaro che costituisce una battuta di arresto. Ci auguriamo che possa finire il più presto possibile questa guerra, in modo da mettere in campo gli investimenti sulle energie rinnovabili, ma occorrono anni per poter sostituire tutta l’energia da idrocarburi».
A dire degli esperti siamo a rischio di carestia a tutti i livelli?
«La carestia la stanno vivendo soprattutto i Paesi in via di sviluppo, non i Paesi come Europa e il Nord America. La produzione in queste zone è talmente forte che, in un modo o nell’altro, riusciremo a superare la crisi; magari avremo dei problemi di prezzo alto, che metterà un po’ in difficoltà le famiglie più povere, però la disponibilità di prodotti agricoli e alimentari del mondo occidentale esiste, riusciremo perciò a superare questo momento. Il problema è per i Paesi poveri, dove si rischiano carestie e momenti di grave difficoltà con tensioni sociali inevitabili, che avranno soprattutto i nostri dirimpettai del Mediterraneo, come abbiamo già visto con le primavere arabe. Ci sarà una accelerazione di direzione, se non riusciamo a mettere un freno».
Quali problemi hanno gli agricoltori nell’Alta Valle del Tevere? Poiché il tabacco finisce lentamente e comincia la coltivazione del nocciolo, è un problema ancora più preoccupante, secondo lei?
«Sì. Noi abbiamo oggi tante alternative a cui i nostri agricoltori si stanno adeguando, per cercare di venire incontro a una rigenerazione agricola che coinvolga anche altre colture. Penso a quello che stiamo facendo in Umbria, per esempio, sulla viticoltura, che è un settore che sta dando tantissime soddisfazioni e penso anche alle riconversioni che stiamo facendo nei settori legati ai prodotti di alta qualità, di indicazione geografica, sia ortofrutticoli ma anche lattiero-caseari, a tutte quelle produzioni made in Italy che possono approfittare della notorietà e della ricerca dei prodotti italiani in giro per il mondo, per poter avere una ricaduta economica nei territori e nelle zone rurali del nostro Paese. ◘
di Achille Rossi