CULTURA. Elia Volpi, artista, antiquario, restauratore e commerciante di opere d'arte...
Elia Volpi nacque a Colle Plinio nel 1858 da una famiglia di artigiani. Suo padre, Simone, faceva il falegname, ma presto si trasferirono a Città di Castello. Il padre nell’intento di avviare il figlio agli studi lo affidò alle cure del fratello Francesco, arciprete della Pieve di Canoscio, dove trascorse gran parte della sua fanciullezza. Qui il giovanissimo Elia ebbe modo di mostrare evidenti attitudini verso le arti figurative, suggestionato anche dai lavori che in quel periodo si stavano conducendo presso la nuova fabbrica del Santuario. Nel 1869, infatti, Annibale Gatti era stato chiamato ad affrescare l’edicola della Vergine; quest’incontro fu quasi una folgorazione per il promettente giovane.
Lo zio arciprete raccontava: «Altra delle cose straordinarie, si è come il piccolo Elia, figlio di mio fratello Simone, stava meco in età di anni 11 circa, e diede prove non dubbie di tendenza all’arti belle». Lo rimandò allora in città raccomandando il padre di avviarlo allo studio del disegno. Dopo tre anni, anche grazie all’opera di convincimento del Conte Carlo della Porta e di altri, il padre fu convinto a mandarlo all’Accademia di Belle Arti in Firenze.
Nel 1880 aveva già raggiunto una notevole maturazione artistica ed esordì con una mostra presso la Società degli Artisti di Firenze. Nel ricordo della sua città elaborò un quadro a tema: «Raffaello Sanzio mostra il quadro raffigurante lo Sposalizio della Madonna a Francesco da Castello».
Il 23 dicembre 1888 fu nominato socio onorario dell’Accademia delle Arti del Disegno, separata nel 1873 dall’Accademia di Belle Arti, che raccoglieva il Collegio dei professori. Da questa nomina origina il titolo di professore, a cui Volpi terrà molto per tutta la vita. Dopo l’Accademia intraprese le attività di copista, pittore di maniera, ritrattista.
Più tardi, divenne responsabile del gabinetto di restauro di Stefano Bardini (Pieve Santo Stefano, 1836 – Firenze, 1922) che era ben inserito nel mercato dell’antiquariato, a quel tempo molto fiorente, ed in poco tempo ne diventò il principale attore, creandosi un museo personale, oggi noto come Museo Stefano Bardini.
L’antiquario, collezionista storico fiorentino Alberto Bruschi, definì nel 1993 il celebre collezionista d’arte Stefano Bardini con queste parole: «Lui è stato il principe degli antiquari e nello stesso tempo l’antiquario dei principi».
I clienti di Bardini erano musei famosi, come i musei statali di Berlino, il Louvre, il Victoria and Albert Museum di Londra, oltre a famosi collezionisti del tempo. Elia Volpi presso il Bardini maturò notevoli esperienze nel campo conoscitivo delle opere d’arte e dei mobili dei secoli XIV e XV, seguì e si perfezionò anche nel loro restauro; Bardini era stato anche il primo ad introdurre in ambito fiorentino la tecnica del distacco degli affreschi e anche Elia Volpi si perfezionò in questa tecnica1, prese contatti con la numerosa e facoltosa clientela dello stesso Bardini, giungendo infine a mettersi in proprio come antiquario e restauratore, incontrando un notevole successo e un cospicuo ritorno economico.
Acquistò e restaurò, con la collaborazione di Silvio Zanchi (collaboratore di Elia Volpi nei restauri di Palazzo Davanzati), nel 1910 Palazzo Davanzati a Firenze e riuscì ad indire nel 1916 un’importante asta antiquaria a New York che lo pose in evidenza e segnò una svolta importante verso il successo e la ricchezza2.
Nel 1928 venne travolto dal famoso scandalo dei falsi realizzati da Alceo Dossena. Elia Volpi si disse sempre vittima e non complice, rimborsando fra l’altro tutte le vendite contestate ma rischiando la bancarotta. Certamente risulta difficile credere alla sua buona fede. L’origine dello scandalo fu la vendita da parte di Elia Volpi di un gruppo scultoreo fatto passare come opera di Simone Martini, la versione scultorea dell’Annunciazione tra i santi Ansano e Margherita.
Nelle due statue, rappresentanti l’Angelo annunciante e la Vergine annunciata, comparivano anche le iniziali SM sulla base dell’angelo e la data “1316” iscritta su quella della Madonna. Vennero acquistate da una facoltosa collezionista statunitense, la trentacinquenne Helen Clay Frick, figlia del magnate dell’acciaio Henry Clay Frick (West Overton, 1849 - New York, 1919), il fondatore della Frick Collection.
A garantire la bontà dell’attribuzione era il collezionista e storico dell’arte Frederick Mason Perkins (Plymouth, 1874 – Assisi, 1955), assieme al quale Helen Frick, in compagnia dello stesso Volpi e dell’amica Gertrude Hill, aveva visionato le due statue in una villa poco fuori Firenze. Frederick Mason Perkins era diventato un mercante d’arte e conoscitore esperto, costituendo nelle sue case di Assisi (in Piazza del Vescovado) e Lastra a Signa (presso Sassoforte) una delle collezioni private di opere tra le più importanti in Italia, che comprendevano grandi artisti, quali Duccio di Boninsegna, Pietro Lorenzetti, Lorenzo Monaco, Jacopo della Quercia, Gentile da Fabriano, il Sassetta, Sano di Pietro, Filippo Lippi e altri. Quindi è assai improbabile che avesse attribuito il gruppo scultoreo a Simone Martini in buona fede e la stessa cosa vale anche per lo stesso Elia Volpi, ormai esperto conoscitore del mercato antiquario.
La giovane ereditiera pagò i 150.000 dollari stabiliti (corrispondenti a circa 2,4 milioni di dollari attuali) e le due sculture, nel marzo del 1924, sbarcarono a New York. Al loro arrivo molti studiosi d’oltreoceano cominciarono ad avanzare dubbi sull’autenticità del gruppo scultoreo e Helen Clay Frick, nel 1925, si risolse a far esaminare le statue da una commissione di esperti, che nell’autunno di quell’anno diedero il loro responso: le opere erano due falsi, opere, si seppe dopo, di Alceo Dossena (Cremona, 1878 - Roma, 1937). La Frick chiese dunque a Volpi la restituzione dei suoi soldi, ma il mercante, dichiarandosi in difficoltà economiche, propose, come risarcimento, un disegno di Leonardo da Vinci. ◘
1 Quando Volpi attorno al 1885 iniziò a lavorare come restauratore alle dipendenze di Bardini, quest’ultimo aveva già distaccato la Crocifissione del Beato Angelico proveniente dal refettorio del Convento di San Domenico a Fiesole e gli affreschi di Villa Lemmi, venduti rispettivamente intorno al 1879 e 1882 e confluiti nelle collezioni del Louvre.
2 Nel 1916 Volpi organizzò una memorabile asta a New York, dove vendette con grande profitto l’intero mobilio del palazzo fiorentino ricavandone l’astronomica cifra di un milione di dollari dell’epoca. L’evento è ricordato come un’importante tappa per la diffusione del gusto neorinascimentale negli Stati Uniti.
di Fazio Perla