Sabato, 20 Aprile 2024

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La grande sete

Ambiente. Il lago Trasimeno da molti anni sta lentamente decrescendo.

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Alvaro Masseini è un naturalista e fotografo. Nato a Scarperia (Firenze) nel 1948, vive da anni sulle colline del lago Trasimeno. Attivo nei movimenti degli anni Settanta e poi nell’associazionismo ambientale, ha insegnato Storia e filosofia nei licei. «Il lago Trasimeno, il quarto lago d’Italia per estensione, ma il più vecchio e il più pescoso, è un lago laminare, cioè un lago-stagno che, nella sua lunga storia, ha sempre avuto oscillazioni di livello. Tuttavia la quota che raggiungono le sue acque non dipende più dalla quantità di pioggia che cade, ma dagli Enti gestori che regolano l’altezza della paratia di ferro posta all’inizio dell’emissario. L’asticciola della paratia è stata posta sempre più in basso e dal 1984 il livello massimo delle acque è stato fissato a quota 257,5 metri sul livello del mare. Le case, le strade, le fognature dei centri abitati rivieraschi tengono conto di questa quota per cui, anche in presenza di anni piovosi come il 2014/15, il lago non può accumulare acqua che metterebbe in crisi tutte le infrastrutture. L’acqua va fatta uscire. Conseguenza di tutto ciò è che il lago è dentro una camicia di forza che può farlo solo decrescere».

Quanto si aggrava questa crisi nella stagione estiva?

«In estate il Trasimeno perde quasi un centimetro d’acqua al giorno e visto che, quest’anno, non piove da quattro mesi, il lago è 110 cm sotto la soglia sopra indicata. Questo abbassamento estivo delle acque provoca l’affioramento e la marcizione precoce delle erbe acquatiche, una carenza di ossigeno e una prolificazione batterica che determinano la morte dei pesci della famiglia dei ciprinidi, quasi tutti carassi, gli unici che popolano il sotto riva».

Da sempre il Trasimeno è stato una risorsa straordinaria con una economia che ruota intorno all’ agricoltura e alla pesca professionale con tutte le sue attività collaterali.

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«Da cinquant’anni a questa parte si è aggiunto anche il turismo di massa, con nuove richieste e pressioni sugli Enti locali per avere più campeggi, più spiaggette, più muri perimetrali, più porti, parcheggi e darsene per la navigazione da diporto con motori fino a 40cv, che arano letteralmente il basso fondale. Tutti coloro che guardando le sponde del Trasimeno pensando a un futuro da riviera romagnola, oltre a far del male al lago, sono destinati a rimanere delusi».

Perché?

«L’unico turismo sostenibile per questo fragile ecosistema è quello naturalistico-ambientale e il naturalista, quando arriva magari in bicicletta con il suo binocolo e la macchina fotografica, non viene disturbato dall’odore acre delle erbe spondali o dalla presenza di zanzare, né si lamenta se non può fare il bagno perché questa è la condizione comune a tutte le zone umide-paludose, che si parli del delta del Po, di quella del Rodano, in Camargue, o delle Valli di Comacchio. Se il lago non si abbassasse in estate molti uccelli acquatici non ci sarebbero, fra cui i trampolieri, e anche il canneto, malato e assalito da terra da arature profonde e diserbanti, starebbe peggio di come sta».

Come mai la Regione Umbria e l’Unione dei Comuni che oggi hanno responsabilità verso il Parco non si accorgono che il lago è visibilmente non curato e in sofferenza ?

«Manca una gestione sul posto, unificata, efficiente e capace. Mai, da quando l’area del Trasimeno è diventata Parco regionale (1995) ha avuto un Ente di gestione. La Provincia di Perugia finché è esistita ha fatto da supplente, poi ci sono stati anni di vuoto assoluto. Ultimamente l’Unione dei Comuni rivieraschi cerca di districarsi almeno per le emergenze, ma senza progettualità, con poco amore e scarse competenze. La Regione è il grande assente».

Le tendenze climatiche di lungo periodo non promettono bene per il Trasimeno.

«Piogge sempre meno frequenti, inverni miti, lunghissimi periodi di siccità che alterano la flora acquatica e spondale interrano darsene e porti, producono erbai in eccesso che creano problemi per la navigazione. Tutto ciò si ripercuote negativamente anche sulla pesca professionale».

A fronte di questo, quali sarebbero gli interventi urgenti necessari per stabilizzare il Trasimeno e il suo immediato entroterra?

«Intanto dare vita a un Ente gestore unico che riunisca capacità e competenze per interventi efficaci quanto non procrastinabili. È necessario allargare la superficie del Parco e portarla almeno al limite della strada provinciale perimetrale. Poi riconvertire i terreni spondali al biologico, perché sono i concimi chimici a creare una produzione abnorme di alghe (eutrofizzazione), che tolgono ossigeno ai pesci che muoiono. E i diserbanti dati alle monocolture di girasoli, grano e granturco contribuiscono alla moria del canneto».

Vogliamo ricordare che l’Unione Europea con il progetto “Farm to Fork”, dal produttore al consumatore, inserito dentro il Next Generation U.E., chiede che, entro il 2030, il 25% dei terreni sia coltivato biologicamente?

«Certamente. Poi bisogna costruire impianti di fitodepurazione sull’area di Castiglione del Lago su tutti quei fossi che provengono dalla Valdichiana, zona con la più alta concentrazione di allevamenti intensivi di animali. E non costruire più un solo mq dentro l’area del Parco, bloccando ogni nuova concessione di nuovi progetti per campeggi, spiagge, ristoranti, residence: ce ne sono già fin troppi. Limitare la nascita di nuovi laghetti e pozzi in prossimità del lago: è tutta acqua sottratta alla falda e quindi al Trasimeno. È necessario incentivare un turismo specifico e mirato per quello che l’area del Trasimeno può realmente dare: un ambiente palustre unico con isole, uccelli, il mondo della pesca professionale da conoscere e le sue strutture museali.

Bisogna dare valore a un’alimentazione anch’essa unica, fatta di pesci di cattura, non allevati, che vivono in acque ancora pochissimo inquinate. Centri storici deliziosi di piccoli paesi con lunga storia. Tutti questi interventi hanno bisogno di essere basati su dati certi che solo un’équipe universitaria e un monitoraggio permanente (quasi totalmente mancato fino a oggi) potrebbero fornire. La sede potrebbe essere nei locali desolatamente vuoti del Centro ittiogenico a Sant’Arcangelo. Questo il catalogo per cominciare a occuparsi seriamente della salute del Trasimeno, capendo una volta per tutte che se si “salva” il lago anche la pesca, l’agricoltura e il turismo hanno un futuro che, altrimenti, non ci sarà».

Poi ci sono quelli che pensano che sarebbe sufficiente con un tubo apportare acqua nuova al lago, magari dalla diga di Valfabbrica (quarant’ anni per costruirla e non ancora in funzione), per risolvere, in un colpo solo, tutti i problemi.

«Questa soluzione va studiata e lasciata comunque come ultima possibilità. Perché altrimenti rischia di essere il solito discorso sulle Grandi Opere che hanno come primo obiettivo quello di mettere soldi in circolo, dare momentaneo lavoro ai propri lobbisti e, dato il tempo di esecuzione delle opere pubbliche in questo Paese, ci si possono fare sopra almeno un paio di campagne elettorali». ◘

di Maurizio Fratta


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