Giovedì, 18 Aprile 2024

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Il lato "B" del Covid

Covid-19. Il vaccino non è l’unico strumento contro il Covid.

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Il discorso politico e il circo mediatico sono dominati ossessivamente, da mesi, dal tema dei vaccini e del Green Pass, distogliendo l’attenzione da questioni e problematiche estremamente importanti come le terapie contro il Covid e la condizione della Sanità pubblica. Iniziamo a parlare delle terapie con il prezioso contributo dell’avvocato Erich Grimaldi che guida il “Comitato Terapia Domiciliare Covid 19”, a cui hanno aderito centinaia di medici italiani e migliaia di pazienti trattati con successo.

Come ha preso avvio la vostra esperienza?

«La rete è nata a marzo del 2020 quando ho recepito le istanze di molti medici di famiglia che cercavano di curare in modo appropriato i pazienti Covid. La gestione regionale della Sanità, unita alla mancanza di dialogo tra medici di base e ospedalieri, aveva causato un notevole disordine nell’approccio alla pandemia. Come ricorderete i medici di famiglia non effettuavano visite e non avevano i dispositivi di sicurezza. Raggiunta l’adesione dei primi duecento medici inviai al Ministero, alla Presidenza del Consiglio e all’Aifa la richiesta di redigere un protocollo unico di terapia domiciliare precoce per uniformare le situazioni regionali. Il trattamento ospedaliero prevedeva l’impiego di idrossiclorochina, eparina e azitromicina, ma molte Regioni non emanavano gli atti necessari per autorizzare i medici di famiglia all’uso di questi farmaci. Durante la prima ondata l’idrossiclorochina è stata dapprima utilizzata in tutto il mondo e poi demonizzata, così con 140 medici mi sono rivolto al Consiglio di Stato chiedendone l’autorizzazione nei primi cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi».

Come è proseguita questa azione di coordinamento?

«Preso atto che i mesi estivi del 2020 non erano stati sfruttati per rafforzare la medicina territoriale ed esaminare le possibilità di cura, a settembre ho deciso di aprire il gruppo Facebook che già contava 2000 medici e ventimila iscritti, tra pazienti sintomatici e cittadini in cerca di informazioni e supporto. Mi sono avvalso di piattaforme social per raggiungere queste persone e ho creato una sorta di telemedicina. In questo gruppo hanno iniziato a confluire e a confrontarsi medici specialisti, ospedalieri e di base. Il lavoro di mediazione è stato difficile poiché tra queste categorie non c’è mai stato dialogo e coordinamento. L’approccio terapeutico sperimentato dai nostri medici era quello di intervenire ai primi sintomi, mentre il Ministero nelle linee guida del 30 novembre indicava la somministrazione di paracetamolo e una vigile attesa, dal terzo giorno. Paracetamolo che, a parere di alcuni medici, non andrebbe impiegato poiché determina un calo di glutatione, favorendo così l’ingresso del virus. Dal lavoro di confronto e condivisone dei medici del nostro gruppo è scaturito lo schema terapeutico 1519 che abbiamo presentato all’Aifa il 13 gennaio».

il lato b del covid mese settembre 2021 2Quando vi siete costituiti in Comitato?

«A novembre, per dare una istituzionalizzazione al gruppo. Come primo impegno abbiamo chiesto alle Regioni di rendicontare l’utilizzo dei finanziamenti destinati alle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) le quali dovevano comprendere 50.000 abitanti ciascuna e prevedere la presenza di 10 medici esperti. In certe Usca abbiamo trovato solo due/tre specializzandi o persino laureandi, senza esperienza e senza mezzi per effettuare visite a domicilio, i quali si limitavano a misurare la febbre e la saturazione. L’istituzione delle Usca ha fatto venire meno il rapporto tra il medico di base e il paziente, con il conseguente abbandono e aggravamento. Per mesi siamo stati costretti a supportare, attraverso i social, migliaia di persone che presentavano anche valori di saturazione molto bassi, riuscendo a farle guarire. L’approccio dell’intervento entro le 72 ore (sul quale ci sono studi in corso di revisione) si è rivelato decisivo perché se si riesce ad aggredire subito il virus si salvano anche pazienti con comorbilità».

Quali altre azioni avete intrapreso?

«Questo schema terapeutico è stato portato all’attenzione di diverse Regioni, senza risultati, tranne che con la Regione Molise, il cui Commissario successivamente è stato rimosso dall’incarico. Da alcuni giorni la Regione Sardegna invia i nostri protocolli ai medici di famiglia, ma si è scatenata una guerra con i sindacati perché il nostro approccio richiede la presenza del medico e la visita domiciliare e alcuni si oppongono, sebbene siano in gran parte vaccinati. Il 4 di marzo abbiamo ottenuto dal Tar una sospensiva della nota Aifa del 9 dicembre, che prevedeva la vigilante attesa, e il 9 marzo si è tenuto un colloquio del nostro consiglio scientifico con Sileri, per ottenere un’audizione con i nostri medici. Contemporaneamente il ministro opponeva ricorso al Tar e dopo pochi giorni ha annunciato la stesura di nuove linee guida, nonostante i nostri colloqui fossero ancora in corso. Le nuove linee guida, di fatto, confermavano le precedenti, aggiungendo solo i Fans (Farmaci antinfiammatori non steroidei). Vista la chiusura da parte delle istituzioni, abbiamo organizzato manifestazioni di piazza. Il 20 luglio abbiamo consegnato 30.000 firme al Ministero e siamo stati ricevuti dal dipartimento di prevenzione, lo stesso che aveva licenziato le linee guida. Tre componenti del nostro comitato scientifico hanno inviato una relazione dell’incontro al ministro, stiamo ancora aspettando una risposta. Le nostre audizioni al Ministero vengono continuamente rinviate. Attualmente la nostra realtà è molto grande, abbiamo un consiglio scientifico composto dal professor Luigi Cavanna, Andrea Mangiagalli, Serafino Fazio, Fabrizio Salvucci, Sergio Grimaldi e altri, che hanno stilato linee guida anche per i pazienti che contraggono il Covid da post vaccinazione».

I mezzi di comunicazione non hanno dato notizia del vostro imponente lavoro.

«Infatti, il silenzio dei media sulle terapie domiciliari si protrae da molti mesi e ci ha impedito di parlare pubblicamente del nostro approccio terapeutico. Così abbiamo deciso di continuare a organizzare manifestazioni in varie città italiane. In sole tre settimane di agosto abbiamo raccolto migliaia di cittadini in quattro città e il nostro itinerario prosegue. Molti medici stanno aderendo, dal momento che portiamo a testimoniare i guariti, tra i quali ci sono persone con varie patologie. Nella nostra esperienza abbiamo registrato un’ospedalizzazione che non raggiunge il 2%, se il virus è affrontato nei primi tre giorni, e una mortalità ridottissima che riguarda le persone su cui si interviene tardivamente».

Vi siete interessati anche alle altre terapie?

«Il nostro comitato già a febbraio aveva promosso azioni anche sul fronte del plasma iperimmune, in particolare nei confronti del Centro Nazionale Sangue e delle Regioni, chiedendo di impiegarlo nei primi giorni di degenza, ma l’autorizzazione è stata negata dall’Aifa. Ci siamo interessati anche agli anticorpi monoclonali; a dicembre abbiamo avuto notizia del rifiuto di 10mila dosi gratuite perché non ritenute idonee, tutto questo mentre morivano migliaia di persone al mese. Abbiamo chiesto l’accesso agli atti che ci è stato negato. Dopo un nostro ricorso, il Tar ha obbligato l’Aifa a fornirci questi documenti, ma l’agenzia non ha ancora ottemperato, commettendo così una grave negligenza».

La campagna di vaccinazione ha dominato politica e comunicazione, cosa ne pensa?

«Con la campagna vaccinale c’è stato un importante difetto di comunicazione perché non si è parlato con trasparenza e correttezza dei rischi e benefici dei vaccini, non si è spiegato in cosa consiste il consenso informato, che in realtà comporta l’assunzione piena della responsabilità da parte del cittadino in caso di reazioni avverse. Non si è spiegato che queste ultime vanno comunicate al medico di famiglia, ma che si può farlo anche direttamente all’Aifa. Nel nostro Paese non abbiamo una vigilanza vaccinale attiva, ma è prevista quella passiva. Tutta questa confusione ha portato la popolazione ad avere molti dubbi e paure. Lo strumento del Green Pass, come ribadito da più virologi, non ha valore scientifico, è soltanto una scelta politica volta a ottenere un’adesione più alta alla vaccinazione e ha creato delle discriminazioni ingiustificate. Dopo la sofferenza dovuta alla pandemia e alla crisi economica, creare emarginazione sociale è una scelta sciagurata, che tra l’altro confligge con il regolamento europeo n. 953 del 2021, il quale specifica che nell’utilizzo della carta verde non devono prodursi discriminazioni tra vaccinati e non».

La stampa è reticente sulle cure e anche molto ostile verso chi esprime obiezioni sulla campagna vaccinale…

«Oltre alle battaglie con il Ministero siamo costretti oggi a respingere le accuse e le illazioni della stampa. A causa del silenzio sulle cure e della forte pressione sulla vaccinazione, noi del comitato veniamo descritti come Novax, ma i nostri medici non sono contrari alla vaccinazione, hanno semplicemente disposto per i propri pazienti esami specifici per valutare l’appropriatezza del vaccino e verificare la presenza di eventuali controindicazioni. Abbiamo promosso sia la campagna vaccinale che le terapie domiciliari perché i vaccini da soli non bastano. Come si sta osservando, spesso il virus prevale, per cui i nostri medici si trovano a curare anche i vaccinati».

Il Pnrr prevede fondi per l’implementazione delle terapie?

«Purtroppo anche i fondi stanziati dal Pnrr sono destinati alla cura di altre patologie, non del Covid. Le autorità hanno puntato solo sulla vaccinazione, che è importante, ma non può essere l’unica arma per uscire da questa situazione». ◘

di Romina Tarducci


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