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San Zeno a Poggio

PETRELLE. Raccontare una storia per resistere allo spopolamento e alla minaccia degli allevamenti intensivi.

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Sono nato a San Zeno a Poggio nel 1946, negli ultimi giorni del Regno d’Italia. Nello stesso anno arrivava in parrocchia don Giovanni Andreani, parroco di San Zeno fino al 1962. Il mio paesello era allora, come oggi, in piena campagna, un agglomerato di poche case. Tra Città di Castello e Cortona, non si raggiungeva facilmente: unici mezzi di trasporto i piedi o la bicicletta.Le strade erano bianche, tolta la via maestra del fondovalle. Eravamo ai margini di tutto, un piccolo mondo isolato e chiuso. Non c’era la luce elettrica, che arrivò nel 1962, o il telefono in casa, che fece la sua comparsa nel 1978. Tutte le sere, prima del buio, si ripeteva il “cerimoniale” della carica del lume a carburo!

La città, soprattutto per i bambini, era un miraggio lontano. Eppure eravamo immersi nella bellezza. La gente viveva di stenti, ma era contenta. Quel minuscolo mondo era in una valle “a conca”, una stretta pianura, che chiamavamo “il piano” solcata al centro dal torrente Minima. A valle i campi erano comodi e fertili e chi li coltivava era considerato più fortunato di chi coltivava e abitava in collina.

Oggi Petrelle è il centro geografico e sociale della zona. San Zeno è un’appendice, un vocabolo. Ma non era così quando la chiesa di San Zeno era il fulcro di una terra di castelli. In alto quello di Petriolo, a valle quello Bourbon di Petrella, che si trova a ridosso del punto in cui la valle si stringe a clessidra. Nella strettoia, la famiglia Bourbon fece erigere alla fine del '500 la chiesa della Madonna delle Grazie, sede parrocchiale e santuario venerato.

L’appellativo Poggio, riferito a San Zeno, viene dal borgo che sovrastava la chiesa, sede un tempo del convento attorno al quale viveva un’ottantina di abitanti. Oggi di Poggio restano qualche rudere, un casolare ristrutturato da un cittadino straniero e terreni da pascolo. La graziosa chiesa a navata unica, risalente al 1300, ha il tetto a capriate di legno ed evoca lo stile romanico. Dietro l’altare rimane il crocifisso del '600, in legno di sorbo, e all’ingresso l’elegante fonte battesimale in pietra. Sulle pareti si notano diversi frammenti di affreschi. Quello più grande, sopra la porta di ingresso, fa intravedere una crocifissione, sotto i vecchi intonaci in calce. In passato, durante le epidemie, la calce era l’unico “disinfettante” ritenuto valido, pur avendo fatto strage di opere d’arte! Si vede ben poco ora, quel poco che emerse grazie ai lavori di ripulitura della chiesa, merito di don Giovanni, che, nel 1955, fece erigere il nuovo campanile.

Oltre a riqualificare la chiesa, don Giovanni operò una specie di miracolo pedagogico, pastorale e sociale, trasformando San Zeno in un vivace laboratorio culturale. L’intera comunità era composta da una cinquantina di famiglie, ricche di figli ma povere di averi. La scuola elementare di Petrelle si raggiungeva a piedi, ma tra gli adulti molti erano semi-analfabeti o analfabeti totali. Il nuovo parroco iniziò un’opera di contrasto alla povertà educativa e culturale, stimolando forme di aggregazione e formazione per tutte le età. Considerava se stesso un uomo, prima che un cristiano e un prete. La sua stella polare era il Vangelo e il messaggio di “aver cura” di ogni essere umano, dei diritti di ognuno, troppe volte calpestati. Si ispirava al metodo dell’Azione Cattolica nel riunire e coinvolgere bambini, ragazzi, adulti, uomini e donne, per le “adunanze”, i momenti di catechesi, formazione, istruzione, educazione civica e sociale, allo scopo di coltivare autostima e senso della dignità. Parlava della vita quotidiana, aiutando gente semplice e ricca di valori a orientarsi nei diritti. Era il sacerdote, il maestro, l’animatore e lo stimolatore di intelligenze, ma non si considerava tuttologo e chiamava spesso esperti per informare, discutere, parlare di Chiesa, di fede, di Costituzione, di politica, di educazione, di igiene, alimentazione, affettività, galateo.

Con i giovani organizzava simulazioni relative al funzionamento della giustizia e delle amministrazioni. Aveva a cuore l’emancipazione della donna che, come “pari”, cominciava a uscire dal guscio dove la cultura del tempo la rinchiudeva. Negli anni in cui la donna arrivava a votare, creare occasioni di incontro fra donne, fuori casa, in parrocchia, per parlare, aprirsi, sfogarsi, conoscere, era un piccolo/grande passo.

2san zeno a poggio mese settembre 2021La chiesa di don Giovanni era una scuola, seppure non istituzionalizzata, una sorta di formazione permanente per tutti: dava valenza educativa al gioco, alla musica, alla lettura. Fu lui a istituire una Schola Cantorum, apprezzata anche fuori. E regalando il giornale “La Voce” a ogni famiglia, dopo la Messa, quasi “istigava” i fedeli a leggere! Durante l’inverno don Giovanni andava “a veglia” da una o un’altra famiglia dove si adunavano i vicini. Fra un bicchiere di vino e una padellata di caldarroste, si parlava con lui di tutto. Organizzava gite religiose istruttive e ricreative. Molti di noi poterono vedere Roma, cosa grandiosa per quei tempi, così come Assisi, Loreto, Orvieto, Cascia.

La parrocchia era per me una finestrella sul mondo. E don Giovanni, il mio prete, una sorta di genitore e maestro. Non era un prete “scomodo” relegato per punizione in una sperduta, insignificante parrocchia. Era un prete innovatore, lungimirante, esigente, desideroso di risposte coraggiose. Nel 1962 fu trasferito a Selci, dove ha continuato la sua opera. Dopo gli anni '60 si accelerò quel fenomeno noto come esodo dalle campagne. Per San Zeno significò la fine di un mondo e l’inizio del degrado. Dai circa 600 abitanti si scese a una decina di persone. Del resto, anche Petrelle è ormai ridotta a una piccola comunità, privata della scuola e della posta.

L’ambiente è la sola importante risorsa rimasta, soprattutto a San Zeno, dove non esiste inquinamento acustico o luminoso ed è ancora possibile vedere lo spettacolo delle lucciole, osservare le stelle a occhio nudo e ascoltare i concerti diurni delle cicale e quelli notturni delle rane e dei grilli. Proprio grazie alle risorse ambientali, negli ultimi tempi sembra di intravedere qualche cosa di nuovo. I casolari abbandonati e fatiscenti si sono ripopolati. L’intera valle tra Toscana e Umbria è abitata da famiglie provenienti dal Nord Europa e anche da diverse parti d’Italia. Sono sorti diversi agriturismi. Qualche giovane comincia a ritornare in cerca delle proprie radici.

Si va formando una nuova comunità, grazie all’incontro di culture, lingue e abitudini. Di fronte a “nuvole minacciose” che incombono sulle risorse ambientali, ci si riscopre comunità, si arriva a progetti di recupero, rinascita, riqualificazione di una bella e storica zona. Un Comitato che nasce per questi motivi è un attestato civile di volontà e il recupero della chiesa di San Zeno ha il significato commovente di “piccolo” Rinascimento. ◘

di Giovanni Matteucci


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