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Hanry Corbin: Iran, l'Oriente della conoscenza

96 annii altrapagina aprile 2021

Il recente viaggio del Papa in Iraq ha aperto lo sguardo su alcune realtà religiose dimenticate o poco considerate, ma di antichissima tradizione e ricchezza spirituale. Ciò riguarda in particolare le Chiese copte caldee e le tradizioni musulmane sciita e sunnita. Riprendere la lezione del filosofo Henry Corbin ci aiuta a riannodare la complessità del pensiero islamico e iranico orientale. Corbin ha approfondito e illustrato le molteplici correnti del pensiero islamico e del misticismo persiano. Allievo di étienne Gilson, traduttore di Heidegger e, vicino ad Alexander Kojève (il geniale interprete della hegeliana Fenomenologia..), si dedicò interamente agli studi di orientalistica e filosofia iraniana.  Dopo aver ereditato la cattedra che fu di Louis Massignon a Teheran, diresse la ricca “Biblioteca iraniana”di cui fu tra i membri fondatori.

Corbin non si è limitato a una scrupolosa esegesi dei testi islamici e del sufismo, piuttosto ha inserito tale patrimonio all’interno di un quadro fenomenologico corbinedito, sganciando il pensiero arabo/persiano dagli addentellati delle categorie storiche occidentali. Evitando la tesi di “dipendenza”, ha restituito tutta la complessità e bellezza del pensiero arabo e delle sue fonti, che pure risentono in modo significativo di contaminazioni sia greche che asiatiche. La cultura iraniana appariva a Corbin come il fondo  “inespresso” di tutto il futuro sviluppo del pensiero islamico e delle sue tante correnti. In proposito amava usare l’espressione di “fenomeno originario”, una sorta di archetipo inconscio che permea tutta la cultura orientale, irradiando dal retroterra persiano una “luminescenza” (al-Ishraq) costante e progressiva.

Nel cuore dell’islam sciita

La cultura sciita è misteriosa, anzi misterica. Sia nella sua versione duodecimana che in quella ismailita. Il “grande scisma” (al-Fithna al-Kubra) fra sciiti e sunniti risale alla morte del quarto califfo “ben guidato” Alì e dei suoi figli (680 d.C.). Il mausoleo del Califfo martire si trova a Najaf, luogo santo per gli sciiti, là dove il pontefice si è intrattenuto con la suprema guida al-Sistani.

Da quella frattura gli sciiti hanno sviluppato gradualmente una via spirituale più aderente a una teosofia neognostica. Lo stesso sufismo iraniano per Corbin rappresenta il collante necessario fra spiritualità e filosofia. Nel periodo dominato dall’averroismo teologico in Europa – grazie anche alla sistematizzazione della scolastica cristiana – le distinzioni fra le diverse categorie della conoscenza erano gerarchicamente marcate. Nel pensiero sciita del medesimo periodo  invece emerge un approccio tendenzialmente più armonico fra le diverse fonti della conoscenza. Corbin giunse a questa considerazione dopo aver approfondito lo studio di filosofi e mistici di diversa provenienza e formazione, quali Mollâ Sadrâ Shîrâzî, Ibn Arabi e Yahyà Suhrawardi. Quest’ultimo, in particolare, si rivelerà decisivo per la sua prospettiva storico-filosofica. Shurawardi, martirizzato  nel 1191, è stato il primo a parlare di una esplicita “sapienza orientale” come teosofia che faceva risalire ai saggi zoroastriani, passando per le categorie platonico/aristoteliche sino alla rivelazione coranica. Nel suo trattato teologico, Hikmat al-Ishraq (sapienza di luce) l’Essere viene connotato come “Luce Assoluta” e fonte primaria della conoscenza, ripartita in porzioni di logica, fisica e metafisica. Di tutto questo, Corbin traccia un’esaustiva e ricchissima panoramica nel suo monumentale studio Storia della filosofia islamica (1973). Vi si legge, già dall’inizio, un’illuminante considerazione: «La coscienza religiosa dell’Islam è centrata non su un fatto della Storia, ma della metastoria». È  infatti nel fulcro della prospettiva metastorica che il divario fra sciiti e sunniti trova un’armonica pacificazione e un fertile terreno di scambio. ◘

Di Davide Guerrini


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