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Una Regione di rifiuti

AMBIENTE. Discariche e inceneritori, ecco la risposta umbra allo smaltimentumbria una regione di rifiiuti altrapagina aprile 2021 1

Siamo in Umbria, nel XXI secolo, in Italia, nona o decima potenza economica mondiale. 850mila abitanti, un solo centro urbano con popolazione attorno a 250mila abitanti, quattro discariche su cinque saturate, scarso 65% di raccolta differenziata, intere aree del territorio non coperte dal servizio di raccolta a porta a porta. Impianti di compostaggio con capacità di trattamento extra-regionale con scarti (per errori nel conferimento) tra il 15 e il 30%, impianti di trattamento meccanico dell’indifferenziato da cui esce il 97% del rifiuto in entrata, configurando quindi un trattamento vero solo sulla carta, assicurando importanti quantità di rifiuti alle discariche. A oggi, l’unica discarica con ancora una capacità residua è quella nel territorio di Orvieto, di proprietà della multiutility romana Acea. La stessa che controlla l’intero settore idrico regionale (ad eccezione del comprensorio Foligno, Spoleto e Valnerina), che ha un inceneritore attivo nella città di Terni, per cui ha chiesto autorizzazione a bruciare il secco residuo dei rifiuti urbani. Contestualmente i due cementifici di Gubbio hanno presentato istanza per utilizzare Css (combustibile da rifiuti). La stessa Regione Umbria, mentre pubblicamente dichiara che il nuovo Piano Regionale dei Rifiuti sarà il risultato di un concreto processo partecipato, nel segreto degli uffici presenta tra i progetti da finanziare con i fondi del Recovery Fund tre impianti per la produzione di Css.

Basterebbero questi pochi dati per capire in quale assurda situazione l’innesto tra politica e interessi economici abbia condotto un territorio che per conformazione, popolazione, distribuzione e densità abitativa, non presenterebbe complessità organizzative e gestionali come aree urbane metropolitane.

umbria una regione di rifiiuti altrapagina aprile 2021 3Come sempre quando si parla di rifiuti, è importante tenere in considerazione alcuni fattori strutturali. Il primo è sicuramente avere ben presenti quali siano i soggetti in campo che gestiscono i servizi, gli impianti di trattamento e smaltimento e la loro articolazione societaria, in particolare se nella forma per noi “deviante” della municipalizzata a capitale pubblico/privato. Erme bifronti in cui il privato, che definisce piani industriali e strategie, usa il pubblico come paracadute finanziario e ne condiziona la pianificazione dentro gli ambiti istituzionali deputati alla decisione politica e alla programmazione. Decidere come Comuni in sede di Ambiti Territoriali se affrancare il sistema di gestione dei rifiuti da eccessivi volumi smaltiti in discarica, attraverso ad esempio l’estensione della raccolta porta a porta, ed essere contemporaneamente proprietari anche di discariche in società con un privato, difficilmente porterà a soluzioni virtuose. La vicenda Gesenu è emblematica, come anche l’intreccio tra Acea e i Comuni (vedi nel servizio idrico) quando si parla di rifiuti da incenerire o da smaltire nella discarica orvietana. Acea ovviamente ha un potere di indirizzo infinitamente maggiore. Come lo stanno avendo i cementifici eugubini che chiaramente minacciano contrazioni nelle produzioni, quindi dei posti di lavoro, se non otterranno di poter usare rifiuti in parziale sostituzione del Pet Coke.

Il secondo fattore ha a che fare più col profilo del ceto politico e dirigente, sia sul piano locale che regionale. Come spiegare altrimenti la fallimentare gestione dei rifiuti del territorio del vecchio Ati3, Foligno, Spoleto e Valnerina, coperto dalla VUS SpA, l’unica società pubblica al 100% che gestisce in house (senza gara pubblica, ma con affidamento diretto da parte dei Comuni) servizio idrico, distribuzione elettrica e gas, raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti? In assenza cioè di pressioni di carattere finanziario da parte di un socio privato, senza l’obbligo del profitto se non nella forma della redistribuzione degli utili ai soci (i Comuni), con la possibilità di forti guadagni certi, data la natura tutelata dei servizi erogati le cui tariffe sono decise da Autorità d’Ambito ora in forma sussidiaria all’Arera? Come si spiega che in questo territorio ci siano Comuni come Montefalco col 35% di raccolta differenziata o addirittura allo 0% come alcuni della Valnerina? Basti pensare che una medesima società, Contarina SpA, che copre l’intera provincia di Treviso per un totale di 450mila abitanti, ha portato in dieci anni l’intero territorio al 92%. Dov’è la differenza? Sta nell’infimo profilo di un ceto politico e dirigente selezionato per appartenenza, fedeltà, per incapacità manifeste.

umbria una regione di rifiiuti altrapagina aprile 2021 3Il terzo fattore sta nella capacità collettiva di costruire percorsi di lotta capaci di condizionare l’agenda politica, mobilitare i territori, produrre sapere contro-deduttivo condiviso. A Terni le mobilitazioni decennali sul tema rifiuti e il nesso tra impatti ambientali e salute dei cittadini esposti, hanno spinto le istituzioni locali a una maggiore cautela in fase decisoria; la richiesta di Acea di bruciare rifiuti urbani di fatto è ferma da sette anni, dal 2014, sebbene le reali intenzioni della nuova Giunta Regionale siano garanzia di un esito positivo dell’istanza pendente. Così temiamo.

Ma il dato di novità sta nella capacità delle associazioni e comitati regionali, insieme al Coordinamento Regionale Rifiuti Zero e Zero Waste Italy (nata dall’esperienza apripista di Capannori), di aver creato per la prima volta un grande momento costituente, di aggregazione di soggettività molteplici, attorno a una proposta di Piano Regionale dei Rifiuti costruita dal basso, in un meccanismo di co-azione con tecnici e specialisti in funzione di advocacy.

Questo piano alternativo non solo riscuote di fatto a oggi il sostegno di praticamente tutte le associazioni attive nel territorio regionale, ma anche l’appoggio formale dei sindaci di Narni, Assisi e Gubbio. Un fatto importante, nuovo. L’interlocuzione/scontro con le istituzioni locali è vivo. Le mobilitazioni si susseguono. L’atteggiamento della Regione è chiaramente ambiguo, la risposta che viene data altrettanto, ma l’effetto delle iniziative mostra dei risultati. L’autorità di ambito regionale, istituzione intermedia molto orientata in genere a svolgere una funzione apparentemente neutra tra enti locali e imprese del settore, ha fatto delle aperture. Nulla sulla carta ovviamente, ma resta chiaro che a questo giro il ruolo esercitato dalle realtà di base e la forza con cui si esprimono non saranno un dettaglio nella vicenda. ◘

di Fabio Neri


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