Sabato, 20 Aprile 2024

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Armenia: vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro

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Fulvio Scaglione, già vicedirettore del settimanale “Famiglia Cristiana”, è stato corrispondente da Mosca e ha seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l’Afghanistan, l’Iraq e il Medioriente. Gli chiediamo cosa accade in questo lembo di terra alle pendici dell’Ararat.

Lei ha visitato il Nagorno-Karabakh nel pieno della guerra tra armeni e azeri. Quali impressioni ha raccolto nel suo reportage?

«Come in tanti altri casi ci troviamo di fronte a una ostilità tra i due Paesi molto complessa e articolata, di lungo periodo. La questione del Nagorno Karabakh risale all’epoca di Stalin, fu lui ad assegnare all’Azerbaijan questo territorio, nonostante già allora fosse abitato al 98% da armeni. Non era una scelta insolita nella mentalità staliniana, in Cecenia successe più o meno la stessa cosa. In secondo luogo c’è il fattore etnico tra armeni e azeri, poi quello religioso, tra cristiani e musulmani e, se vogliamo considerare eventi più recenti, anche una questione di diritto internazionale, secondo il quale il Nagorno è parte dell’Azerbaijan».

armenia vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro altrapagina gennaio 2021 4Può spiegare meglio?

«Tutti gli Stati fuoriusciti dall’Unione Sovietica hanno ereditato oneri e dolori dell’Urss, è per questo che nella guerra dell’anno scorso la comunità internazionale è stata silente, nonostante l’Azerbaijan fosse palesemente l’aggressore. Il diritto astratto era dalla parte dell’Azerbaijan; se la comunità internazionale si fosse pronunciata contro di esso, in qualche modo avrebbe legittimato indirettamente l’operato della Russia in Crimea.

C’è un altro fattore da tener presente e che agisce già oggi in Armenia e cioè che gli armeni del Nagorno si sentivano un pochino l’avanguardia combattente dell’Armenia, quella in prima linea, elaborando così anche una certa rivendicazione nei confronti della madrepatria. Un po’ come, facendo un paragone un po’ forzato, gli israeliani degli insediamenti si sentono nei confronti di Israele propriamente detto: si definiscono più patriottici e con più spirito di sacrificio. Questo è visibile nelle continue proteste contro il governo di Pashinyan che ha firmato l’accordo con la Turchia, mediato dalla Russia, e che il Nagorno considera un tradimento della patria, nonostante la superiorità militare dell’Azerbaijan fosse assolutamente schiacciante».

La sconfitta degli armeni ha provocato la fuga delle popolazioni cristiane del Nagorno Karabakh. Con quali esiti?

«Sappiamo che sette distretti del Nagorno sono tornati sotto il controllo dell’Azerbaijan, compresa la città di Shushi, molto cara alla memoria degli armeni come peraltro a quella degli azeri. C’è stato quindi un notevole spostamento degli equilibri e se la mettiamo anche sotto un profilo religioso è chiaro che c’è un avanzamento dell’islam verso un Caucaso che, dal punto di vista delle inquietudini islamiche e anche islamiste, negli ultimi anni ha preoccupato non poco sia Mosca sia il resto della Russia. Bisogna tenere a mente che anche la Turchia gioca un ruolo molto importante, essendo stata grande partner dell’Azerbaijan in questa guerra, che verso Mosca ha un atteggiamento non ostile e cerca di affermarsi come potenza regionale su vari fronti, come in Libia».

Durante i bombardamenti lei ha visitato quei luoghi, le famiglie, i rifugi. Cosa può dirmi di questo?

«La popolazione del Nagorno ha una lunga abitudine al conflitto, quanto meno a vivere in uno stato che non è né di pace né di guerra. Noi abbiamo presente questo conflitto, ma ce ne sono stati tanti altri, anche a metà degli anni ’90 ce n’è stato uno violentissimo quando l’Urss si dissolse. È una popolazione molto militante e abituata a vivere in forti ristrettezze. Bisogna tener presente che la repubblica autoproclamata dell’Artsakh nel Nagorno non è mai realmente decollata, non ha ricevuto un riconoscimento internazionale e in qualche modo si appoggia all’Armenia, che è povera di risorse e non è in grado di sostenere questa popolazione di frontiera in modo adeguato».

armenia vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro altrapagina gennaio 2021 6L’intervento russo di pacificazione tra le due etnie quali effetti ha prodotto soprattutto per gli armeni? Assisteremo a una guerriglia continua in questi territori?

«Non credo che ci sarà una svolta di quel genere perché la lezione per Armenia e Nagorno è stata veramente durissima, l’Azerbaijan dispone di una potenza militare ineguagliabile per l’Armenia. È un Paese ricco di petrolio, basti pensare che nel 2010 il bilancio destinato alla difesa dell’Azerbaijan è stato superiore all’intero bilancio della Repubblica Armena. C’è uno squilibrio di forze incolmabile. In più c’è un fattore geopolitico decisivo: l’Azerbaijan ha legami importanti con la Turchia, con l’Occidente e gli Stati Uniti, soprattutto per gli interessi nel gasdotto che parte da Baku e arriva fino alla Turchia. Perciò la Russia è stata sempre molto cauta, volendo evitare di spingere l’Azerbaijan ancora più nell’orbita dell’Occidente. In più l’Armenia nel 2018 ha vissuto la sua rivoluzione di velluto con un rigurgito anti-russo, prendendo provvedimenti che limitavano le attività russofone e questo non ha incoraggiato il Cremlino a schierarsi al suo fianco. È veramente un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro».

Quali sono i contraccolpi sia sul piano politico che su quello sanitario sulla popolazione civile?

«La popolazione civile ha dovuto affrontare patimenti notevolissimi, si contano cinquemila morti che per la metà sono civili. La forza militare russa inviata sul posto per controllare che la tregua resista, forte di duemila uomini, ha provveduto a un’opera di ricostruzione e in qualche modo di riparazione dei danni di guerra. Un’opera che non potrà essere né rapida né completa e c’è una parte della popolazione del Nagorno Karabakh che ha perso tutto; nei sette distretti passati all’Azerbaijan nessun armeno potrà fare ritorno: sono persone a cui bisogna dare una casa, un lavoro e certamente non sarà facile».

È ancora viva la memoria della tragedia del 1915. Ancora una volta gli armeni sono costretti a fuggire e ad andare in esilio?

armenia vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro altrapagina gennaio 2021 7«Certamente il ricordo degli eventi del 1915 è fortissimo, ma qui tocchiamo un tasto molto delicato, il 1915 fa parte della memoria di larga parte del mondo. Ricordiamo la strage dei cristiani Siri, anche in Medioriente c’è una grossa memoria di questo periodo. Per gli armeni ovviamente è il ricordo del genocidio, una memoria indelebile che per tanti anni ha contribuito ad alimentare il conflitto con la Turchia, che lo nega».

L’Armenia riesce a tenersi in piedi?

«Certamente non è condannata al declino, ma è in una fase storica di forte necessità. Come ripeto, è un Paese che non riesce a decollare, ha dei limiti strutturali forti e ancora deve trovare una sua identità geopolitica; il sommovimento politico in chiave antirussa del 2018 si somma agli altri problemi con Turchia e Iran, alla lontananza dall’Occidente. Questo comporta chiaramente una fragilità che aggrava la situazione. È un popolo che sta facendo un pellegrinaggio di dolore da molto tempo». ◘

Di Achille Rossi


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