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Se non ora quando?

Globalizzazione. Un nuovo Parlamento mondiale

silvia romano2

Le emergenze climatiche e ambientali, le guerre, il rischio nucleare, la crisi delle democrazie, il collasso dell’Onu, le violazioni sistematiche del diritto internazionale, il potere incontrollato delle grandi transnazionali, hanno determinato un dibattito a livello globale sulla riforma, dicono alcuni, o sulla rifondazione, dicono altri, delle norme e delle istituzioni internazionali. E, all’interno di questo dibattito, la proposta di un Parlamento Mondiale. Tutte le crisi, economiche, sociali, climatiche, sanitarie, migratorie, alimentari, della democrazia e belliche si stanno sommando e provocano un inedito livello di criticità. Il Comitato per le minacce ad alto rischio dell’Onu, assieme ai più qualificati studiosi di strategie nucleari, come ad esempio l’ex segretario della Difesa degli Stati Uniti, William Perry, considerano “la probabilità di una catastrofe nucleare più elevata oggi che non negli anni della guerra fredda”, quando la catastrofe fu più volte sfiorata.

La proposta del Parlamento Mondiale impone una riflessione sui cambiamenti strutturali a livello globale intervenuti negli ultimi trent’anni. Il vecchio sistema capitalistico, fondato sulla produzione di beni da parte di lavoratori, compensato con un salario da parte dei padroni delle imprese, si è involuto in un neoliberismo finanziario incontrollato e incontrollabile, che favorisce la speculazione a discapito della produzione, per poi degenerare nel sistema neofeudale liberista nel quale siamo immersi. Non si produce più ricchezza con il lavoro, si fanno soldi con i soldi, in forme illecite ma legalizzate. La rappresentanza e lo scontro tra capitale e lavoro è regredito a quello tra feudatari e servi della gleba. Specialmente nella rete, ambito nel quale il fenomeno è più evidente, con pochi sovrani (ricchissimi) e tanti servi della gleba (sempre più poveri, di pane, di lavoro, di diritti, di conoscenza). Mai come oggi, per usare una frase di John Dewey, la politica è l’ombra proiettata sulla società dai grandi interessi economico-finanziari. Una condizione, quella dell’epoca contemporanea, del tutto simile a quella descritta da Marx con la metafora del mulino nel passaggio all’era industriale. I contadini erano costretti a macinare il grano nel mulino del loro signore, servizio per il quale dovevano pagare. Non solo dunque lavoravano terre che non possedevano, ma vivevano una condizione nella quale il feudatario era, come afferma Marx, “signore e padrone del processo di produzione e dell’intera vita sociale”. Nel neofeudalesimo contemporaneo le piattaforme digitali sono i nuovi mulini, i loro proprietari miliardari sono i nuovi signori feudali, le migliaia di lavoratori e i miliardi di utenti i nuovi servi della gleba. È questa la grande differenza tra il capitalista, il cui profitto è il risultato del valore aggiunto generato dai lavoratori salariati con la produzione di beni, e il signore feudale che trae profitto dal monopolio, dalla coercizione e dalle concessioni. Una nuova articolazione del potere a livello globale caratterizzata dalla sudditanza totale dei governi a queste poche e immense aziende alle quali tutto viene concesso, persino il diritto di non pagare le tasse. In Italia Amazon, Facebook, Google e le transnazionali dell’high tech pagano il 3% di tassazione, mentre tutte le altre società o imprese italiane pagano tra il 60 e il 65%. Il tutto in violazione della Costituzione che all’articolo 53 prescrive che la tassazione in Italia sia di carattere progressivo, in proporzione alla ricchezza chesi possiede. Qui è il contrario, chi più ricco è meno paga. È illecito, ma legalizzato. E dunque legale. Un livello inedito di concentrazione di poteri e di ricchezze tali da minare alla radice le regole, i principi ed i valori dei sistemi liberaldemocratici. Il neofeudalesimo liberista è oggi il nemico principale della democrazia liberale.

ONU: riforma o superamento?

se non ora quando altrapagina mese marzo 2021 5La proposta del Parlamento Mondiale trova naturale legittimazione nella crisi strutturale dell’Onu e del sistema di norme internazionali costruito nel periodo post bellico dalle potenze vincitrici. Crisi che è conseguenza di un processo di cannibalizzazione, di delegittimazione e di smantellamento del “sistema Onu” da parte dei propri creatori. Una costante degli ultimi decenni da parte di poteri e di potenze che si nutrono di forza, non di diritto. L’Onu non è più lo strumento adeguato a garantire la sua stessa mission fondativa: mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Ammesso che lo sia mai stato. Le finalità che ispirarono la fondazione dell’Onu non erano quelle di costruire pace e sicurezza attraverso un sistema di norme e di leggi giuste e organismi chiamati a farle rispettare. La vera e comprensibile finalità, esplicitata nel preambolo della Carta stessa, era quella di tenere il mondo lontano dalle guerre che i firmatari avevano conosciuto con i due conflitti precedenti. Ma lo fecero con un impianto organizzativo esclusivamente funzionale al potere delle nazioni vincitrici, e con un impianto normativo finalizzato a impedire qualsiasi ruolo decisionale a tutte le altre nazioni aderenti. L’Assemblea Generale dell’Onu come organismo autorevole e decisionale non è mai esistito. I suoi poteri sono nulli. Le uniche funzioni attribuite si limitano allo studio, alla raccomandazione e al suggerimento (Cap. IV, art.li 9/22 della Carta).  Tutti i poteri sono attribuiti ai cinque membri del Consiglio di Sicurezza (art. 24 della Carta) che tutto possono decidere e su tutto possono mettere il veto. D’altra parte, come potrebbero i cinque Paesi membri del Consiglio di Sicurezza essere i soggetti  che salvaguardano la pace e la sicurezza di un mondo nel quale non c’è guerra della quale essi stessi non siano responsabili o nella quale non siano coinvolti ? Come può il Consiglio di Sicurezza dell’Onu tutelare la pace e la sicurezza se i suoi stessi componenti sono i principali fabbricanti e venditori di armi del mondo?

Riformare il pensiero: dal patriottismo al matriottismo

La proposta del Parlamento Mondiale è anche una rivoluzione del pensiero. Ci costringe ad abbandonare il pensiero menomato e antropocentrico occidentale, il mito della conquista della natura e quello dello sviluppo umano da realizzare attraverso lo sfruttamento del pianeta e delle persone. Ci costringe a fare i conti con le illusioni, con la nostra idea sottosviluppata di sviluppo, con quel falso infinito nel quale ci siamo buttati chiamandolo progresso, ignorando che è il sottosviluppo etico e intellettuale degli sviluppati, il nostro, a produrre lo sviluppo illimitato dei sottosviluppati nel pianeta. Cosa c’è di progressista, di logico, di intelligente nel pensare e praticare un progetto infinito in un pianeta finito? È il nostro pensiero capovolto, la nostra razionalità illusoria che ci porta all’arroganza di non considerare i mondi “altri”, a ignorare le virtù, i saperi e le ricchezze di popoli e culture millenarie che hanno inscritto nel loro sviluppo antropologico e nelle loro filosofie naturalistiche e panteiste i codici più civilizzati, fondati sulla considerazione della Madre Terra come comunità indivisibile e vitale di esseri interdipendenti e uniti in un destino comune. Un pensiero delirante che pensa possibile la continuità di un mondo nel quale l’1% possiede il 99% della ricchezza. L’asservimento ai poteri, lo stravolgimento dei saperi e il mercenariato delle cosiddette élite tecno-scientifiche non è una caratteristica esclusiva dell’oggi. I processi di analfabetizzazione pianificata in questi trent’anni dal neoliberismo feudale stanno costringendo le popolazioni zombie dei Paesi occidentali a guardare la realtà dal buco della serratura, con un riduzionismo cognitivo e analitico fondato sulla cancellazione del resto del mondo. Del quale nulla sappiamo. E del quale non ci occupiamo né ci preoccupiamo. ◘

Di Luciano neri


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