Sabato, 20 Aprile 2024

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Il male minore

Stati Uniti. I nuovi inquilini della Casa Bianca

silvia romano2

Un paio di mesi fa pensavo che avrei potuto scrivere per l’altrapagina un pezzo sulla nuova Amministrazione americana e sui suoi protagonisti. Si stava conversando in buona armonia durante una riunione e ci rinunciai su consiglio, con ragioni in parte condivisibili, di qualcuno della redazione. Quale politica estera mediorientale avrebbero proposto i componenti della nuova squadra nominata dalla Presidenza degli Stati Uniti d’America? Era proprio il caso, in questo momento, di criticare la futura politica americana in Medio Oriente? Avrebbero potuto i palestinesi vivere a Gerusalemme est con gli stessi diritti degli israeliani? E lo stigma dell’apartheid in Israele, nella Cisgiordania occupata e massacrata, a Gerusalemme est, nelle Alture del Golan e a Gaza martire, avrebbe potuto essere messo all’ordine del giorno delle discussioni tra gli USA e Israele? Si faceva notare che Joe Biden e i suoi eventuali collaboratori erano in fondo il male minore, a fronte di uno psicopatico come Donald Trump che rappresentava un male gigantesco. Mi veniva da rilevare che la storia politica dell’ultimo secolo era costellata di “mali minori” che hanno determinato, più tardi, incommensurabili tragedie e mali assoluti!

Il nuovo Presidente americano

Nel 2014, l’attuale Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden, in qualità di Vicepresidente di Obama, fece un discorso alle Federazioni Ebraiche del Nord America: «Con Netanyahu siamo davvero dei buoni amici. Netanyahu è un grande, grande amico!». Nel 2007, quando era senatore, Biden, rilasciando un commento alla televisione ebraica “Shalom TV”, disse: «Non c’è bisogno di essere ebreo per essere sionista. Io sono sionista». Nel 1973, in una conversazione con la prima ministra israeliana Golda Meir, Joe Biden era preoccupato per l’imminente guerra contro l’Egitto e la Siria (La guerra di ottobre 1973, Yom Kippur). La prima ministra lo rasserenò: «Non si dia pena, noi abbiamo un’arma segreta (faceva riferimento alla bomba atomica) nel nostro conflitto con gli arabi. Vede, noi non abbiamo alcun altro posto dove andare». Jonathan Ofir, giornalista dell’Agenzia ebraica “Mondoweiss”, esemplificava: «Gli ebrei israeliani (lo ripetono continuamente) non avrebbero altro luogo dove andare, anche se la maggior parte degli ebrei non vive per niente in Israele. (...) Biden non riporterà a Tel Aviv l’ambasciata americana che Trump, in spregio al Diritto Internazionale, ha voluto a Gerusalemme. (...) Vale la pena di confrontare la posizione di Biden con quella di Bernie Sanders; anche Sanders dice di essere al 100% pro-Israele (B. Sanders è di origine ebraica ed era candidato alla Presidenza degli Stati Uniti). Ma ha avuto il coraggio di definire razzista il Governo d’Israele e non ha avuto dubbi nell’affermare che Netanyahu è un “razzista reazionario”». Ma Bernie Sanders poteva diventare un pericolo, mentre Joe Biden era considerato, naturalmente, il male minore.

La Vicepresidente

Kamala Harris, 57 anni, supervotata senatrice democratica americana. Procuratrice generale in California, di origine indiana e giamaicana. Prima donna ad essere Vicepresidente in America e prima donna di colore. Persona dell’anno, secondo il giornale Time. Una santificazione, un po’ come da noi è successo con Mario Draghi. Ma togliamo il velo. La Harris, fin da quando è stata insediata senatrice, era conosciuta per le sue ineludibili posizioni filo-israeliane reazionarie. Ha, ad esempio, appoggiato l’apartheid israeliana nei confronti dei palestinesi. Partecipando alla conferenza annuale della AIPAC (la principale organizzazione ebraica americana, posizionata sulla destra israeliana) ha dichiarato che “Israele ha il diritto di difendersi (dai terroristi) e che avrebbe sempre fatto tutto ciò che era in suo potere per la sua sicurezza”. Duramente critica sul movimento del “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni” (BDS), ha fatto notare, orgogliosamente, di “aver sostenuto e incentivato la piantumazione di alberi negli insediamenti illegali nei Territori Palestinesi Occupati”. «È necessario combattere i pregiudizi anti israeliani».

Per questo la senatrice indo-giamaicana ha osteggiato apertamente, con un’altra mozione, contraria a quella dell’ONU, la condanna di Israele per la costruzione illegale di insediamenti nella Cisgiordania occupata. In un’intervista al New York Times del 19 giugno del 2019 a domanda: «Crede che Israele soddisfi gli standard internazionali in materia di diritti umani?» Kamala Harris rispose: «Nel complesso, sì. Penso che Israele si dedichi ad essere una democrazia ed è uno dei nostri più stretti amici in quella regione».

Il Segretario di Stato

Si chiama Antony Blinken. È di origine ebraica, di famiglia ashkenaze, proveniente dall’Ucraina. Dopo la sua nomina, molti si sono stupiti nell’udire la storia, per certi versi sconvolgente, del suo patrigno Samuel Pisar, ebreo polacco. Sopravvissuto all’Olocausto, unico tra 900 bambini, scampato alla terribile “marcia della morte”. Durante la fuga tra le foreste polacche, incontrò miracolosamente i liberatori americani che lo issarono su un carro armato mentre diceva, pregando, “God bless America” (Dio benedica l’America). Blinken è stato un membro fondamentale dello staff diplomatico di Obama e un “suggeritore” essenziale per portare a buon esito il noto accordo sul nucleare con l’Iran. Assolutamente critico sul “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni” contro Israele, si è anche espresso contrario all’ipotesi di riportare l’ambasciata americana da Gerusalemme (capitale “eterna d’Israele”, dice Netanyahu) a Tel Aviv.

La lettera di Mona AlMsaddar

Mona è una giovane donna palestinese che vive in un campo profughi di Gaza. Ha scritto una lettera e l’ha inviata ad Antony Blinken. È una riflessione pregna di un sentimento particolare di pietà e misericordia. La AlMsaddar è stata emozionalmente colpita dalla storia di Samuel Pisar, raccontata dal nuovo Segretario di Stato americano. Noi ne trascriveremo solo qualche passo (Per chi volesse leggerla integralmente e sarebbe un bene, può cercare su: wearenotnumbers.org /home/ Story/ Mr Blinken). «Mi sono commossa e addolorata leggendo la storia del suo patrigno durante la Seconda Guerra mondiale. Sono profondamente dispiaciuta per il terrore e le perdite che ha vissuto come unico sopravvissuto tra i 900 bambini della sua scuola. Per poi fuggire da una delle famigerate “marce della morte” di Hitler! Rabbrividisco al solo pensiero. Ogni tragedia è unica. Ma leggere dell’esilio forzato del suo patrigno mi fa venire in mente i miei nonni materni e la loro deportazione. (…) Come il suo patrigno i miei nonni sono stati costretti a lasciare la loro casa. (…) Vivevano a Faja, un piccolo villaggio vicino a Jaffa, nell’attuale Israele. Oggi è scomparso, non esiste più, è stato fuso nella città israeliana di Petah Tikva. (…) Più di 40 anni fa, il mio bisnonno ha potuto visitare Faja, il suo villaggio natale. L’unica cosa che ha riconosciuto è stato il suo solitario albero di eucalipto. Quando il bisnonno vide l’albero si sedette sotto i suoi rami e si mise a piangere!». ◘

Di Antonio Rolle


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