Intervista a Luisa Brunori, psicologa, docente all'Università Alma Mater di Bologna
Luisa Brunori è stata docente alla Università Alma Mater di Bologna presso la Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione Vicepresidente della Fondazione Grameen Italia (G.I.F.); Fondatrice e Vicepresidente dell’Associazione “WinWin”; Presidente dell’Osservatorio Internazionale per la Microfinanza (M.I.O.) e tantissime altre cose descritte in un curriculum di rilevanza internazionale. L’approccio di psicologia dinamica a cui fa riferimento deriva dalla Scuola di Francoforte ed è una ricercatrice che negli ultimi anni ha approfondito gli studi delle relazioni esistenti tra psicologia ed economia, due scienze che hanno più parentele di quanto non si pensi, soprattutto per quanto riguarda le forme relazionali che il modello economico è in grado di generare. A metterla su questa strada è stato Muhammad Yunus, lo studioso bengalese premio Nobel per la Pace nel 2006 con la creazione del microcredito, che ha incontrato in Bangladesh e che ha cambiato la sua vita. E allora partiamo proprio da qui per capire il suo percorso.
Perché Yunus?
«Nel 2001/2002 stavo lavorando sul concetto di “economicità del gruppo”, ossia sulla capacità che il gruppo ha di sviluppare così un numero teoricamente infinito di beni relazionali a condizione però che venga lasciata libera espressione ai partecipanti. In questo modo, ognuno diventa stimolatore di pensieri per ciascun altro e i contenuti che emergono sono praticamente infiniti. In quel periodo mi sono imbattuta nella vicenda di Yunus, che aveva trovato il modo di dare prestiti, sulla fiducia, a persone (per lo più donne) raggruppate in numero di cinque che, pur avendo ciascuna il proprio progetto, si riunivano settimanalmente per la restituzione del prestito».
E cosa accadeva di rilevante in questi incontri?
«Non essendo persone abituate alla gestione del denaro e alla creazione di lavoro remunerato si davano reciproco aiuto, scambiandosi informazioni. Avevano attivato un modo per scambiare le esperienze che ho visto realizzate anche a New York. Le donne, in gruppi di cinque, si incontravano nella casa di una di loro dove era presente un agente della banca per ritirare le quote settimanali del prestito. Parlavano dei loro affari e si davano consigli e incoraggiamento per la comune esperienza. In Bangladesh chiesi a una donna cosa le piacesse di questo sistema, e mi rispose che nello scambio reciproco si percepiva come se la famiglia si allargasse al villaggio. Si trattava quindi di una apertura agli altri e di una creazione di comunità, o meglio di reciprocità. Questo è il vero elemento interessante: un modello relazionale e sociale basato sull’aiuto reciproco».
Certamente in un piccolo gruppo i conflitti sono minori o più gestibili.
«"Il conflitto sociale di base esiste perché siamo più di uno al mondo" affermava John Nash. Il problema è come risolviamo questo conflitto. Il modello relazionale su cui si fonda il neoliberismo è del tipo “io vinco tu perdi”, ovvero mette in concorrenza gli individui e crea inimicizia tra di loro. Da un punto di vista psicologico questo modello può generare disturbi psichici perché è basato sulla persecutorietà. John Nash nella teoria dei giochi parla di quattro possibili soluzioni winlose o losewin, dove uno vince e l’altro perde e che è alla base del modello economico neoliberista: loselose, dove tutti perdiamo, è la guerra. Oppure winwin (vinciamo tutti). Questa soluzione significa che ogni persona che mette i piedi su questa terra ha diritto di esistere decentemente. Si tratta di capire come attuare tale principio, quali meccanismi e forme relazionali dobbiamo mettere in moto perché ciò avvenga. Direi che questo coincide con il pensiero cristiano».
Luisa Brunori ha creato un’Associazione con questo nome "Win-Win" per favorire la diffusione di una cultura fondata sull’idea che possa esistere un modello “vincente” per tutti, dove ogni persona ha il diritto di esistere e di interessarsi non solo di sé ma anche degli altri. È perciò diverso dal neoliberismo. Solo così gli “ultimi”, i più “svantaggiati”, possono diventare protagonisti della loro vita.
Quando si parla di microcredito si fa riferimento a piccole realtà, a “mercati di villaggio”, ma la macro-economia è in mano alle Corporation, ai mercati, alle Borse e ai santuari della finanza ecc. Davide può sconfiggere questo Golia?
«Come accennavo prima, sono rimasta sconvolta nello scoprire la realtà dell’azione di Yunus perché fino ad allora pensavo che il neoliberismo fosse quasi un “sistema naturale”. Così ho cercato di mettere in moto un pensiero e un’azione capaci di coinvolgere un largo numero di persone partendo dal basso. Ho condiviso queste riflessioni con un amico di Carpi, responsabile del Servizio di Igiene Mentale, e, insieme, abbiamo deciso di cominciare da lì. Così da dieci anni, grazie alla disponibilità del Comune di Carpi, esiste un servizio di microcredito per gli utenti del Servizio di Salute Mentale disposti a intraprendere questo cammino».
Tutto questo cosa produce anche in termini di attività?
«Sono nate delle piccole imprese, e questo successo ha avuto un effetto positivo sulla psiche delle persone, che guadagnando autostima hanno recuperato il senso del proprio valore. Per Amartya Kumar Sen, premio Nobel per l’economia, “la povertà è il frutto della mancanza dello sviluppo delle risorse”. La stessa cosa posso affermare riguardo alla psiche degli individui: in una condizione di mancata risposta delle mie abilità ho un’immagine di me perdente».
A Carpi, racconta ancora Brunori, uno dei membri del gruppo dichiarò di volere il prestito per comperare un motorino e consegnare le pizze. Si era accordato con un amico pizzaiolo e aveva programmato di farne un lavoro; così è stato. E di seguito sono nate altre piccole attività di successo. Tutti i prestiti sono stati restituiti, così abbiamo ricevuto conferma che il motore di tutto è la fiducia in sé che si è prodotta attraverso la fiducia data all’altro: è questa la cosa grandiosa. Dopo un certo tempo alcune di queste persone sono uscite dal Servizio di Psichiatria e non hanno costituito più un “peso economico” per le finanze pubbliche; ci abbiamo guadagnato tutti: winwin!
Mettiamola così: sono i più fragili che possono cambiare le cose anche in economia? È questo che sta dicendo?
«Thomas Piketty, altro grande economista, afferma che per rimuovere le diseguaglianze esistenti sul fronte economico bisogna partire dai più fragili, dagli ultimi, a cui restituire il loro valore. Immaginare un welfare attivo che non renda le persone oggetto passivo di carità, ma che permetta loro di sviluppare le abilità è la soluzione per uscire dall’impasse».
Ma il “Mercato” non guarda gli esseri umani, segue il flusso del denaro.
«Il mercato va avanti così, ma finora abbiamo visto un mercato che rafforza i più forti, Amazon è un esempio. Ma noi cittadini possiamo continuare così? Perché non dobbiamo essere consapevoli? Con la mia associazione tengo dei corsi anche nelle scuole superiori proprio per parlare del modello economico e della forma mentis che esso produce e di cui siamo scarsamente consapevoli, così come non siamo consapevoli delle conseguenze che questo modo di pensare produce. Tornando all’esempio di Amazon, se continuiamo a usufruirne, senza andare nei piccoli negozi, commettiamo una follia, perché contribuiamo a che le risorse si concentrino in poche mani. La gestione dell’economia è un’opzione politica (e sta nelle mani di ciascuno di noi), nel senso di polis, comunità. È importante la consapevolezza che si ha dei gesti economici che compiamo. Diamo per scontato che l’uomo sia lupus per altri uomini come sostiene Hobbes, continuiamo a rappresentarlo così, autorizzandoci, in tale modo, a farlo noi per primi (la profezia che si avvera). Vogliamo immaginare un uomo umano?».
Su questo tema Luisa Brunori ha scritto il libro La città ideale. Tra psicologia, neuroscienze ed economia alla ricerca di una formula winwin della convivenza, pubblicato da Franco Angeli in cui spiega come anche le neuroscienze sono arrivate a dimostrare che il bisogno di reciprocità sta alla base delle relazioni umane, dalla primissima infanzia in avanti. L’assetto neurologico, in altre parole, è proteso alla valorizzazione di una relazionalità positiva. Nel mondo attuale invece c’è un automatismo relazionale consolidato sulla competizione, e coloro che sono più forti in questo gioco vincono: e dei perdenti cosa facciamo, li cancelliamo? si chiede la professoressa. Non è pensabile andare avanti in questo modo. Il libro è stato scritto prima della pandemia, ma essa ha acuito ancor di più tale fenomeno, perché ha dimostrato che non possiamo uscirne senza prenderci tutti per mano.
Ritornando a Yunus, la sua proposta quindi si basa solo sul microcredito?
«Quello che io sostengo nel libro è uno sviluppo del pensiero di Yunus, perché col microcredito è riuscito a fare cose fantastiche. Si tratta di uno strumento fondamentale, così come il social business, ambedue strumenti per modificare il welfare e farlo diventare azione: si tratta di un fare impresa virtuosa per tutti».
Cosa significa social business?
«È un’altra idea di Yunus inventata non per fare profitto, ma per risolvere un problema sociale e creare lavoro. Su questa idea ho cercato di aggregare alcuni imprenditori che però fanno fatica a uscire dallo schema “carità” o “profitto”, e immaginare un sistema economico strutturato diversamente». ◘
di Antonio Guerrini