Giovedì, 28 Marzo 2024

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Riabitare l'Appennino

Ambiente. Spopolamento della fascia appenninica

silvia romano2

L’inverno demografico che affligge Italia ed Europa si sente soprattutto in montagna: questo emerge dalla ricerca che verrà pubblicata prossimamente dalla rivista dell’associazione "Nuove Ri-Generazioni Umbria" sull’andamento della popolazione lungo la cerniera Umbria – Marche degli Appennini. Un focus su ciò che sta avvenendo nei 34 Comuni presi in esame. Tra questi anche Città di Castello che ha il 54,5% del proprio territorio (387 kmq complessivi) oltre i 400 metri di altitudine.

È la quota oltre cui si trovano alcune frazioni: Muccignano (685 metri) ha 32 abitanti, Uppiano (565 metri) 16 residenti, Fraccano (551 metri) 32, Vallurbana (494 metri) 25, Cavine di Sopra (435 metri) 34, Martignano (400 metri) 12.

Un quadro sulla situazione attuale (vedi https://www.comuniecitta.it/frazioni-del-comune-di-citta-di-castello-54013 ).

Confrontare questi dati con ciò che riferisce Storia Tifernate.it a proposito della popolazione: tra Scalocchio, Somole e Botina sono 12 le persone rimaste: erano 691 all’inizio del Novecento. E ancora: l’ampia zona comprendente Fraccano, Caifirenze, Vignolle, Antirata, Sasso, Montemaggiore, Candeggio e Castelvecchio ne ha 256 a fronte dei 1.562 di quel tempo (http://www.storiatifernate.it/pubblicazioni.php?&cat=49&subcat=139&group=314&id=928 ) .

Tendenza che investe i principali comuni nella loro interezza con indicatori tutti in calo. Negli ultimi 10 anni Città di Castello è passata da 40.567 a 39.192 abitanti, il 3,4% in meno, San Giustino da 11.428 a 11.104 (- 2,8%), Sansepolcro da 16.380 a 15.731 (-  3,9%), Umbertide da 16.890 a 16.598 (- 1,7%).

La relativa esiguità delle percentuali non deve rassicurare, dal momento che si tratta di movimenti la cui “inerzia” li proietta su lunghi o lunghissimi periodi.

Di certo sono percentuali basse che, tuttavia, costituiscono un segnale di allerta, trattandosi di realtà dove il flusso migratorio ha costituito un elemento significativo dell’andamento demografico negli ultimi 20 anni.

appen 1Dati che confermano la sensazione di trovarsi all’epilogo di una “catastrofe a lento rilascio” (come scrivo nella rivista citata) iniziata a metà del secolo scorso e percepita come ineluttabile (quasi fosse un “fatto naturale”) dalla cattiva coscienza di coloro che hanno, troppo a lungo, inneggiato all’espansione infinita delle produzioni e dei consumi umani. Anche se quello che accade nelle province autonome di Bolzano e Trento cancella l’idea dell’ineluttabilità.

In queste province a metà degli anni '90 sono state varate politiche specifiche: Agenzia per la famiglia, 200 euro al mese per figlio da zero a tre anni, che si cumulano ai 110 regionali e agli 80 nazionali: 390 euro al mese complessivi; diritto al rimborso dei ticket sanitari, assegni per lo studio, prima casa o affitto, copertura previdenziale totale dei periodi di assenza dal lavoro per chi si occupa dei bambini durante i primi tre anni. Senza parlare della rete di asili nido, trasporti scolastici, tempo pieno e mense. Risultati del 2019: 9,9 nati per mille abitanti a Bolzano e provincia, 7,8 a Trento.

Temi su cui è opportuno ritornare, sulla spinta di questo “tempo della verità” che la pandemia pone all'attenzione dell’intelligenza sociale; temi preziosi per chi tenta di progettare un futuro diverso da ciò che si è visto e vissuto finora.

Altrimenti che cosa significherebbe l’insorgere dell’idea che, grazie a internet, migliaia, milioni di persone potrebbero tornare nelle frazioni e nei borghi più sperduti potendo mantenere il proprio lavoro?

Altro tema: la minore densità abitativa dei territori cosiddetti “periferici” costituirebbe un baluardo efficace davanti alle future pandemie.

Ma per arrivare all’inversione di tendenza iniziata 70 anni fa con il passaggio da società agricola a società industriale è indispensabile avere una visione non egemone, attualmente, nel dibattito pubblico.

Riflessioni su questa onda sono state espresse a Campi di Norcia (il 14 settembre 2020) nel corso del convegno promosso da "Nuove Ri-Generazioni" Umbria dalla presidente dell’associazione, Elisabetta Masciarri: «La crisi Covid ha reso esplicite nuove domande di servizi e nuovi bisogni a cui si può dare risposta solo cogliendo le opportunità della doppia ricostruzione: post terremoto e Next generation Eu».

«Sono lì le risorse per attivare nuovi strumenti che aiutino a tornare a vivere in questi territori: nuove modalità di lavoro e di studio (vedi lo smartworking o la didattica a distanza), a patto di portare la banda larga in tutto il territorio senza escludere nessun nucleo abitato (o ri-abitabile); ci sono anche nuove esigenze di cura e di assistenza pensabili anche a domicilio o in semplici case della salute».

«Certo non è pensabile di avere in un’area periferica la stessa organizzazione di sanità pubblica di una città, ma ciò non toglie che il Servizio Sanitario Nazionale debba garantire a ogni persona il diritto alla salute: presidi territoriali che possano fare da terminale anche per la telemedicina grazie alla fibra ottica, servizio di trasporto (anche a chiamata) per superare le difficoltà di spostamento di chi non possiede un’auto privata».

A Masciarri ha fatto eco, nella stessa occasione, Fabio Renzi, segretario generale della fondazione Symbola: «Obiettivi che andranno pensati per sviluppare una nuova attrattività, quella che dovrebbe indurre un numero crescente di persone a vivere e lavorare in queste terre a cui vengono sottratti i servizi essenziali. Come potrebbe pensare una giovane coppia di trasferirsi in un Comune dove non ci sono più le scuole elementari e medie?”. ◘

di Andrea Chioini

 


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