Venerdì, 19 Aprile 2024

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La rivoluzione possibile

Agricoltura biologica, allevamenti e pascolo: l'Azienda Cau & Spada di Sassocorvaro

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Alessandra Spada, figlia di uno dei due titolari fondatori dell’Azienda Cau & Spada, è una ragazza dagli occhi svegli con un look tutt’altro che casual; il taglio di capelli evidenzia una personalità di “una che vuole esserci”. Del resto a 32 anni ha già due figli di 12 e 7 anni, una famiglia sulle spalle, come si dice, ma sulle spalle Alessandra ha anche un’altra famiglia, quella “grande” dell’azienda – 100 ettari di terreno coltivato, pascoli, 1800 pecore, 20.000 kg di formaggio venduto all'anno, due stalle, il caseificio e l’ufficio amministrativo – in cui lavora a tempo pieno, con un entusiasmo che emoziona ad ascoltarla, insieme a fratelli, genitori, zii e cugini.

Alessandra, la vostra azienda è un esempio illuminante di come si possa conciliare la tradizione della pastorizia con la modernità di agricoltura e allevamento. Infatti nel vostro biglietto da visita c’è agricoltura biologica, allevamenti a pascolo, filiera corta e prodotti di altissima qualità, che in questo caso è il vostro squisito formaggio, che oggi vendete anche all’estero. Raccontaci come è nata.

rivoluzione possibile 2Mio padre e il suo socio arrivarono qui a Sassocorvaro, in provincia di Pesaro-Urbino, dalla Sardegna negli anni ’70: avevano appena 20 anni, erano due pastori giovanissimi che acquistarono un podere con l’aiuto dei genitori. Era il periodo dell’abbandono e della vendita delle terre da parte dei contadini, che ancora sull’onda del boom industriale emigravano nelle grandi città del nord o della Francia. Loro invece volevano un futuro, una famiglia e un lavoro legati alla terra… il sogno più elementare che ci sia. Trovarono terreni completamente impoveriti: le zolle erano così inaridite, a causa dei fertilizzanti chimici, da sembrare cemento. Da subito sostituirono quei veleni con il letame, perché il gregge pascolando lasciava e lascia dietro di sé oro per il terreno. Mai speso un centesimo per i fertilizzanti. Il metodo biologico è certificato da vent’anni, ma nella sostanza lo pratichiamo da quasi 50 anni.

Cosa significa per voi figli la scelta dell’agricoltura biologica dei vostri genitori?

Moltissimo. È il rispetto degli animali e della natura, è la garanzia di un cibo pulito e – fondamentale – della qualità del nostro formaggio. I pascoli biologici sono ricchissimi di erbe selvatiche che arricchiscono il latte di profumi unici e irripetibili, e noi, lavorando il latte crudo, per la produzione di pecorini stagionati, abbiamo tutto l’interesse e l’attenzione a mantenere questi profumi e questi sapori, oltre alla genuinità assoluta del formaggio, senza trascurare ovviamente le particolarità nutritive vere e proprie dei nostri prodotti.

Quando e come è nata la scelta della filiera corta: la trasformazione in proprio del latte prodotto?

Guarda, non c’è stata nemmeno una scelta deliberata. Il 12 settembre 1973 mio padre e mio zio Antonio arrivarono in Via Ca’ Becchetto e il giorno stesso munsero le 200 pecore, che allora costituivano il “piccolo gregge”. Il giorno successivo trasformarono il loro latte: una settimana dopo quel latte lavorato era già nella piazza di Urbania. Perciò ti dico che la filiera corta non l’abbiamo creata e non l’abbiamo scelta; non sapevamo che sarebbe diventata una modalità cool di fare business: è nata con noi all’inizio della storia. Ovvio che il nostro mercato non è la grande distribuzione; noi commercializziamo direttamente i nostri formaggi in gran parte nella provincia e nelle zone limitrofe. Da qualche anno facciamo spedizioni in tutta Italia e… siamo nelle formaggerie di Parigi e Londra!

Naturalmente per arrivare qui le forze sono aumentate. Nel corso degli anni mio padre si è sposato ed è stato incluso un altro fratello di mia madre, poi siamo entrati noi figli, tutti e cinque, in fila e senza eccezioni! Allo stesso modo è entrata mia cugina, il mio compagno e il suo. Ora siamo in 12: due famiglie e qualche propaggine. Il podere si è allargato, abbiamo costruito un’altra stalla e un caseificio moderno. Tutto in ordine all’aumento delle risorse naturali e delle forze in campo!

La vostra, oltre che un’azienda, che può contare su lavoratori motivati e competenti, è alla prova dei fatti una grande famiglia, un vero e proprio clan. Perciò la linea di demarcazione fra lo spazio privato e quello professionale, forse non è facilmente definibile.

Questa condizione, del tutto insolita oggi che il patriarcato è definitivamente scomparso, ha certamente aspetti di forza, ma forse anche di debolezza.

Tu come la vedi e come la vivi?

rivoluzione possibile 3Per me lavorare in famiglia ha la bellezza di una comunicazione più facile; la nostra è fluida… anche nei conflitti, che a volte sono fortissimi, ma durano poco! Il fatto di essere tutti fratelli e cugini ci permette una grande confidenza; parliamo apertamente di tutto e il dialogo anche davanti a questioni più serie e a volte più grandi di noi… ha lo stesso ritmo di quando si litigava per l’organizzazione di un gioco. Ci conosciamo abbastanza per prevedere i nostri cedimenti o i momenti no. Ci sosteniamo, ci supportiamo e ci sopportiamo! In generale c’è sempre molta allegria. Siamo come trasportati da una energia che muove tutto il nostro microcosmo. Ci riteniamo fortunati per avere la possibilità di lavorare tutti insieme e perché coltiviamo la certezza che per ognuno di noi il posto per lavorare qui ci sarà sempre.

Tu, Alessandra, sei una ragazza. Nell’azienda lavorano altre donne? Come viene vissuta la condizione femminile? Ha senso parlare di pari opportunità?

A lavorare siamo 4 donne. Che dirti? Siamo contente. La nostra è una dimensione più che umana. Come se i ruoli fossero dettati dalla natura. Noi ci prendiamo cura di tutto ciò che rientra nei nostri compiti; gli uomini non ci chiederebbero mai lavori pesanti, e anzi hanno sempre un occhio di riguardo per noi: le nostre mezze giornate, quando ne abbiamo bisogno per la famiglia o per altro, per esempio. Come già detto, è una condizione familiare. Parlare di pari opportunità sarebbe fuori luogo: noi le abbiamo senza chiedere nulla, perché non dobbiamo competere con nessuno; non c’è una escalation di ruoli, non c’è un vero manager e non ci sono capi. Mi rendo conto che noi… è come se fossimo in una bolla. È una situazione molto particolare e privilegiata. Non siamo una azienda industriale e non vogliamo diventarlo. Puntiamo in alto in termini di impegno, di organizzazione del lavoro e di qualità del prodotto, ma per avere una qualità della vita il più possibile priva di stress. Ci sostiene molto avere come obiettivo il buono e il bello. Siamo molto concentrati sul bello, che non è solo la bellezza del nostro paesaggio, ma è la salute della terra, degli animali, i sapori dei formaggi… – come ho cercato di spiegarti – e le donne contano tanto in questo. Nella scelta delle etichette, nel confezionamento, nella comunicazione del nostro lavoro c’è un tocco femminile che ci appartiene, è il nostro. Io mi sento molto realizzata!

Qual è l’"attrazione fatale" di questa azienda per dei giovani, che avrebbero avuto la possibilità di studiare e di laurearsi, di andare via dal "natio borgo selvaggio" per una vita più comoda forse… comunque diversa, per inseguire il fascino dell'altro almeno. E che invece hanno scelto di rimanere, incredibilmente tutti? E per te in particolare?

rivoluzione possibile 4Attrazione fatale? Tonino sarebbe stato molto felice di avere qualcuno dei suoi figli dottore! soprattutto me (femmina e dottoressa, sorride compiaciuta). Non ci ha mai chiesto di lavorare in azienda, siamo stati noi a renderci conto che c’era da fare e il senso del dovere non ha prevalso sul piacere di farlo. Siamo l’anti-stereotipo del contadino e del pastore tradizionale, che “si sacrifica” per il lavoro e per la famiglia. Ognuno di noi qui può esprimere se stesso, scegliendo l’attività che meglio rispetta la sua attitudine. In altre parole, il nostro è un mestiere antico, in linea con il ciclo della natura, ed è vero che lavoriamo tanto, tante ore al giorno, ma la nostra giornata non è così pesante alla fine, perché il lavoro è ricchissimo, creativo, stimolante e molto vario, anche nella ripetitività, che in realtà non è mai tale.

Per me è come per gli altri. Io lavoro in ufficio e aiuto nel caseificio. Nel caseificio c’è molto lavoro, ma c’è chi cura la stalla o va al pascolo, chi lavora la terra con i trattori e gli attrezzi, chi si occupa della consegna della merce o delle commissioni burocratiche. Tutti noi facciamo quello che ci piace, che abbiamo scelto, che ci dà soddisfazione, e comunque la tradizione ci è maestra nel rigore e nel metodo, nella fedeltà a quello che abbiamo scelto, ma non è il nostro fondamento.

rivoluzione possibile 5Il nostro fondamento è il presente, è il nostro progetto di vita e di lavoro. Noi non abbiamo un piano B. La grande differenza fra un industriale e un agricoltore è il fatto che se un anno l’economia va male, spesso l’industriale chiude e magari riapre qualcos’altro… L’agricoltore non venderà mai la sua terra; l’anno dopo cercherà di coltivare meglio, di concimare o nutrire meglio la terra e sperare nella buona stagione. È vero che i tempi sono difficili per tutti, ma per il momento noi siamo protetti in qualche modo dal nostro sistema di produzione, dai nostri prodotti artigianali di nicchia, che non entrano nella competizione industriale, anche feroce, se vogliamo dirla tutta. Se non trasformassimo il nostro latte e lo vendessimo all’industria, con i prezzi di mercato e con i tempi che corrono, non so se saremmo qui a raccontarla. Trasformando il nostro latte possiamo offrire un valore aggiunto, che è la nostra capacità di lavorare e di ottenere un prodotto eccezionale e la capacità di commercializzarlo. Il valore aggiunto è anche la nostra felicità, il nostro amore per quello che facciamo. È la consapevolezza che abbiamo di essere superfortunati perché facciamo parte di un sogno.

Quando mio padre e mio zio hanno cominciato a fare il formaggio per venderlo, le tipologie erano due con in aggiunta la ricotta. Oggi noi della nuova generazione arriviamo a fare con lo stesso latte 15 tipi di pecorini, 15 etichette diverse. Mio fratello Emilio, un innovatore e uno sperimentatore per vocazione, da autodidatta è riuscito in questa impresa non facile e non scontata. Noi giovani siamo orgogliosi di questo risultato che è stato il frutto anche dello scontro con la vecchia generazione. Abbiamo dimostrato che ribellarsi, credere nelle nostre idee e nei nostri sogni ci ha portato ad allargare il nostro mercato ad un livello internazionale, a fare formaggi che vendiamo in Francia e in Inghilterra. Ogni tassello che aggiungiamo strada facendo è un tassello di quel sogno.

Secondo te quanto è replicabile il vostro modello aziendale?

Replicabile dovunque ci sia tanto amore per la natura e per questo lavoro, tanta solidarietà e affetto fra le persone che lavorano insieme. Mio fratello ha appena postato sul suo profilo Istagram: “Dove c’è amore c’è business”. ◘

di Daniela Mariotti


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