Sabato, 20 Aprile 2024

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Riosecco, una piccola frazione diventata quartiere

La grande periferia tifernate

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Quando si ha a che fare con la realtà contemporanea, l’efficacia delle immagini va ben oltre la capacità espressiva delle parole. Le fotografie a corredo di questo articolo mostrano chiaramente come Riosecco fosse una piccola frazione rurale fino agli anni ’50 del secolo scorso e come, invece, dal decennio successivo, prese a svilupparsi di pari passo con l’espansione della Zona industriale nord di Città di Castello.

Fuori porta San Giacomo, il sobborgo del Cavaglione arrivava fino allo stadio comunale. Poi tutta campagna fino alle poche case di Riosecco. Una campagna comunque fertile, molto popolata. Nel 1881 la parrocchia – incluso quindi il suo territorio rurale – comprendeva 484 persone. Poco meno ne aveva la parrocchia di Cerbara, con Regnano.

L’avvio dell’industrializzazione diffusa a nord della città ne ha radicalmente cambiato le sorti economiche e, con esse, il paesaggio. Ancora nel 1962 Riosecco conservava l’aspetto di frazione rurale, con la chiesa parrocchiale da poco edificata e il cavalcavia ferroviario in via di costruzione. Era l’inizio del processo urbanistico che ha portato questo ampio lembo di territorio tifernate ad assumere l’aspetto attuale: un’urbanizzazione senza soluzione di continuità fino a Cerbara e a Selci Lama, una zona industriale fervida di vita e molto popolata e, infine, Riosecco diventato di fatto un quartiere periferico di Città di Castello.

Date queste premesse, e considerato che in quegli anni la crisi economica per l’irreversibile declino dell’agricoltura mezzadrile induceva a industrializzare e a costruire molto, e in fretta, non ci possiamo stupire per l’attuale problematica situazione urbanistica di Riosecco. Il quartiere è cresciuto ai lati della strada statale: transitatissima, rumorosa e pericolosa. Poi si estende fino all’adiacente zona industriale: proprio perché tale, non può offrire standard elevati di vivibilità. Così, come nel resto della periferia, a Riosecco le abitazioni e qualche attività commerciale si sono affiancate le une alle altre senza una visione urbanistica complessiva. L’unico punto di ritrovo sono il complesso parrocchiale e, in qualche modo, l’adiacente area sportiva. Per lo shopping non ci sono certo problemi, vista la vicinanza di più centri commerciali e la progressiva terziarizzazione della zona industriale. Ma non si vive di solo shopping.

Eppure Riosecco ha avuto la fortuna di beneficiare sin dalla sua prima espansione di una combattiva associazione di quartiere e di una parrocchia all’avanguardia nel dialogo sociale e per la straordinaria proposta educativa del suo doposcuola. Esperienze che hanno sicuramente contribuito a cementare l’identità rionale e l’attenzione alle problematiche della comunità. Tuttavia non sono riuscite ad arginare quel degrado – ribadiamo, comune ad altri quartieri – provocato da una speculazione edilizia che trova sempre più o meno nascosti sostenitori a livello politico. La grande stagione dei sogni di riqualificazione urbana, rimasti vivi fino alla metà degli anni ’80, e la mobilitazione di energie che all’epoca ci fu con i consigli di quartiere e circoscrizione, si sono pian piano smorzate mentre crescevano l’ubriacatura consumistica, l’individualismo, il disincanto verso la politica e… la miopia politica degli amministratori.

È così, dunque, che anche a Riosecco in genere si torna a casa dopo una giornata di lavoro e di scuola, ma se ne torna via se si vuole cercare qualcosa di gratificante per la vita sociale. Tipica “zona dormitorio” è quella sorta più recentemente verso le Graticole, pomposamente chiamato Quartiere Ecologico. Il fatto che qualche residente l’abbia ridefinito Quartiere Oncologico la dice lunga sull’immagine che si è fatto. Da un lato non ha aggiunto proprio niente di positivo all’identità di Riosecco; ce lo descrivono privo di vita e di attrattive, senza punti di incontro, svuotato di attività commerciali. Dall’altro vi erano andate a risiedere persone, diciamo così, con una “modesta vocazione” a integrarsi nella comunità locale. Ora sembra che vada meglio; ma tutta una serie di episodi non ha certo giovato alla fama del Quartiere Ecologico.

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Ecologico? Diciamole tutte. Raccontano che ci furono seri problemi per il completamento delle opere di urbanizzazione nella prima metà degli anni ’90; tanto è vero che, conclusa la loro edificazione, delle case rimasero per diverso tempo inabitabili per mancanza di un adeguato sistema fognario.

Né possiamo considerare Ecologico un quartiere “imprigionato” tra la strada statale e la Variante Apecchiese verso l’ospedale, privo di un percorso ciclo-pedonale in direzione del centro storico e del vicino rione delle Graticole. Come è possibile – e parliamo di pochi anni fa, non della convulsa epoca di ricostruzione del dopoguerra – progettare un quartiere “e-co-lo-gi-co” senza che da esso ci si possa muovere in sicurezza e piacevolmente, a piedi e in bicicletta, verso il resto della città? Chi osasse provarci si troverebbe a dover attraversare la grande e pericolosissima rotonda tra Via dei Platani e Viale Alfonsine. In bocca al lupo…

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Quello delle comunicazioni ciclo-pedonali tra periferia e centro storico – lo abbiamo visto – è un problema per tutti i quartieri e ancora lungi dall’essere affrontato con tempestività. Per chi abita a Riosecco anche il collegamento ciclo-pedonale con Castello lungo la strada statale è complesso, tortuoso, scomodo e frammentario. Diventa quindi inevitabile per molti prendere la macchina, anche se il centro è distante poco più di un chilometro. Con tanti saluti all’ecologia e a quel “green” che ormai è sulla bocca di tutti, anche di chi ha fatto poco finora perché le città siano davvero “green”.

Le due “torri” di Riosecco sono il campanile della chiesa e la ciminiera della dismessa fornace Massetti. Il campanile sta lì da quasi sessant’anni a ricordare che per le anime dei residenti c’è un posto sicuro dove trovare ristoro. La ciminiera, ben più antica, simboleggia invece il fallimento della società laica a offrire alla gente un ambiente vivibile. Anno dopo anno quel che resta della fornace cade sempre più a pezzi. Si era parlato di investimenti per valorizzare il sito sia come esempio di archeologia industriale, sia come sede di attività sociali. Di tante chiacchiere e promesse resta in piedi solo una ciminiera tra un mucchio di ruderi, testimone di un quartiere senza un grande passato e dal futuro assai problematico. ◘

di Alvaro Tacchini


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