Lunedì, 14 Ottobre 2024

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Covid-19. Intervista a Giuseppe Corlito

Presidente Anpi di Grosseto, Neuropsichiatra, Co-editor della Nuova Rassegna "Studi Psichiatrici"...

malato terminale

Il confronto scientifico, politico e sociale attorno al Covid-19 non è del tutto chiarificatore. È stato via via studiato il virus, non è mancato chi lo ha collegato al disastro ambientale allo sviluppo neocapitalistico, ma la natura del virus non è stata adeguatamente collocata nella storia e nella società. Si può discutere di una fonte di malattia senza esaminare i rapporti economici e sociali degli ambienti in cui emerge e si diffonde?

«Evidentemente no, perché ogni malattia è legata all’interazione di fattori biologici, psicologici e sociali (secondo l’OMS). È l’equilibro ecologico dell’insieme dei fattori di rischio e di protezione che produce la salute o la malattia. Ciò vale anche per il Covid-19. La vicenda della pandemia è l’inveramento del “paradosso della farfalla”, cioè dell’interdipendenza dei sistemi: se una farfalla batte le ali in Amazzonia, si scatena un uragano nei Caraibi. Lo spill-over (il salto di specie, un fenomeno ultra-moderno) al mercato degli animali macellati vivi di Whuan (una pratica pre-moderna) grazie agli aerei supersonici diventa fenomeno mondiale. La globalizzazione mette a contatto eco-sistemi storicamente distinti e lontanissimi con esiti disastrosi. Poi gli studi disponibili (del Covid-19 sappiamo ancora poco) mettono in relazione la diffusione del virus con tre fenomeni: l’urbanizzazione (sono colpiti gli alveari umani), i paesi con un alto tasso di anziani, l’inquinamento (sembra che il virus si leghi alle polveri sottili). Il “fenomeno Lombardia” si associa a questi tre fattori, oltre che ad un sistema sanitario regionale che ha privilegiato per ragioni economiche di affidamento al mercato privato la risposta ospedaliera a quella territoriale. L’ospedale è diventato un pericoloso “focolaio” di contagio (ricordiamo l’ospedale di Codogno), mentre la risposta territoriale domiciliare è stata quasi assente. Ciò ha determinato un più alto tasso di morti per abitanti in Lombardia (0,16%) e quindi in Italia (0,06%) rispetto alla Germania (0,01%). I fattori economici e sociali hanno un impatto sempre più rilevante man mano che l’interrelazione dei sistemi sociali aumenta esponenzialmente nell’attuale fase di sviluppo neo-capitalistico. Come testimonia l’andamento dei contagi.

La percentuale dei contagiati e l’indice di mortalità variano in rapporto all’età e alla condizione economico-sociale dei contagiati a livello globale. Ritiene che i politici abbiano abdicato al loro ruolo, in favore degli esperti, e abbiano rinunciato a ricercare le cause profonde del disastro umano e sociale mondiale provocato dalla globalizzazione capitalista?

"I politici” è un’espressione mass-mediale, che risponde ad una vulgata populista generica contro la “casta”. In termini manageriali essi sono “i decisori”, o meglio, in termini di economia politica sono i rappresentanti delle classi e dei gruppi sociali. I sistemi elettorali attuali, la crisi dei partiti di massa e la crisi della rappresentanza democratica (in particolare per l’assenteismo elettorale) privano le classi subalterne di rappresentanti diretti. La quasi totalità dei parlamentari rappresenta varie frazioni delle classi dominanti e, quindi, non può essere portatrice di un pensiero critico rispetto all’attuale fase dello sviluppo capitalistico, caratterizzato dalla globalizzazione e dalla divaricazione delle disuguaglianze sociali, che sono ritornate al 1929. Durante il lockdown per la pandemia siamo passati da una critica populista degli esperti, la cui punta massima è rappresentata dai “no vax”, ad una retorica degli “scienziati”, che sono due facce della stessa medaglia populista. Insieme c’è stata la retorica reazionaria e antidemocratica della pandemia come guerra, una sorta di militarizzazione dell’emergenza in cui gli ordini possono venire solo dall’alto, e dei medici e del personale sanitario come “eroi” della trincea in una logica patriottarda da Grande guerra, mentre si trattava di lavoratori mandati allo sbaraglio senza le dovute protezioni e quindi caduti sul lavoro. Rispetto alla realtà di una “seconda ondata” ritornano le critiche scettiche contro la scienza e le sue “verità” negative, circoscritte e probabilistiche. Gli stessi esperti si sono prestati a tali operazioni retoriche, facendosi assorbire dai mass-media e dalle dinamiche della società dello spettacolo. Hanno detto tutto e il contrario di tutto a seconda del committente, senza mai auto-criticare quanto delle proprie previsioni viene contraddetto dalla realtà, che è esattamente l’opposto del processo scientifico. Siamo lontanissimi da un rapporto democratico di collaborazione e reciproco controllo tra decisori e tecnici.

L’indagine politica ed economico-sociale dell’andamento della pandemia rivela che i più colpiti - in tutto il mondo - sono i più poveri, i malati e gli anziani. Si può affermare che il virus è classista? E che dire del fiorire delle tesi complottiste e negazioniste?

Le ipotesi complottiste sono destituite di fondamento dagli studi sulla sequenziazione del DNA del Covid-19, pubblicate da riviste prestigiose. Esse rientrano nella vulgata populista antiscientifica, di cui sopra. L’espressione “il virus è classista” è una semplificazione, il virus è una realtà materiale e biologica, che viene prima dell’economia e della storia, ma la logica sociale della risposta all’epidemia è informata alla divisione in classi della società. Non esiste una natura primeva dalla comparsa dell’homo faber, che ha dato avvio ad una gigantesca trasformazione sociale del pianeta, di cui siamo alle estreme conseguenze, che stanno irrimediabilmente compromettendo gli equilibri ecologici. Possiamo solo parlare di una “natura seconda”, cioè del rapporto uomo-natura, fuori dal quale esiste poco altro, forse residuano solo gli abissi insondabili degli oceani. Che i più colpiti dal Covid siano i meno abbienti del pianeta è una verità dimostrabile epidemiologicamente.

Nella fase difficile che stiamo attraversando potrebbe essere preziosa un’analisi sociale delle diffusione del virus, una ricognizione delle conseguenze della globalizzazione e dei disastri umani e ambientali che ha provocato in tutto il mondo?

Una seria indagine epidemiologica delle disuguaglianze sociali di fronte all’epidemia è auspicabile dal punto di vista scientifico e socio-politico. Potremmo misurare la risposta complessiva dei sistemi sociali, oltre il buonismo dei balconi, che si è sciolto come neve al sole appena si sono fatte stringenti le esigenze della ragione economica. Non possiamo farci illusioni: questa misura veritiera dal punto di vista epidemiologico non potrà sostituire la presa di coscienza dei rapporti di forza tra le classi e della questione del potere, cioè di chi prende le decisioni. Si pensi all’enorme massa di soldi messi in campo a debito, cioè sulle spalle delle future generazioni, senza scelte che indirizzino uno sviluppo eco-sostenibile. ◘

Redazione altrapagina.it


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