Giovedì, 25 Aprile 2024

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Povero Plinio: sedotto e abbandonato!

San Giustino. Scavi di Colle Plinio: come una risorsa diventa un peso. I reperti rinvenuti presso la Villa e caduti nell'oblio

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«Quindi, insieme con il monte, scendono boschi cedui. Fra questi colline grasse e terrose (poiché è difficile rinvenirvi un sasso anche cercandolo) non cedono in fertilità ai migliori campi della pianura; e non meno bene, anche alquanto più tardi, maturano una copiosa messe. Ai loro piedi sorgono per ogni lato vigneti, che per lungo e per largo offrono un solo aspetto; ed hanno all’estremità, e come per dire all’ultima falda, degli arboscelli». (Plinio il Giovane, Ep. V, 6)

Certo non poteva immaginare, Plinio il Giovane, che un giorno le descrizioni di questi luoghi narrati con tanto trasporto all’amico Apollinare avrebbero incluso anche i ruderi di una delle sue ville, una delle più amate. Né che sarebbero state pubblicate in un sito web di recensioni. E tantomeno che queste recensioni sarebbero state appena meno che impietose.
Colle Plinio (Sangiustino): a partire dagli anni ’70 la zona restituisce, in corso di lavori privati nella piana di Santa Fiora, reperti variamente databili, ma attribuibili al periodo romano. Sotto la supervisione della Soprintendenza scavi successivi portano alla luce ruderi che si estendono per una vasta area circostante: sono le fondamenta e i residui strutturali di una parte della dimora di Plinio il Giovane.

img714Gli studi e le ricerche hanno portato a una ricostruzione fedele di quello che era l’impianto originario, destinato probabilmente, in questa specifica parte, all’immagazzinamento del grano e del vino, come testimoniano l’articolazione su due piani distinti, uno inferiore, destinato al vino, e uno superiore, più asciutto, per il grano, la vasca per la pigiatura dell’uva e i tipici otri in terracotta, i dolia, ben visibili anche dalla recinzione esterna dello spazio archeologico. La successione cronologica che ha caratterizzato le diverse edificazioni nel tempo ha permesso di far risalire le prime costruzioni addirittura agli Etruschi; d’altra parte non era infrequente, nei primi anni di scavo, imbattersi in selci preistoriche. Le fasi successive sono state ricostruite anche attraverso il prezioso aiuto dei bolli laterizi (marchi apposti sui materiali da costruzione, che mutando con l’epoca storica aiutano nella datazione), testimonianti il passaggio dal precedente proprietario, Granius Marcellus, a Plinio e in seguito ai suoi successori. In base alla ricostruzione la prima edificazione avvenne tra il 2 a.C. e il 15 d.C. secondo l’impianto tipico della villa romana, con un corpo centrale rettangolare comprensivo dell’impianto termale, della vasca di raccolta dell’acqua piovana e delle cantine. Un secolo dopo Plinio, divenuto proprietario, la ampliò molto, facendo costruire tra l’altro un piccolo tempio e un portico.

Tutto lascia comunque supporre che la villa padronale non fosse questa, ma che si trovasse altrove, probabilmente in una posizione più rialzata ma non lontana, mentre quella emersa dagli scavi sia la parte rustica, dedicata alle opere agricole. Dopo la morte di Plinio il possedimento passò al demanio imperiale e il periodo aureo della zona terminò.

Villa Graziani conserva molti reperti, catalogati ma non esposti, tra cui ceramiche ritrovate durante gli scavi. Colle Plinio ha infatti restituito numerosi frammenti di vasellame color corallo, in ceramica aretina, spesso recanti il marchio in planta pedis, tipico sigillo a forma di piede col nome del vasaio, da cui è possibile risalire alla provenienza della ceramica. Le ceramiche furono successivamente prodotte anche in Africa e Spagna, parallelamente all’espansione imperiale, ma quelle rinvenute a Colle Plinio appartengono al periodo tra l’inizio e la metà del I secolo d. C.

Santa Fiora non è stata avara nel fornirci testimonianze storiche di indubbio fascino e non è difficile immaginarsi i vigneti che circondavano la zona, né comprendere lo stato d’animo di Plinio il Giovane e il suo attaccamento a questi luoghi. È suggestivo immaginarsi il passaggio dal culto di Cerere a quello di Santa Fiora nel rito di celebrazione della terra e delle sue stagioni, un passaggio che non si interrompe nella successione del tempo. È affascinante ritrovare nella terra frammenti di ceramica, o la parte di un coppo, chiedersi quali mani li abbiano creati, quali mani li abbiano usati nel I secolo d. C.

È per questo molto più difficile vedere oggi questo sito sopportare l’impatto con campi d’erba alta e recinzioni che impediscono l’accesso all’area degli scavi, con la copertura in legno che necessiterebbe di un restauro e altre parti non più protette perché le lamiere sono state divelte dalla tempesta del 2015 e non riposizionate, non trovare orari di accesso, percorsi guidati, eventi associati. O una manutenzione recente. Questa campagna bellissima che ci parla di un pezzo di storia, conservato nel suo ventre fino ai nostri giorni, non trova orecchie che l'ascoltino, né intento di valorizzazione: ciò che le è stato sottratto in forma di ceramica, monete, selci preistoriche resta confinato, non accessibile, nella Villa Magherini Graziani, lontano dall’interesse generale, conservando inespresso quel valore culturale che potrebbe essere ricchezza per i visitatori e per il territorio, fonte di prestigio e profitto, anziché un costo e un peso. Né trova più eco nelle epistolae pliniane, ma nelle recensioni deluse di coloro che sono venuti in visita, e che di certo non torneranno. E lascia il senso di qualcosa che non abbiamo recuperato. Ma perso. ◘

Di Chiara Mearelli


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