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"L'accordo di abramo"

Israele e Paesi arabi: La Pax americana che spacca i Paesi arabi Altrapagina.it Articolo Ottobre 2020

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Bahrein e Emirati Arabi Uniti

Sono i due piccoli Stati (insignificanti?) del Golfo Persico che hanno firmato gli accordi di pace con Israele dietro l’ombra dell’Arabia Saudita e l’interferenza, nemmeno tanto dissimulata, degli Stati Uniti d’America. Il 15 settembre dell’anno in corso l’improbabile Presidente Trump ha riunito Abdulatif bin Rashid Al-Zayani, il Ministro degli Esteri del Bahrein, il Ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Abdullah bin Zayed Al-Nahyan e l’indagato (prossimo al processo per corruzione), Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Hanno brindato e firmato l’“Accordo” con sorrisi ossequiosi e trite smancerie. Hanno osato chiamarlo l’ “Accordo di Abramo” facendo credere che si tratti di un accordo di pace. In molti hanno capito che è un accordo che annichilirà ulteriormente la fame di pace dei palestinesi e di tutto il Medio Oriente. In ballo ci sono immensi quantitativi di armi americane, di tecnologia israeliana, di petrolio arabo e l’ossessione/incubo dell’Iran. I due Stati arabi, protagonisti dell’accordo, si sono presentati come due brutali teocrazie che opprimono selvaggiamente l’opposizione politica dei loro rispettivi Paesi. Responsabili, nello Yemen, in alleanza con l’Arabia Saudita, del massacro di decine di migliaia di yemeniti tra i combattenti di etnia "Houthi" e, contemporaneamente, della più agghiacciante crisi umanitaria del mondo. È fuori di dubbio che i petrodollari hanno il potere di anestetizzare, di sottomettere e ridurre in uno stato di dipendenza gli ebrei israeliani, le popolazioni del Bahrein e degli Emirati Arabi Uniti.

L’ “Accordo di Abramo”

1 abramo 1Il documento dell’accordo recita così: «Le Parti s’impegnano a promuovere la comprensione reciproca, il rispetto, la coesistenza e una cultura di pace tra le loro società nello spirito del loro antenato comune, Abramo». Si chiama etnocentrismo quello che fa capolino nel documento dell’accordo. Il Patriarca Abramo viene espunto, con impudenza e cinismo, dai testi biblici e coranici. Utilizzato, in seguito, come una metafora ecumenica. Nel libro biblico della Genesi, Abramo viene descritto semplicemente come un pastore, invitato da Dio (il Dio ebraico) a lasciare la sua terra. Diventa un migrante e uno straniero in un'altra terra che gli era stata promessa da Dio stesso. Si scrive che Abramo sia nato a Ur, lungo il fiume Eufrate, l’attuale Irak. “Eroe della fede” e “Modello del cristianesimo straordinario”, secondo il filosofo danese Soren Kierkegaard. Nel Corano è considerato “l’Amico di Dio” (Khalil, il nome islamico dell’attuale città di Hebron, nel sud della Palestina/Israele). Gli estremisti religiosi (leggi, ebrei, cristiani e islamici) si saranno accalorati scrivendo: l’“Accordo futurista” per i fanatici di ogni religione! Il giovane scrittore palestinese Karim Kattan ha scritto per la Onlus “Associazione di Amicizia Italo-Palestinese”: «“L’Accordo di Abramo” è una versione aggiornata dell’estremismo, arricchita da discorsi di tecnologia pioneristica e tecno-ottimismo per adattarsi alle città-stato dittatoriali del Golfo e allo sfrenato colonialismo della società israeliana, senza scuotere le rispettive basi di identitarismo religioso e di politica di esclusione». Che cosa sta succedendo? Sembra che nell’estrema destra religiosa israeliana, vera miscredente, non esista autentica libertà per i Mizrahin (gli ebrei arabi), per gli arabi cristiani, per gli Ashkenaziti e Sefarditi (gli ebrei di origine europea e origine spagnola), per i Falashà (gli ebrei di origine etiopica), per i non credenti o per gli agnostici. Che non ci sia un luogo per la millenaria e straordinaria geografia sociale e religiosa del Medio Oriente.

La “normalizzazione” della Moschea di Al-Aqsa

torre babeleLo status quo stabilito dopo l’occupazione di Gerusalemme est, nel 1967, stabiliva che solo coloro di religione islamica potevano pregare sull’ al-Haram al-Sharif (il Nobile Santuario, cioè la Spianata delle Moschee), (il Monte del Tempio secondo gli ebrei). Nel 2015, anche Benjamin Netanyahu aveva accettato questo status quo. Tutti possono visitare i 1400 metri quadrati dell’al-Haram al Sharif, ma a nessuno, a parte coloro che sono di religione musulmana, è consentito di pregare. Ora, nella dichiarazione congiunta tra gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, Israele e gli USA si aggiunge una frase enigmatica e sibillina: tutto quello che c’è sul “Monte del Tempio” che non sia la struttura della Moschea viene definito «Uno dei tanti siti sacri di Gerusalemme (est) aperto a tutti, gli ebrei inclusi, per la preghiera». Secondo la “Terrestrial Jerusalem”, una agenzia non governativa israeliana, la frase, nemmeno tanto misteriosa, «cambia radicalmente lo status quo e assume conseguenze di vasta portata e potenzialmente esplosive». Daniel Seidemann, un avvocato israeliano, conosciuto specialista dei problemi di Gerusalemme, ha dichiarato: «Sono profondamente preoccupato per quello che sta accadendo. Quello che stiamo vedendo a Gerusalemme è l’ascesa delle fazioni religiose che usano la fede come un’arma. Siamo su una strada che ci condurrà a una conflagrazione. (…) Ogni singola parola (dell’accordo) è stata elaborata da un gruppo congiunto USA /Israele. Il passaggio dal termine al-Haram Al-Sharif a quello di Moschea di Al-Aqsa non è un errore». I palestinesi hanno ancora nella memoria dolente la divisione, a suo tempo, della Moschea di Ibrahimi a Hebron (La Tomba dei Patriarchi secondo gli ebrei).


L’esistenza dell’Iran, un incubo ossessivo

img393Dopo aver devastato l’Irak, annientato la Siria e cancellato per metà lo Yemen, ora occorre mettere sotto tutela l’Iran del Golfo Persico. Dissimulati dietro “L’Accordo di Abramo”, USA, Israele, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti, si dispongono a mettere a ferro e fuoco lo Stato più grande e importante del Medio Oriente. Per più precisione, gli iraniani preferiscono essere chiamati un popolo dell’Asia centrale. La rivista “Limes”, del mese di luglio 2018, pubblicava un unico numero con il titolo (per certi versi non del tutto condivisibile) “Attacco all’Impero Persiano”. In un lungo articolo l’autore Marco Livi chiamava l’attuale Iran “Eransahr” «paese degli er, ovvero Arya, (Ariani?) nella forma e nel nome che aveva nel 300 dopo Cristo». L’Iran attuale è un paese antico, pieno di cultura e straripante di energia. Non è più l’Impero Persiano: è solo uno sterminato Paese di quasi un milione e settecento mila Km quadrati, con una popolazione di 90 milioni di abitanti. È una giovane Repubblica islamica, nata nel 1979 dopo un solenne referendum popolare approvato dalla grande maggioranza degli Stati del pianeta. È uno Stato sciita, la seconda religione islamica più rilevante dopo il sunnismo. Sciiti sono gli iracheni, di origine sciita i siriani e gli yemeniti (sciiti e sunniti, ne riparleremo). I sunniti, con le armi americane e la tecnologia israeliana, si propongono, dopo “L’Accordo di Abramo”, di dare l’assalto alla Repubblica islamica dell’Iran. C’è da tremare perché, fuori di ogni dubbio, la risposta dello Stato iraniano sarà sicuramente proporzionata. Il Golfo Persico, nella parte araba, dall’Oman agli Emirati Arabi Uniti, dal Qatar al Bahrein all’Arabia Saudita e al Kuwait, è costellata, come una corona, di 8 basi militari americane con migliaia di soldati, la Quinta e la Sesta flotta con portaerei e centinaia di cacciabombardieri e sottomarini atomici. La guerra sarebbe un inimmaginabile diluvio di fuoco. Da sgomentarsi e tremare per tutti i Paesi del Mediterraneo. ◘

Di Antonio Rolle


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