Crisi del Centro Storico tifernate
Via Oberdan, che segna il confine tra i rioni Mattonata e Prato, era a certe ore del giorno la via più transitata di Città di Castello. Chi – perché troppo giovane – non può ricordarlo, cerchi di immaginare le centinaia e centinaia di cittadini che accedevano all’ospedale e di tabacchine che inondavano la strada per recarsi allo stabilimento della FAT. Ora è una delle vie dall’aspetto più sinistro, con quel bel palazzo settecentesco dell’ex-ospedale in abbandono, la cui facciata si screpola, sfregiata dai graffiti, vittima di una ventennale incuria.
A pochi metri di distanza, il mitico campetto di calcio e oratorio di San Giovanni in Campo il pomeriggio formicolava di vita giovanile. Ora sulla piazzetta si affacciano due re- sidenze assistite per anziani. Ecco un’altra mutazione simbolicamente significativa.
Lì a due passi, all’imbocco di via della Mattonata, c’era il rinomato Istituto per Cieche “Beata Margherita”: decine di ospiti da tutta Italia e opportunità di lavoro per diversi tifernati. Quelle “ciechine” a passeggio per la città, in fila per due, contribuivano alla nostra identità. Lo stabile è stato frazionato in appartamentini; pensavano che ci sarebbe andata a vivere diversa gente, ma non è andata così.
Se si percorre ora la lunga strada che dalla porta del Prato conduce al corso, si tocca con mano l’amara realtà di un centro storico moribondo. Lo scorcio più spettrale è verso l’imbocco di via Oberdan: da lì si scorge uno squarcio dell’imponente facciata meridionale dell’ex Cinema Vittoria, ormai ridotto a rudere. Dovrebbero costruirci appartamenti: ma quando?
Via San Florido e il suo prolungamento via Marconi erano un’arteria pulsante di vita sociale e commerciale. Negozi, anche di qualità, diversi ristoranti e locali pubblici, botteghe artigianali, sedi sindacali e politiche. Resta ben poco ora. Alcuni tratti sono desolatamente deserti: portoni e saracinesche chiusi da anni. Non si vedono nemmeno i cartelli “Affittasi” o “Vendesi”, tanto quegli spazi non interessano a nessuno. Sono almeno 45, da porta San Florido allo sbocco nel corso, le attività commerciali di varie dimensioni che non esistono più. Fa una certa impressione vedere quelle porte sbarrate, quelle vetrine vuote, quelle saracinesche coperte di polvere e ragnatele dove prima c’erano il biciclettaio, il fotografo, il fioraio, il barbiere, il fabbro, il negozio per cacciatori e pescatori, la pizzeria, la rappresentanza macchine da scrivere, la ferramenta e il falegname.
Già, i falegnami: proprio tra via San Florido, via dei Casceri e gli adiacenti vicoli negli anni ’50 si sviluppò quasi per miracolo – ma era frutto di ingegno e di sudato lavoro – l’artigianato del mobile in stile, che per decenni ha dato lustro all’economia tifernate. Fa ancora senso il pensare che questo settore artigianale, prima di trovare sede più adeguata nella zona industriale, sorse e si sviluppò proprio in quegli angusti fondi del Prato.
Eppure qualcosa si muove, a stento. “Piazza della Gramigna” (ufficialmente piazza del Garigliano) era una zona pulsante di vita, anche perché vi si affacciavano due negozi di ferramenta e coloniali tra i più importanti della città. Ora si anima dal tardo pomeriggio grazie a un bar che s’è fatto una vasta clientela giovanile. Emblematico il fatto che gli avventori del bar si godano la piazza proprio perché non c’è nessun'altra attività che disturbi l’“happy hour” serale. Buon per loro, ma triste destino sarebbe quello del centro storico se diventasse solo la quinta scenica dove mangiare e bere…
C’è dell’altro nel rione che può infondere un po’ di ottimismo. Il complesso di Palazzo Vitelli alla Cannoniera, con la Pinacoteca, è un gioiello della città. Il restauro delle mura urbiche dal Cassero a Porta Santa Maria ha dato il giusto decoro a queste antiche vestigia della storia tifernate tra il Prato e la Mattonata. Ed è apprezzabile la sistemazione dei Frontoni, con l’area pedonale protetta e il sottostante ampio parcheggio (da difendere dal vandalismo notturno, purtroppo). Inoltre i due rioni hanno un facile e immediato accesso all’area verde che costeggia il Tevere, con il suo frequentatissimo percorso ciclo-pedonale.
Infine il recupero dell’area ex-FAT, con l’ampio piazzale tra la Mattonata e Palazzo Vitelli alla Cannoniera e i nuovi stabili a destinazione residenziale e commerciale. Ormai i lavori sono quasi completati e dopo tanti anni questa zona cruciale tornerà, pian piano, a essere vissuta. Conosciamo bene le tribolate vicende politiche che per anni si sono intrecciate intorno alla spinosa questione dell’ex-FAT. Questo giornale prese nettamente posizione per una soluzione urbanistica diversa e migliore. Non è andata a finire come ci si augurava e, per certi aspetti, c’è da dolersene: certe occasioni bisognerebbe coglierle al momento opportuno. Ma ci vorrebbero un ceto politico più lungimirante e degli imprenditori che amino di più la città. Ci vorrebbero…
A questo punto – è il mio personale punto di vista – è meglio guardare al bicchiere mezzo pieno. In fin dei conti i progetti iniziali prevedevano una cubatura di nuove costruzioni nettamente superiore; il ridimensionamento è stato considerevole e ora bisogna augurarsi, per il bene della città, che la zona non diventi una delle classiche “cattedrali nel deserto”. Ci sarà gente che andrà ad abitare nei nuovi appartamenti? Ci saranno attività commerciali che si sposteranno nel nuovo piazzale? Se ciò avverrà, si tratterà di un notevole passo avanti per la vivibilità del centro storico, in attesa del recupero del vecchio ospedale.
Anche i rioni Prato e Mattonata hanno sofferto di un progressivo spopolamento, che come abbiamo rilevato nei precedenti articoli di questa inchiesta, è un fenomeno ormai ventennale. Ed è soprattutto in questa parte meridionale del centro urbano – in particolare al Prato – che si sono insediati immigrati stranieri. Le due botteghe arabe di macelleria e alimentari di via San Florido sono emblematiche di un radicamento ormai consolidato, favorito dalla disponibilità di appartamenti in affitto più a buon mercato. Di pari passo si è trasferita in periferia parte della popolazione originaria dei due rioni. Di tifernati residenti da generazioni al Prato e alla Mattonata ce ne sono sempre meno. In modo encomiabile, le società rionali tengono in vita le loro tradizioni, ma è evidente che il loro bacino di coinvolgimento sia ormai l’intero centro urbano, non più soltanto il quartiere. La secolare festa della Mattonata propone da anni il suo Palio dell’Oca in “piazza di sopra” e non nella caratteristica piazzetta delle Oche; le osterie rionali, anima di quelle feste, non esistono più da un pezzo. E le Giornate dell’Artigianato Storico promosse dalla società del Prato, oltre che costituire una straordinaria vetrina per il rione, erano diventate un evento cittadino di grande coinvolgimento. Peccato per quelle frange giovanili balorde e avvinazzate che vi si davano appuntamento per i loro eccessi: a dimostrazione che il recupero del centro storico non passa attraverso la libertà scriteriata concessa a chi vi si raduna solo per bere, mangiare… e pisciare per strada.
Gli ancora timidi segnali di insediamento nei due rioni di giovani coppie di italiani andrebbero nella direzione giusta. È questo tipo di ripopolamento che va incentivato, con agevolazioni di carattere edilizio e fiscale che riguardino sia l’acquisto e la ristrutturazione, sia l’affitto delle abitazioni. Assai discutibile, secondo alcuni, è stata la scelta di qualche proprietario di frammentare le abitazioni in miniappartamenti: quello che può andar bene per un single è troppo stretto per una coppia che vorrebbe avere figli.
Ciò che devono saper assicurare le autorità locali sono anche il decoro, la tranquillità e la sicurezza dei rioni. Considerata la complessità del dedalo di vicoli che li compongono, la situazione è tollerabile quanto a pulizia. C’è però chi lamenta una certa riluttanza di nuclei di immigrati a mettere in pratica la raccolta differenziata dei rifiuti; il Comune dovrà trovare il modo di far rispettare le regole. E c’è chi lamenta il saltuario fracasso notturno di qualche locale pubblico. Problemi in fondo risolvibili a livello locale se gli amministratori ci ponessero la necessaria attenzione. Quanto alla sicurezza, sembra che non ci siano grandi problemi. Ma si sa che tra i vicoli è facile nascondersi per il piccolo spaccio di stupefacenti. Infine la questione dei parcheggi. I residenti più comprensivi si rendono ben conto che quelli esterni alle mura sono al momento sufficienti e che l’area sotterranea dell’ex-FAT renderà disponibile un numero importante di nuovi posti auto. Invece qualche commerciante auspicherebbe un maggior flusso di traffico lungo via San Florido, dando la possibilità a chi entra in città di sostarvi per gli acquisti. Ma come, vien da chiedersi; sloggiando dalla strada le auto in sosta dei residenti? Non tornerà più l’epoca, ricordata con nostalgia da qualcuno (ma aborrita da altri), quando “la gente parcheggiava qui e poi si recava in piazza”.
La rinascita di questa parte del centro storico dipenderà dunque dal progetto di recupero e utilizzo del vecchio ospedale e, come nel resto della città, dalla capacità di incentivare l’insediamento di nuove famiglie – soprattutto giovani e non solo straniere – e di iniziative commerciali e artigianali che si contraddistinguano per la qualità dei prodotti.
Di Alvaro Tacchini