Elezioni americane. A seguito dell’epidemia di coronavirus molti Stati hanno già tagliato diverse migliaia di seggi. Un rischio per il presidente/candidato, che cerca di ostacolarlo in tutti i modi
Già da qualche giorno Donald Trump ha lanciato l’allarme: le prossime elezioni di novembre potrebbero – anzi secondo lui sicuramente saranno – falsate, fraudolente, inattendibili. Come mai tutta questa preoccupazione, a parte il fatto che il suo indice di gradimento è ormai di quasi dieci punti inferiore a quello del suo concorrente democratico, Joe Biden, e sono in molti a prevedere una débâcle repubblicana anche nelle contestuali elezioni per il Congresso?
La risposta sta in quello che viene chiamato il “blue shift”, lo spostamento verso il blu (democratico) dello spettro politico. È un fenomeno che si è manifestato già nelle ultime quattro elezioni presidenziali, a partire da George Bush junior. Volta dopo volta si è visto che i dati forniti la notte stessa delle elezioni sono stati significativamente modificati la mattina dopo o nei giorni successivi, via via che venivano contati i voti giunti per posta, i voti per procura, o i cosiddetti voti provvisori, cioè quelli accettati ai seggi salvo successive verifiche sul diritto dell’elettore a votare. La sera prima le reti televisive e i siti internet si affrettavano a proclamare i vincitori ai vari livelli (Contea, Stato, Congresso federale), per poi dovere correggerli il giorno dopo e, in alcuni casi, svariate settimane dopo.
Teoricamente il fenomeno dovrebbe riguardare entrambi i principali partiti politici, ma di fatto favorisce soprattutto i Blu, cioè i democratici. Perché? Perché la maggior parte delle persone che votano per corrispondenza (a parte i cinque Stati in cui è l’unica forma di espressione del voto) sono per lo più anziani con difficoltà a muoversi, oppure studenti fuori sede che a lezioni iniziate non hanno tempo o voglia di tornare nelle loro città di residenza, o ancora lavoratori che non possono permettersi di assentarsi per passare ore e ore ai seggi per votare di persona. In tutti questi casi la maggior parte di costoro appartengono a categorie che votano o voterebbero per i democratici. Poi ci sono i provisional ballots, i voti provvisori. Nei seggi, con grandi variazioni da Stato a Stato e da Contea a Contea, vengono accettati provvisoriamente anche i voti di persone che in base alle norme (spesso confuse e contestabili) non hanno un chiaro diritto a votare: non possono cioè dimostrare di essere cittadini americani o di essere residenti in quel distretto, o non risultano registrati nelle liste elettorali di un dato seggio.
Il motivo è che in un Paese in cui non esiste un’anagrafe nazionale, né carte d’identità universali, si accettano come documenti d’identità altri tipi di documenti, come la carta della previdenza sociale, la patente, il tesserino dell’università e altri – ma non per votare. Per quello ci vuole un documento con la fotografia, come la patente, ma non tutti ce l’hanno o se ce l’avevano non è più valida o è priva di fotografia. Alcuni Stati poi consentono anche ai non cittadini purché residenti di votare per le elezioni locali, ma non per quelle federali contestuali.
Da qui una infinità di contestazioni, con l’intervento degli avvocati dei rispettivi partiti, che si trascinano per giorni e giorni. Come che sia, quando i voti provvisori vengono decisi, spesso si scopre che sono voti democratici semplicemente perché anche in questo caso le persone di cui sopra – immigrati naturalizzati, persone prive di documenti con fotografia, e quindi spesso a reddito basso e con scarso livello di istruzione – tendono a votare a maggioranza per il partito democratico.
Quest’anno, come teme il Presidente in carica, il “blue shift” potrebbe avere dimensioni drammatiche e rendere ancora più precarie le sue chance di rielezione.
A seguito dell’epidemia di coronavirus molti Stati hanno già tagliato diverse migliaia di seggi e conseguentemente si prevede un drastico aumento dei voti per corrispondenza. Già in precedenza il numero dei seggi – circa 100.000 in tutto il Paese – era fortemente inadeguato in relazione alla popolazione residente (si pensi per fare un raffronto che in Italia con una popolazione di un quinto di quella degli Stati Uniti i seggi sono più della metà) e questo spiega le apparentemente incomprensibili – incomprensibili per un Paese civile – file ai seggi che durano anche l’intera giornata. Allo stesso tempo, la crisi economica (nonostante il buon andamento della Borsa!) che ha colpito e impoverito ulteriormente gli strati più indigenti della popolazione – neri, ispanici, anziani – avrà come conseguenza un aumento dei provisional ballots e conseguenti contestazioni, con il risultato di aumentare l’incertezza sul risultato del voto, almeno per parecchio tempo.
Ci si aspetterebbe che in una situazione del genere si stessero già pianificando sforzi straordinari da parte del servizio postale, assumendo migliaia di operatori e potenziando i centri di raccolta. E invece niente. Il Postmaster General, Louis DeJoy, un amico personale di Trump e grande finanziatore repubblicano, non si muove, sembra essere assolutamente tranquillo. La ragione? Se catastrofe sarà, come è prevedibile che sia, tornerà tutta a vantaggio del suo capo: più confusione nell’arrivo delle schede per posta, più intasamenti e ritardi, gli consentiranno di arginare il “blue shift” e di gridare (come già sta facendo): “elezioni truccate!!!”.
Redazione