Razzismo: L'uccisione di George Floyd ha scatenato una nuova ondata di violenza razzista negli Stati Uniti
Migliaia di manifestanti in marcia su Washington, altre migliaia per le strade delle principali città statunitensi, europee, italiane, al grido «No Justice No Peace»: il movimento antirazzista seguito all’assassinio di George Floyd scuote l’America e l’Occidente, come il Covid, forse più del Covid. Se il Coronavirus è l’effetto del nostro disastroso rapporto tecno-consumistico con la natura, con gli eco-sistemi naturali, il razzismo è l’inevitabile «effetto» storico del Potere, «il volto demoniaco del Potere». Il satanismo non è da riferirsi solo al nazismo, o al nazi-fascismo, ma al «lato oscuro», infernale del Potere in sé, visto nella totalità dei suoi aspetti: politico, militare, giuridico, economico, culturale.
La prima fonte storica del razzismo è lo schiavismo, conseguenza soprattutto della guerra, della violenza bellica. Il Codice del re babilonese Hammurabi (1792-1750 a.C.) è tra le sue prime codificazioni scritte. Prescrive una società divisa in tre classi: a) i «liberi», nobili e possidenti, titolari dell’uso delle armi; b) i «semiliberi», cioè liberi ma non possidenti e non armati; c) gli «schiavi», né liberi né possidenti, merce oggetto di compra-vendita. La classe «superiore» è ovviamente la prima, costituita dall’aristocrazia proprietaria e guerriera di fronte a cui l’«altro» è in primo luogo il «nemico», lo straniero, il diversamente pensante e parlante, il «barbaro» (in altri contesti storici il non-greco, il non-romano, il non-europeo). Per Hammurabi solo chi apparteneva alla nobiltà meritava il nome e la qualifica di uomo: lo schiavo era assimilato alla bestia.
L’ordinamento politico-sociale dell’antichità (dagli Imperi assiro-babilonesi a quello egiziano, dalla Città-Stato greca all’Impero persiano o romano) era ispirato al Codice babilonese. La causa originaria della caduta in schiavitù era innanzitutto la cattura in guerra, e secondariamente l’indebitamento: si diventava schiavo per legge se debitore insolvente e, ancor più, se prigioniero di guerra. L’ideologia giustificazionista faceva il resto: de-umanizzava lo schiavo, lo degradava a «strumento animato» (Aristotele); occultando della schiavitù le radici storiche (la guerra, il danaro, la proprietà), e cosi trasformandola, col tempo, in una condizione naturale, biologica, sub-umana, animalesca. Ancora Nietzsche, a fine Ottocento, parlava di «schiavismo» e di «razza di signori e di schiavi», sentenziando nel contempo: «mai rendere eguale l’ineguale». Da ricordare che la schiavitù, in varie forme e gradi, è ammessa nella Bibbia ebraica, nel Nuovo Testamento e nel Corano.
La seconda fonte storica del razzismo è il colonialismo moderno, sui cu si innesta lo schiavismo nero statunitense, che in questi giorni Joe Biden ha battezzato come «peccato originale che tuttora macchia e deturpa gli Usa», e a Noam Chomsky ha fatto dire che «l’America è fondata sulla schiavitù». Mi riferisco alla conquista delle Americhe, all’Asiento, alla tratta dei neri, comprati a prezzi irrisori nei Regni islamici schiavisti o catturati e deportati come schiavi dalle coste atlantiche dell’Africa nelle colonie spagnole del Nuovo mondo. Negli Stati Uniti la schiavitù dei neri o afroamericani, utilizzati nelle piantagioni di cotone, caffè, ecc. degli Stati del Sud, risale al 1619 (400 anni fa). Da allora una serie di Leggi scritte, supportate da consuetudini fortemente radicate, ne codificano la legittimità, riconosciuta, entro certi limiti e condizioni, anche dalla Costituzione americana del 1788. Fino al XIII Emendamento, promulgato quasi un secolo dopo, nel 1865, da Abraham Lincoln, che ne sanzionava l’abolizione ufficiale, dopo un lungo, intricato violento conflitto politico, economico e ideologico tra schiavisti e antischiavisti, che aveva portato alla sanguinosa Guerra di secessione del 1861-64.
Solo col XV Emendamento, approvato nel 1870, gli afroamericani conquistano finalmente, almeno sul piano formale, il diritto di voto, ma il conflitto tra abolizionisti e antiabolizionisti procede ancora per lungo tempo, a zig zag, a livello federale e locale, tra ribellioni dei neri represse nel sangue dall’apparato statale e le feroci attività terroristiche del Ku Klux Klan e altre società criminali semi-segrete, specializzate nel linciaggio dei neri. Due i punti fondamentali del loro «Credo» ideologico-religioso (saccheggiato in questi giorni nelle sue infelici esternazioni dal Presidente Trump), riscontrabili quasi simili anche nella dottrina naz ista: il suprematismo bianco (superiorità «per natura» della razza bianca sulle altre razze inferiori) e l’antiegualitarismo («l’eguaglianza va bandita per sempre», perché socialmente e politicamente «pericolosa»). Solo un secolo dopo, nel 1965, fu approvato il Civil Rights Act, a coronamento del Movimento per i diritti civili dei neri, il cui eroe-simbolo fu Martin Luther King. Il brutale omicidio di George Floyd, che ha originato le manifestazioni odierne, prova che il suo «sogno» di riscatto e di eguaglianza (I have a dream) è ancora, in gran parte, un sogno.
La terza fonte storica del razzismo è il potere economico, la contraddizione tra chi ce l’ha e chi ne è privo, tra classi e nazioni ricche e povere, e che, presente in tutte le società storiche, a cominciare da quella babilonese del Codice di Hammurabi, ha assunto nell’Occidente capitalistico moderno, fondato sull’«individualismo proprietario» e sull’oppressione coloniale, e ancor più nell’odierna epoca di neoliberismo globalizzato, dimensioni sempre più gigantesche e tragiche. Su di essa si declina ogni altra forma di diseguaglianza sociale: di condizioni materiali, di lavoro, di genere, di appartenenza etnica e religiosa, o relativa alla sanità, all’istruzione, al tenore di vita, ai consumi, ecc. Logiche di esclusione, divisive, discriminatrici, che hanno nel razzismo la loro suprema giustificazione e motivazione.
Gli Stati Uniti, in positivo e in negativo, ne sono un modello esemplare. Da un lato il paese più ricco, opulento e pieno di opportunità al mondo, della libertà delle donne, del più ampio pluralismo multietnico e multireligioso, e così via; dall’altro il paese della povertà relativa più alta al mondo (l’1% più ricco detiene il 40% della ricchezza nazionale), della religione civile nazional-imperiale del Manifest Destiny (o del God bless America), della violenza antiabortista, della segregazione dei neri, dell’odio contro le minoranze etniche.
Se di questi tratti principali è fatto, ovunque e sempre, ma ancor più ai giorni nostri, il cosiddetto «volto demoniaco del Potere», lo slogan antirazzista «No Justice No Peace» gridato oggi nelle piazze di mezzo mondo chiama invece e invoca, restando nella metafora teologica, l’altro volto del Potere, opposto, luminoso, virtuoso, costituzionalmente democratico, finalizzato alla garanzia di giustizia e libertà, per tutti e per ciascuno. Poiché negli Usa e dovunque, il Potere, la sua organizzazione, le sue finalità, le sue leggi sono umane, irriducibilmente umane, opera nostra e solo nostra e non di un presunto Dio/Sole, o Creatore del sole, dipende da noi, dalle nostre idee, scelte e azioni, se poi prevale l’uno o l’altro dei due volti di questo Giano bifronte.
Di Michele Martelli