LIl quinto anniversario della morte di Enzo Rossi, direttore e fondatore del giornale, è l’occasione opportuna per fare il punto sul percorso fatto. Dopo la sua scomparsa era difficile credere che questa esperienza sarebbe sopravvissuta, perché nessuno di noi aveva una chiara visione del lavoro giornalistico come lui aveva. Nonostante ciò siamo andati avanti proprio per fedeltà a questo progetto editoriale e per l’amicizia che ci legava, e così, in punta di piedi, siamo arrivati al 36° anno di vita: un traguardo ragguardevole.
Ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo cambiato formato, grafica, impostazione facendo un lavoro che comincia a dare i suoi frutti. Abbiamo in parte rinnovato la redazione non senza fatica, ma possiamo essere soddisfatti. Abbiamo conservato il pluralismo che ci caratterizza, riuscendo a trovare di volta in volta la sintesi faticosa sugli aspetti più rilevanti, senza perdere l’ispirazione originaria. Abbiamo imparato a rispettarci, a valorizzare le differenze, a ragionare con chi è in disaccordo; abbiamo capito che la democrazia è una bella parola molto difficile da praticare.
Di tutto questo dobbiamo ringraziare don Achille che, pur nel suo comprensibile dolore, ha incoraggiato tutti a proseguire, e la moglie di Enzo Marcella e la figlia Benedetta anche loro parte viva di questa esperienza. Un ringraziamento da estendere a noi stessi per il lavoro svolto, consapevoli di non dover rendere conto a nessuno, se non ai nostri lettori. Siamo rimasti liberi, non abbiamo padroni a cui doverci inchinare in un momento in cui l’informazione approda a nuove dipendenze, nuovi carri a cui legare le proprie sorti e le proprie idee. E anche quelle del Paese nel suo transito più difficile della storia repubblicana, e nel momento in cui la stessa storia del mondo è costretta a cambiare rotta, come sostiene Ignacio Ramonet: «L’Apocalisse bussa alla nostra porta» e nessun governo o istituzione è più in grado di far fronte alla nuova situazione.
Nonostante ciò, i poteri si stanno riorganizzando e non è un caso che si ricominci dall’informazione: giornali e Tv prima di tutto, mentre la politica è tornata a fibrillare nel solito modo pre-crisi, con un attacco sconsiderato a un governo che in questa fase ha saputo navigare contro le più infauste previsioni. Noi siamo stati spesso critici col premier e alcuni attori dell’attuale coalizione, ma non possiamo non riconoscere che oggi non c’è alternativa possibile né auspicabile a questo esecutivo, visti i comportamenti irresponsabili di una destra sempre più radicale, mentre l’Europa continua a traballare nonostante una crisi che mina i fondamenti stessi della sua costruzione.
La posta in gioco è altissima e non si può tornare a un prima rassicurante, perché il virus ha sbarrato questa strada. Così la comunicazione diventa fondamentale. Dall’informazione può dipendere la creazione di una democrazia matura oppure il suo contrario. Oggi tutto lascia pensare che la seconda opzione, ossia un lento scivolamento verso società più autoritarie e condizionanti, sia la più probabile. Lo testimoniano la persecuzione di giornalisti in tutte le parti del pianeta, mentre i padroni della rete come Google, Amazon, Apple, Facebook spengono le voci di una informazione libera. Resistere a questo attacco è stata l’ultima battaglia di Giulietto Chiesa, un amico de "l'altrapagina" scomparso proprio nel momento in cui occorrevano lucide analisi, un giornalista che pur in mezzo a mille contraddizioni ed errori era riuscito a guardare oltre il suo recinto, a rimettersi in gioco, a sporcarsi le mani senza paura di perdere la purezza, male endemico di tanta sinistra, che continua a vendere merce avariata come fosse buona. Mentre il mondo viaggia con i big data, con gli algoritmi e l’intelligenza artificiale, non si può continuare a scrivere la storia col pennino e calamaio e con le incrostazioni ideologiche del ‘900, che finiscono per essere solo consolatorie.
Oggi, sosteneva Ernesto Balducci, scopriamo di essere isole culturali, ognuna indipendente e allo stesso tempo inestricabilmente interconnesse, e i vecchi strumenti di lavoro, di analisi, non servono più, sono superati, devono essere reinterpretati. L'Altro è venuto in casa nostra, le diversità si sono mescolate, e abbiamo appreso che ognuno mangia, si veste, pensa e prega in modi altrettanto diversi. Tutto ciò ha creato una voragine incolmabile: gli egoismi si sono moltiplicati; razzismo e populismo, terreno fertile per le destre, hanno preso la scena.
In un mondo completamente cambiato non abbiamo perso la consapevolezza di essere una goccia nel mare, anche se una goccia libera di dire e di contraddire, di esprimere le nostre idee con la responsabilità che tale esercizio comporta, compresi gli errori da cui non intendiamo assolverci, perché l’errore fa parte del lavoro giornalistico quando cerca di andare oltre la realtà apparente dei fatti. Abbiamo guardato in faccia il potere e siamo stati ripagati con l’insulto, il dileggio, l’ostracismo.
Come tutte le testate giornalistiche ci siamo adattati al cambiamento dei tempi mettendo in rete il giornale. E i risultati cominciano a farci vedere una piccola luce in fondo al tunnel. In soli quattro mesi di vita abbiamo registrato oltre 70mila accessi, nuovi abbonamenti, un’attenzione che ci carica maggiormente di responsabilità.
Da molto tempo ci veniva detto che il tenore e i contenuti del mensile meritavano un uditorio molto più ampio di quello locale e regionale, e ora lo stiamo piano piano realizzando senza aver snaturato l’impostazione originaria che Enzo gli aveva impresso e che si rivela ancora oggi carica di sviluppi fecondi. Ci aveva guidati a questa continua ricerca con la curiosità di conoscere, di scopire e raccontare, con l'attitudine a lasciarsi coinvolgere e ascoltare. Il suo è stato un lavoro intelligente e meticoloso, fatto con acume e con ironia: una lezione indimenticabile di impegno e di vita. E anche un’eredità da portare con onere e onore.
Di Antonio Guerrini