Nelle tempeste i saggi, sdraiati sul fondo della stiva, si fidano dei nocchieri al timone, i soli a poter guidare il vascello in un mare sconosciuto verso il porto, con gli strumenti e le responsabilità assegnate.
In silenzio, approfittano del tempo dell’ozio per meditare sul senso della vita e sul riordino delle priorità nel nuovo mondo, come è stato fatto magistralmente in queste pagine in risposta alla lectio magistralis impartitaci dal virus.
I saggi commiserano i picadores che infilzano le banderilla sulla cervice del toro per allettare gli istinti negli spalti della corrida.
Verrà il tempo di analizzare gli inevitabili errori compiuti dall’equipaggio, ma solo per migliorare la rotta nella prossima tempesta, senza processi basati sulla viltà del senno di poi.
Oggi, silenzio. In casa, obbedendo senza lamentazioni puerili.
Sarebbero insulti verso i tanti concittadini che si stanno prodigando in una tremenda trincea per tutelarci.
Sarebbero patetici agli occhi di quelli che sono stati costretti, all’opposto, ad abbandonare le loro case durante lo sfollamento nel ‘44; sconvolti e impauriti, ma confortati dall’accoglienza nelle stalle delle campagne vicine.
Sarebbe un sacrilegio rispetto ai nuovi sfollati che, anche in questo momento, fuggono da guerre abominevoli, di cui nuovi barbari dovranno rispondere alla storia: mandrie transumanti su territori sconfinati, lontanissimi dai loro paesi; scortate da minacciosi butteri di uomini; respinte da nuovi fili spinati. Cosa mangeranno; cosa berranno; dove si ripareranno dalle intemperie; dove dormiranno, si laveranno, defecheranno; chi consolerà quei bambini che trotterellano dietro a genitori disperati, come cerbiatti neonati, obbligati ad alzarsi subito e correre? Se il virus non avrà un minimo di pietà, sarà una catastrofe: senza tamponi, ospedali, letti, ventilatori, medici, infermieri, bare. Oggi sono scomparsi dalle televisioni: è una vergogna vivere nello stesso pianeta, inerti, cercando di non pensarci. Come potranno non odiare i persecutori di oggi?
Non possiamo non reagire, ammaestrati dalla tempesta, per rifondare la convivenza fra i popoli: ci si presenta una condizione comparabile a quella che nel dopoguerra ha fatto nascere l’Europa, di cui oggi appare evidente l’indispensabilità. È l’ultima chiamata per farne tesoro.
Di Mario Tosti