Giovedì, 18 Aprile 2024

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Il "partito di Franceso"

Politica: Papa Francesco è l'unico leader mondiale a opporsi al neoliberalismo e alla destra americana

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Cultura non è l’apprendimento di nozioni, ma relazione tra le persone, con la storia, con culture diverse dalla nostra, con le scoperte fatte da altri, con tutti gli aspetti, materiali, storici e sentimentali che determinano la bellezza e la tragicità della nostra avventura umana. E invece crescono metropoli sempre più invivibili (il 65% della popolazione mondiale vive nelle metropoli o in contesti urbani), nelle quali le persone trascinano una depressa esistenza, privandosi di due elementi fondamentali della vita: lo spazio e il tempo. L’homo demens, cioè la nostra dimensione antropologia attuale come prolungamento dell’homo economicus, nella sua ibris distruttiva e autodistruttiva, pensa possibile rovesciare e cancellare i principi basici di una natura planetaria che è ben più antica, intelligente e “sapiens” di noi uomini “demens”. E che, per fortuna, sopravviverà alla nostra violenta, incolta e arrogante stupidità, sputandoci come un osso di oliva fastidioso e inutile. La pandemia non è colpa della natura o del virus, i carnefici siamo noi, è l’umano, l’animale più patologicamente ripetitivo, violento e stupido che popoli il pianeta.

Per denaro e potere distruggiamo habitat naturali, acqua e aria. Brutalizziamo animali che normalmente arrivano alla maturità dopo 5 anni, gonfiandoli di porcherie e antibiotici per metterli sul mercato dopo 5 mesi e mangiare carne infetta che invece di nutrirci ci ammala. Il 75% della carne venduta sul mercato viene da allevamenti intensivi nei quali gli animali non vengono nutriti con prodotti della terra. L’agricoltura tradizionale viene distrutta, le policolture cancellate per far posto a monocolture imposte dall’agroindustria.

La McDonaldizzazione del mondo e il “fast food” sono la cifra di una “fast life” patologica che sta consumando l’ambiente e le nostre vite, segnate sempre più dal consumismo bulimico di folle solitarie che deambulano, si accalcano e si combattono in metropoli invivibili, muovendosi al ritmo nevrotizzato di chi scambia il movimento per l’azione.

NIENTE RESTERA’ COME PRIMA?

Quali sono i soggetti del cambiamento (politico, economico, ambientale, morale) nelle istituzioni internazionali e nazionali e i segnali che indicano una inversione di tendenza? Cambierà, si dice, perché è un trauma troppo grande. Ma nella storia degli individui e delle nazioni non di rado al trauma si è risposto con la rimozione, come meccanismo di difesa che consente la continuità identitaria. E non di rado, nella storia, i traumi hanno prodotto la guerra. L’ecatombe della prima guerra mondiale, l’umiliazione del trattato di Versailles, la pandemia della Spagnola, la crisi del ’29 hanno spianato la strada alla tragedia della seconda guerra mondiale. Lo sport delle nazioni e dei popoli europei è storicamente stato quello di massacrarsi a vicenda, l’Unione Europea è nata non come risposta alla guerra ma come risposta alla bomba atomica, è nata dal timore che un’altra guerra avrebbe potuto essere l’ultima. Quel timore ha forse fatto poi maturare una nuova consapevolezza pacifista? Tutt’altro. Dopo Usa e Urss anche due paesi europei, Inghilterra e Francia, si sono dotati dell’atomica, hanno aiutato altri (India, Pakistan, Israele) a costruirla, gonfiando di potere e di soldi gli apparati militari industriali e riprecipitando il mondo nelle guerre e nel rischio della catastrofe nucleare.

Viviamo tempi bui nei quali le politiche democratiche sembrano aver cessato di resistere alla dittatura incondizionata dei poteri forti economici e finanziari, delle grandi banche d’affari, delle multinazionali, di quei pochi oligarchi globali che stanno diventando padroni della politica, dei parlamenti e delle nostre stesse vite. Viviamo un tempo nel quale l’Europa, invece di affermare il meglio della sua tradizione liberale, libertaria, umanistica e sociale, si comporta come una prostituta sempre più anziana che, invece di cambiare mestiere, continua a vendersi abbassando il prezzo delle prestazioni per stare sul mercato. Facendo guadagnare il suo protettore/padrone, gli Stati Uniti. Viviamo un tempo nel quale la sinistra storica, in stato comatoso ovunque, si è trasformata in non-sinistra, in cameriere ubbidiente e a basso costo utilizzato per spacciare ai clienti il cibo avariato di un menù fatto da altri. Non abbiamo alcun conflitto con la Russia, ma se gli Stati Uniti impongono le sanzioni noi le mettiamo, anche se questo significa perdere un mercato di vicinato e il 30% di esportazione dei nostri prodotti agricoli. Non abbiamo alcun contenzioso con l’Iran, ma quando Trump ci dice di smettere di fare affari con quel paese noi ubbidiamo, perdendo milioni di euro. Abbiamo il 135% di debito pubblico rispetto al Pil ma continuiamo a buttare risorse immense comprando aerei F35, sottomarini e sofisticate armi offensive perché la Nato e Trump ce lo impongono.

Ci chiedono di partecipare alle devastanti guerre, in Iraq come in Libia, che hanno destabilizzato il mondo, costretto all’esodo migliaia di profughi verso l’Europa e rafforzato a dismisura i gruppi terroristici, e noi, complici e autolesionisti, andiamo. Il neoliberismo oggi costituisce il più feroce attacco alla civiltà umana da decenni a questa parte, alla pace, alla natura, alla possibilità stessa di continuazione della vita umana in questo pianeta.

IL “PARTITO” DI FRANCESCO

Uso una metafora (che spero nessuno prenda alla lettera) non solo per esprimere da laico la condivisione di un messaggio, quello di Papa Francesco, rivolto a tutti e che interroga tutti. Ma anche per evidenziare l’inscindibile legame tra cambiamento e rappresentanza. Il cambiamento è sempre il prodotto di una domanda collettiva, ma questa domanda per affermarsi ha bisogno di essere rappresentata nella politica, nei governi, nei parlamenti, nelle istituzioni internazionali e nazionali, negli organismi economici e di regolamentazione del commercio, negli organismi di tutela dei diritti umani.

Purtroppo, e per fortuna, papa Francesco è oggi l’unico leader mondiale che affronta questi temi epocali con appassionata, lucida e coraggiosa consapevolezza. «Discorsi populisti e decisioni politiche di tipo selettivo mi ricordano i discorsi di Hitler nel 1933, più o meno gli stessi che qualche politico fa oggi», ha detto in un’intervista. E ancora, «ci rendiamo conto che tutto il nostro pensiero è strutturato attorno all’economia? Si direbbe che nel mondo finanziario sacrificare sia normale». «Non so se il coronavirus è la vendetta della natura – ha affermato – ma di certo è la sua risposta. Non abbiamo dato ascolto alle catastrofi precedenti, bisogna contemplare e riconnettersi con la natura». «Mi preoccupa – ha concluso – l’ipocrisia di tanti personaggi politici che dicono di voler affrontare la crisi, che parlano di fame nel mondo e mentre ne parlano fabbricano armi».

Frasi semplici, ma che costituiscono un vero e proprio programma politico, le basi per un codice di valori, per un manifesto di intenti rivolto a tutti. Oggi se interrogassimo i cittadini sull’urgenza di tutela dei beni comuni, della sanità pubblica, della scuola e della cultura, della pace e del disarmo, sui diritti, sullo strapotere delle multinazionali e sulla rivitalizzazione dei processi democratici, sono certo che la larga maggioranza la penserebbe come noi.

Ma questa maggioranza oggi non ha rappresentanza. Per quanto terrificante possa apparirci la situazione mondiale, l’unica cosa che non possiamo permetterci è la disperazione e la rinuncia. Ci sono grandi intellettuali, economisti, scienziati, Greta Tunberg e tanti giovani, politici come Alexandra Ocasio Cortez e Bernie Sanders negli Stati Uniti, movimenti, associazioni, Ong, cittadini di ogni parte del pianeta consapevoli dei rischi e impegnati a combattere le ingiustizie. Una rete ricca che va estesa, rafforzata, connessa. Che deve passare dalla testimonianza al governo. Per resistere alle ingiustizie e alle guerre. Per cambiare in meglio il corso della storia.

Di Luciano Neri


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