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LAVORO. Ceramica: la riscoperta di una tradizione antica

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Crisi, precarietà, licenziamento, delocalizzazione; ormai da qualche decennio sono concetti questi che fanno parte del nostro linguaggio quotidiano e ci scivolano in bocca come acqua fresca. Pian piano siamo stati, come dire, abituati, educati alla condizione esistenziale di chi deve stare sempre in bilico tra la sopravvivenza e il fallimento. Ci sono state inoculate paura e sudditanza in modo che imparassimo ad accettare la legge del più forte: il mercato; che con le sue regole ciniche e spietate ci rende indifesi, sacrificabili e indegni di una vita dove il diritto alla normalità sia garantito.

La nostra città da sempre è stata una fucina di artigiani: falegnami, fabbri, stampatori, tessitori, ceramisti. Queste professionalità erano il fulcro della nostra economia e in molti casi eccellenze anche in chiave nazionale e internazionale. Ora la maggior parte di queste, che chiaramente oltre al lato economico portavano con loro un patrimonio culturale e sociale inestimabile, sono state per vari motivi contingenti, e comunque sempre riferibili a scelte politiche ed economiche ridotte ai minimi termini e marginalizzate.

Con questo articolo ci vogliamo occupare di un caso, dove la caparbietà, il coraggio e l’amore per la ceramica di undici ragazzi e ragazze sull’orlo del licenziamento ha saputo dare vita a una vicenda che vale la pena raccontare.

ceramiche1Nei primi mesi del 2019 Ceramisia, azienda tifernate operante nel settore della ceramica, comunica ai dipendenti l’intenzione di delocalizzare la produzione in Armenia; dunque, tutti licenziati. È stato un colpo durissimo. Ma come in ogni situazione ci sono due modi per reagire: subire e lasciarsi prendere dallo sconforto, oppure assumersi delle responsabilità e farsi carico del proprio destino in maniera attiva. Superata dunque l’impasse iniziale gli allora operai, si sono dati da fare, si sono informati, organizzati e grazie anche al supporto prezioso di CGIL Città di Castello, Lega Coop e cosa non da poco rilievo di alcuni clienti importanti che già conoscevano le loro capacità nel fare prodotti di ottima qualità, hanno dato vita ad una cooperativa di undici soci con la quale di fatto hanno rilevato l’azienda.

L’unione fa la forza, così the fab eleven( questo il nome con cui mi piace chiamarli) hanno messo a disposizione e versato la loro disoccupazione NASPI come capitale sociale, e usato il TFR di tutti per comprare e ricomprare dalla vecchia proprietà i macchinari e tutto il necessario per dare il via a questa nuova impresa. Così è nata “Ceramiche Noi”, un nome che parla da solo e ci permette di capire quanta passione e poesia c’è nel gesto dei “fab eleven”. Un gesto che ha lasciato un segno anche sulla pelle (la foto del titolo è un tatuaggio che i fab eleven si sono fatti), che valica i confini del lavoro e diventa qualificativo del valore umano di ognuno di loro.

ceramiche2Sottolineo anche la scelta di mercato effettuata da "Ceramiche Noi", che non è stata e non è quella di concorrere o cercare di concorrere, peraltro inutilmente, con Paesi che esportano ceramiche puntando sulla quantità come la Cina o il Portogallo. Hanno scelto la qualità, forti delle loro competenze e consapevoli di quanto un Paese come il nostro non debba “gareggiare” a chi fa di più a minor prezzo, ma debba puntare sul “chi fa meglio”, e su questo permettetemi un moto patriottico nel dire che pochi al mondo quando si parla di artigianato e alta qualità sanno fare meglio di noi italiani.

In oltre “Ceramiche Noi” si avvale di collaborazioni con vari artisti della ceramica, investendo in ricerca e innovazione, cito fra tutti Luca Baldelli, personaggio di spicco nel mondo della ceramica locale e artista di fama nazionale per quanto riguarda il lavoro e la ricerca sulle ceramiche. Anche questo, devo sottolineare, non è solamente Impresa, ma rappresenta il tentativo di ricreare unità nel tessuto sociale economico e imprenditoriale dai quali negli ultimi decenni l’arte e gli artisti sono stati praticamente esclusi.

ceramiche3Un’azienda veramente in salute dunque, soprattutto mentale con una capacità produttiva, semmai ci fosse tale richiesta, di un milione di pezzi l’anno, ma che è votata alla qualità. Un’azienda che esporta principalmente in America, Canada e Australia. Un’azienda “miracolosa”. Un’azienda nella quale quando sono entrato, ho trovato undici magnifici sorrisi, undici persone orgogliose, un presidente in camice da lavoro che smaltava piatti e un vice presidente che guidava il muletto. La notizia della nascita di "Ceramiche Noi" ha giustamente fatto il giro di Tg e testate giornalistiche di tutta Italia, e crediamo sia anche nostro dovere dare rilievo locale a questa favola diventata realtà dove il “lupo capitalista” almeno per una volta non è riuscito a riempirsi la pancia. Lunga vita a "Ceramiche Noi", con la speranza che azioni e decisioni come la loro possano essere un’iniezione di fiducia ed un esempio per chiunque. 

di Andrea Cardellini


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