Il Coronavirus, diversamente dalle altre pandemie, rivela molti aspetti del nostro modo di stare al mondo con i quali non abbiamo voluto fare i conti. Secondo alcuni scienziati, Ilaria Capua in particolare, l'epidemia da Coronavirus non è la causa dell'infezione, ma l'effetto. Per meglio dire, il Coronavirus sta svolgendo il mandato che gli ha conferito madre natura, ma l'infezione principale è resposabilità dell'uomo che ha invaso in modo aggressivo spazi propri del mondo animale e naturale. «Le megalopoli moderne che invadono territori e devastano ecosistemi creando situazioni di grande disequilibrio nel rapporto uomo-animale», ha affermato esplicitamente la scienziata, stanno provocando una alterazione degli equilibri dei vari sistemi naturali, animali e quindi umani. Le pandemie, come si racconta in questo giornale, ci sono sempre state e in gran parte dipendono dalla vicinanza uomo-animale resa necessaria nei millenni dalla domesticazione per usi alimentari e lavorativi. Tuttavia negli ultimi 50 anni l’accelerazione con cui si sono ripetute ha avuto una singolare analogia con l’accelerazione registrata, su altri piani, da quelle economici finanziari e ambientali. Quasi che tra le tre dimensioni sussista un legame inscindibile che non siamo stati in grado di cogliere e che attualmente sta facendo cortocircuito.
Il Coronavirus ha spiegato come questo modello di sviluppo turbo-globalizzato travolga tutto ciò che è funzionale alla sua crescita economica, come se esso non abbia nulla a che fare con ciò che ci circonda. Il sistema di tutto ciò che è vivente è sottoposto a sollecitazioni che non è più in grado di sopportare e si ribella. L'ammalarsi è una forma di questo disequilibrio imperante: un sintomo, una spia. Basti pensare che il solo innalzamento delle temperature sta producendo la morte di circa 200mila persone ogni anno, ma ciò non desta preoccupazione se non nel settore sanitario. La cosa importante è che la macchina industriale non si fermi e che le sirene come Greta Thunberg vengano messe a tacere. Così l'uomo si ammala non solo nel corpo, ma non rispettando più il ritmo della natura e delle cose perde anche l'anima non riuscendo più a trovare un senso umano nella relazione con gli altri e con le cose.
Con la stessa pervasiva semplicità il coronavirus ha rivelato la fragilità estrema della vita, nel momento in cui la scienza e la tecnologia stanno celebrando i fasti di una diffusione continua e globale. Non che non lo sapessimo già, ma la modernità di cui siamo figli ci ha fatto credere che nulla sia più impossibile all’uomo, che nessun traguardo sia per lui irraggiungibile, che nessun limite possa essere di ostacolo alla sua bramosia di conoscenza, nemmeno quello della morte, ultimo e definitivo confine oltre il quale c’è l’immortalità. Eternizzare la vita rimane il suo obiettivo dichiarato. Poi arriva all'improvviso un virus, l'infinitamente piccolo, che fa crollare il castello dell'infinitamente grande, dell'infinitamente veloce e dell'infinitamente presuntuoso, dimostrando che il cosmo ha le sue leggi, i suoi ritmi, i suoi equilibri, e ammonendo di ristabilire un rapporto tra gli uomini e tra gli uomini e le cose dettato da una maggiore empatia, interesse e cura. Il virus che non conosce frontiere insegna che l’interdipendenza è la condizione vincolante della società globalizzata, che fa strame di populismi e sovranismi riducendoli a una mera espressione psicologica, coagulo di interessi egoistici in contrasto col dato reale che afferma l’indispensabilità dell’altro. Tutto ciò che esiste è coinvolto in una relazione di scambio nella quale si impone non solo il rispetto per ciò che l'altro è, ma anche per i suoi tempi, per i suoi pensieri, per tutta la costellazione delle sue abitudini. Si tratta di un allargamento dei confini interiori che fino a ora non avevamo provato nè sperimentato. Il nostro modo di pensare, qualcuno afferma la nostra psiche, è empatica nei confronti di ciò che ci è prossimo: la famiglia, gli amici, la comunità, la nazione. Oggi ci viene rivolto l'invito a compiere un salto di umanità, verso una empatia che si estenda fino ai confini della terra e includa tutti e tutte le cose, nessuno escluso. Per compiere questo salto occorrono sprattutto pensiero, educazione affettiva, ricerca, saper guardare oltre quelle frontiere che il coronavirus ha dimostrato essere barriere illusorie.
IL CORONAVIRUS È L'EFFETTO DELLO STRAVOLGIMENTO DEL RAPPORTO UOMO-NATURA |
Esattamente il contrario di quello che stiamo vedendo oggi in quel confine tra Grecia e Turchia che è diventato, come afferma Marco Revelli, la massima espressione del disumano davanti ai nostri occhi. Migliaia di esseri umani, soprattutto donne e bambini profughi di tutte le guerre del Medio Oriente – fatte per procura a garanzia degli interessi non negoziabili dei paesi occidentali, ovvero i nostri –, mossi dall’istinto primordiale della sopravvivenza si spingono in massa verso un’Europa culla di civiltà e ignara del suo passato di morte e di volontà di emergere dalla barbarie del disumano. Gesti primari, espressione della cura, della vicinanza, del bisogno di protezione, cose che il mondo occidentale, virtualizzato in tutti i suoi aspetti di vita, sembra aver dimenticato. Il coronavirus ci costringe a un rigoroso atto di presa di coscienza. Questa battaglia, ha sostenuto sempre Ilaria Capua, non si vince solo con la medicina, ma con la collaborazione di tutti, con la modifica delle nostre abitudini di vita. In altre parole i cambiamenti della politica non avverranno se non partono da una profonda e radicale trasformazione di se stessi, che è la premessa per ogni cambiamento reale. Gli uomini non sono atomi sperduti, ma nodi di una rete in relazione tra di loro, e se cambia un punto si "contagiano" gli altri, esattamente con una progressione simile a quella del coronavirus. Molti movimenti affermano questa semplice verità da molto tempo e ora chiedono una cittadinanza allargata, una rappresentanza consapevole. E sono ovunque in tutto il mondo come "focolai" pronti a svolgere il loro lavoro positivo.
di Antonio Guerrini