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Quel carnevale del 1903

carnevale1Questa è una cronaca frivola ma con cento­diciassette anni sul­le spalle da meritarsi tutto il rispetto. È la cronaca di un Carnevale datato 1903 a Città di Castello, desunta dai periodici che in quel tempo si stampavano nella vecchia Ti­ferno: La Rivendicazione (socia­lista), L’Altotevere (monarchico), Unione Popolare (Repubblica­no), solo per citarne tre. Giorna­li che fra l’altro hanno fermato momenti ludici di vita cittadina, che altrimenti si sarebbero dilu­iti nel nulla. Certo, momenti fri­voli, effimeri quanto si vuole, ma che aiutano a capire come erava­mo in questa città dal “campani­le tondo”. 1903: ignoti cronisti raccontano il Carnevale di quell’anno; uno di loro così esordisce: «Il Carne­vale avanza a gran passi, forie­ro di champagne e danze. Morir si deve, morir dobbiamo, ma vivaddio, ora che ci troviamo, bene o male che sia, in questa valle di lacrime, perché non dob­biamo fare di tutto per rendere il soggiorno il meno possibile no­ioso?...Che si cominci». Il primo rione ad aprire le danze in quel febbraio è «quello di San Giaco­mo, a mezzanotte ci fu un ban­chetto pantagruelico con una varietà di menù da commuovere anche lo stomaco meno suscet­tibile: vino a fiumi, brindisi con rime particolarmente applaudite di Baldeschi (agronomo e poeta dialettale) e Gualtierotti…poi iniziarono le danze e si diverti­rono un mondo!». La sera dopo è la volta del rione Prato «veri veterani dei sodalizi carneva­leschi tifernati. Furono invitati quelli del rione San Giacomo, suggellando così un patto d’a­micizia…».

Seguiranno poi le società di Rignaldello, del “Gor­gone”, del “pallone”, dei “risor­ti”. Ha qualcosa da dire anche la società del centro «la quale ha iniziato il suo tour carneva­lesco con un sontuoso pranzo alla Trattoria del Gallo (era in Via Plinio il Giovane, all’angolo con Via Guelfucci). Generalmen­te queste veglie si svolgevano al teatro Bonazzi (più tardi sarà il Vittoria, oggi un cumulo di ma­cerie che deturpano una stori­ca piazza); la sera del venti «si aprono le sale del circolo tifer­nate dove si dà convegno la città bene (si fa per dire), una elegan­te cavalcata di signore e cavalie­ri in maschera»; due sere dopo «eccezionale apertura del teatro dei signori accademici Illumina­ti per ospitare il veglione della “società orchestrale cittadina”» e sempre quella sera «nelle vaste sale dell’albergo Tiferno pranzo luculliano e festa da ballo del­la società del rione Sant’An­tonio (l’albergo a quel tempo era ubicato dove oggi è la Tela Umbra)» e sempre in quei gior­ni «splendido ed invero attra­ente lo spettacolo del “festival” nell’ampia corte del palazzo Bufalini (sotto le logge) adibi­ta ordinariamente a mercato e tramutata in elegante sala ric­camente addobbata di panneg­giamenti e fregi, coperta da un grande padiglione di tela.

Qui si balla per ballare. Non abbiamo mai visto tanta verve e anima­zione. Non sarebbe il caso di fare la copertura delle logge non con una tela, ma di vetro?». La Cassa di Risparmio accontente­rà l’ignoto cronista con qualche polemica dei socialisti non en­tusiasti «di spendere soldi per questa copertura, ritenendo i portici laterali capienti per chi vuole ballare» e si balla anche alle sale dei Banicchi di via San Florido «con le sale sempre gre­mite di ballerini della città e della immediata campagna» ed ecco l’ultimo giorno di Carneva­le «i rioni uniti organizzano una fiaccolata che illumina la cit­tà. Il corteo dei luminari parte dall’abitazione di Giuseppe Pol­chi a Rignaldello, con in testa la banda comunale e la fanfara del collegio “Serafini”. I coriandoli ricoprono le scolorate faccine delle damigelle, i visi burberi delle mamme e gli ingialliti volti dei cavalieri…». Ormai è tardi, quel Carnevale del 1903 sta esalando l’ultimo respi­ro. Anche le castagnole hanno smesso di “friggere nell’unto”, se ne va anche il loro profumo a far compagnia all’ultimo coriandolo che il vento sospinge lontano.

di Dino marinelli


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