Strage di stato
Ci sono voluti quarant’anni per chiudere l’inchiesta sui mandanti della strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980. È stato l’attentato terroristico più grave del secondo dopoguerra, che ha causato ottantacinque morti e duecento feriti, nell’ambito di quella strategia della tensione che ha coinvolto apparati deviati dello Stato, P2 ed estremisti di destra.
I pubblici ministeri sono arrivati alla conclusione che il tessitore delle trame oscure era Licio Gelli, in combutta con Umberto Ortolani che fungeva da finanziatore, ma che il manovratore all’interno dello Stato era Federico Umberto D’Amato, il potentissimo capo degli Affari Riservati del Viminale, coadiuvato da quel Mario Tedeschi che ha pianificato l’attentato e ha provveduto al depistaggio delle indagini. La manovalanza per la strage l’hanno fornita Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, tutti condannati all’ergastolo. L’anello mancante in questa ricostruzione è l’ex estremista di destra Paolo Bellini, che la Procura ha riconosciuto come la persona che si aggirava sul posto la mattina del 2 agosto, subito dopo l’esplosione.
Quello che colpisce in tutta questa vicenda non è solo il finanziatore occulto che faceva transitare due milioni e mezzo di dollari nelle casse dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari), come documentano i pizzini trovati a casa di Gelli, ma la presenza di uomini del Sisde, ex carabinieri, faccendieri legati all’estrema destra neofascista. La Procura della Repubblica di Bologna ha individuato i mandanti e gli esecutori della strage, ma spetta a un’opinione pubblica accorta far sì che queste tragedie non si ripetano. Il fascismo, bandito dalla Costituzione italiana, è tutt’altro che sconfitto e si presenta con un volto sempre più aggressivo e provocatorio. La memoria della strage di Bologna può servire a ricordarcelo.