Marco Lodoli. Giornalista, scrittore e insegnante di italiano
La sua è una confessione appassionata: «Ho sessantadue anni, arrivo a scuola in vespa, sotto la pioggia, sotto il sole, percorro quindici chilometri e tutte le volte scatta in me quella molla, la voglia di stare lì tra i ragazzi». Il mondo della scuola lo preoccupa: «In quelle due o tre ore le mie cellule si spengono. Affondo in questioni di pedagogia pedagogica, di programmazione, di corsi specializzati. Eppure leggo dieci libri al mese, faccio il critico cinematografico, conosco bene la musica, l’arte, ho scritto molti libri. Ma quello che succede nel mondo della cultura, della scienza, dell’arte sembra che non interessi gli insegnanti». Lodoli ha un figlio quindicenne che aveva preso una nota perché invece di dedicarsi alla lezione si era alzato in piedi. In Finlandia, ad esempio, le ore sono di quarantacinque minuti perché i ragazzi devono essere lasciati liberi di ricaricarsi. È un diverso modo di intendere la scuola.«Quando ho detto alla preside che sarebbe stato più significativo aggiornarsi sui contenuti, su quello che sta succedendo con Trump in America o in Italia, sul cinema del nostro paese o dove va la filosofia attuale, i miei col- leghi mi hanno guardato come se fossi scemo. L’aggiornamento oggi consiste nel modo di usare il registro elettronico».
Il discorso di Lodoli non è certo un invito allo scoraggiamento e la scuola non è una scatola grigia dove entri e muori ogni giorno. Ha incontrato insegnanti che gli hanno fatto leggere Beckett e Ionesco, la letteratura e i surrealisti, gli hanno fatto scopri- re l’arte come un meraviglioso tendere verso l’infinito interno e l’infinito esterno, altro che rispondere a dei quiz, dei test e delle griglie. Ha visto docenti che entrano a scuola tremando perché non hanno finito la programmazione e ne escono con senso di colpa. Ci si perde in un bicchier d’acqua, mentre il mondo vibra, suona, rotola, avanza e se non invertiamo la rotta faremo la fine degli Ittiti e degli Etruschi.
Il rapporto tra adulti e ragazzi
A parere di Lodoli il rapporto tra ragazzi e adulti è profondamente cambiato. Un tempo l’educa- zione scendeva dall’alto verso il basso: i genitori, gli insegnanti, i fratelli più piccoli. A tutto questo ci si ribellava, c’era un confronto, una dialettica. Oggi invece questo scambio è totalmente orizzontale. Con suo padre Lodoli ha litigato moltissimo, ma siccome era una persona onesta, potevano parlare di politica e di cultura. «Lui mi ha influenzato nella vita, come tutti i padri, e anche io ho influenza- to lui cambiandogli certi punti di vista. Questa dinamica si è affievolita e in un certo modo va riconquistata. I miei figli non prestano molto ascolto, nemmeno per liti- gare. Si crea una distanza siderale e si realizza una comunicazione orizzontale, attraverso il Web». Nella relazione tra giovani e adulti non c’è più posto per l’autorevolezza. Ogni settimana Lodoli scriveva su Tiscali un articolo su diversi argomenti, dal cinema alla scuola, ma appena pubblicati fioccavano commenti scurrili che non vale nemmeno la pena di ricordare. Un gioco al massacro, come di insetti che strisciano sullo stesso piano. Quello dell’autorevolezza è uno dei grandi problemi del nostro tempo perché mancano i maestri, sia in senso altissimo, sia in quello quotidiano, come la nostra maestra di scuola o quell’insegnante che ci ha cambiato la vita.
Un futuro solitario
Allargando l’orizzonte sui problemi sociali, Lodoli si rende conto che il futuro dei giovani è un futuro solitario. Sono tutte scialuppe in mezzo al mare, ma il discrimine è tra chi il futuro ce l’ha e chi non ce l’ha e non esistono ponti. Sono mondi separa- ti e non c’è avvicinamento tra le classi sociali. «Quando andavo in vacanza da mia nonna a Monfalcone, frequentavo i figli degli operai dei cantieri navali che mi davano i libri di Majakovskij, di Beckett, Garcia Marquez. Per loro la scuola era diventata una vera crescita umana e un’apertura di possibilità. Oggi questo non accade più. C’è chi viaggia in prima classe, chi nei carri bestiame e chi addirittura va a piedi. C’è un’ingiustizia clamorosa, una società meno attenta ai bisogni del prossimo che non si preoccupa degli esclusi. Chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori. Il problema è che quelli che sono fuori sono sempre più numero- si. Lodoli ha spiegato ad alcuni studenti americani quale fosse la situazione culturale italiana e si è reso conto che essi pagavano 80mila euro l’anno per studiare. Un mondo accessibile per alcuni e inaccessibile per altri.
Nonostante l’ingiustizia sociale che ha appena descritto, Lodoli non accetta la spartizione bina- ria tra buoni e cattivi e cerca di creare intorno a sé una corrente positiva, una visione nuova dell’esistenza. Occorre superare l’idea che la vita sia una guerra di tutti contro tutti e recuperare la dimensione umana. Perfino nella scuola elementare non si prepara il futuro, ma solo tanti “curricula” in competizione fra loro. Per questo le persone accumulano frustrazioni e sconfitte. Il compito più urgente è recuperare fiducia nell’esistenza, negli altri, nell’anima, in Dio e sganciarsi dall’asse della competenza e dell’abilità. Certo, conclude Lodoli, la scuola deve formare i ragazzi, ad ascoltare se stessi, amare di più gli altri, coltivare la propria tradizione artistica. In fondo serve creare nella scuola una comunità, altrimenti la società si sbriciola in tanti frammenti, come schegge impazzite.