Donne che dicono di no

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Eccolo l’esercito del Papa. Lo presentiamo in copertina, ed è costituito prevalente mente da donne. Sono loro le protagoniste indiscusse della fase attuale della politica nazionale e mondiale. Sono loro che con l’esempio sostengono di fatto quello che papa Francesco sta dicendo da quando è salito sul soglio di Pietro: questa economia uccide, emargina, considera gli essere umani scarti, esuberi da buttare; e aggiunge che il pianeta ha bisogno di una cura di ecologia integrale, se si vuole ridare speranza al futuro. Alla sua sequela si sono avvicinate in tante, come le pie donne che ebbero il coraggio di non tradire e accompagnare Gesù Cristo nell’ultimo percorso, il più difficile: la Via Crucis. Non si chiamano Marta, Maria o Maria Maddalena: hanno altri nomi, altri volti, altre storie, ma tutte sono schierate in difesa degli ultimi, dei diritti umani e della verità. Non sappiamo se siano pie o credenti, ma hanno capito che bisogna porre fine a queste migliaia di croci e di morti senza scopo e senza fine. Vengono, come il papa, da un altro mondo, da altre culture, altri credi, ma si ritrovano insieme a sostenere lo stesso principio: la vita è sacra e inviolabile, viene prima di qualsiasi altra considerazione. Prima bisogna salvare gli esseri umani, poi discutere, ossia dare la parola alla politica.
La loro voce sta mettendo in difficoltà sovranisti, suprematisti e dittatori in tutto il mondo, più di qualsiasi altra forma di opposizione. Sono donne determinate.

foto due donne che dicono noSono madri e sono figlie e si sono alzate in piedi per dare voce a chi voce non ha. Sono donne coraggiose che hanno seguito con determinazione il loro istinto che le porta naturalmente a tutelare la vita. Sono donne che obbediscono alla legge del cuore, ossia dell’essere in quanto tale, e dell’intelligere, ossia della ragione. Cuore e ragione, essere e intelligere sono i tratti distintivi che conferiscono agli esseri umani un rango superiore a ogni altra espressione di vita sul pianeta. Abbiamo dedicato la copertina a loro perché in questa sceneggiata globalizzata dei sovranisti e aspiranti dittatori o dittatori intronati che chiudono i confini, che chiudono i porti, che costruiscono muri e lager chiamati eufemisticamente campi profughi, che rinchiudono bambini dentro gabbie separati dalle loro madri, queste donne affermano con forza che l’obbedienza in certi luglio-agosto 2019 casi non è una virtù, e che ribellarsi non solo è un diritto, ma un dovere. Come Carola Rackete, che ha rifiutato il salvacondotto per tornare in sicurezza in Germania, preferendo sottoporsi al processo del tribunale italiano e accettando fino in fondo il rischio del carcere. Non è scappata al giudizio come ha fatto il suo “sbruffoncello” persecutore Ministro dell’Interno Salvini, che invece si è fatto lanciare un ignobile salvagente dal Tribunale dei Ministri, per sfuggire al processo che lo vedeva imputato nel sequestro della nave Diciotti.


     C’è il volto di Greta Thumberg in questo scorcio di primo millennio a dominare la scena apocalittica dei cambiamenti climatici, una bambina svedese che con la sua semplice e accorata protesta ha messo con le spalle al muro i potenti del mondo, mobilitando milioni di giovani che per la prima volta entrano nella scena ondiale come nuovo soggetto politico. C’è il volto del Gip Alessandra Vella che ha liberato Carola Rackete senza chinare la testa al diktat del Ministro dell’Interno; c’è il volto di Francesca Mannocchi, la coraggiosa giornalista freelance che ha svelato al mondo l’ipocrisia dei campi profughi voluti dall’Italia e dall’Onu in Libia, in cui la vita delle persone è sottoposta a violenze, torture, stupri, morte. C’è il volto di Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano Cucchi, che da sola ha sconfitto un intero apparato di Stato, portando a galla la verità sulla morte del fratello. Ci sono i volti di giornaliste come Daphne Caruana Galizia, uccisa a Malta perché aveva messo il naso sul traffico di petrolio e di armi, che vedeva coinvolti alti esponenti del suo governo; un destino, il suo, simile a quello di Anna Politovskaja, la giornalista russa assassinata per aver svelato al mondo le atrocità commesse dal dittatore Putin in Cecenia.

     Ci sono i volti della giornalista Federica Angeli, sulla cui testa la criminalità ha emesso una sentenza di morte. C’è il volto di Alexandria Ocasio Cortex, la democratica americana che si ribella alle politiche trumpiste. C’è Nasrin Sotoudeh, l’avvocato iraniano che per difendere i diritti umani nel suo paese si è guadagnata 38 anni di carcere. Ci sono soprattutto i volti delle donne sudanesi che hanno dato un contributo determinante alla caduta del dittatore Bashir, con una leader di 22 anni, Alaa Salah, una studentessa che ha gridato in faccia al dittatore e al mondo musulmano: «Vogliamo essere libere. Vogliamo cambiare il mondo», assieme alle donne dell’Arabia Saudita, che in modo più silente ma crescente dicono le stesse cose. Sono loro a tenere accesa la speranza di una ripresa delle primavere arabe. Non tutto è perduto. C’è speranza