INSEGNANTE PER CASO
A partire dai primissimi anni ’70 si sono succedute una lunga serie di riforme normative che hanno sottratto la scuola dal retaggio gentiliano di “scuola esclusivista” per avviarla oggi lungo la strada dell’essere una “scuola per tutti, secondo i bisogni di ciascuno”. Se da un lato abbiamo una normativa ambiziosa, dall’altro abbiamo una messa in opera quantomeno artificiosa. Il reclutamento dei docenti, la loro formazione richiesta come necessaria e fondamentale, è stata più volte rivista, corretta, cancellata, riscritta, ricorretta, ricancellata e riscritta di nuovo. Un po’ come una Penelope isterica, il Ministero e tutte le sue commissioni hanno messo più volte le mani su questa tela intricata tessendola e disfacendola con un ritmo frenetico, senza fine e quasi senza senso.
La classe docente ha rappresentato negli anni un elettorato facile e questo, complici i sindacati, ha di fatto reso possibile una certa malleabilità dei criteri. Entrare in una classe adesso richiede come non mai una certa professionalità, fatta di basi pedagogiche, conoscenze culturali e normative, oltre che una naturale predisposizione all’insegnamento, alla guida. Molti ti dicono: «Sono diventato docente per insegnare la materia». Che vuol dire insegnare la materia? Salire in cattedra e asetticamente parlare di asintoti, basi e acidi e Leopardi dando definizioni, citazioni e risultati di reazioni senza pensare al pubblico di fronte? No, questo non risponde più all’essere docenti oggi. Il docente che oggi entra in classe deve oltrepassare quella soglia non con la stessa disinvoltura con cui entrerebbe in qualsiasi altro ambiente, ma con la consapevolezza che sta per entrare in 1B piuttosto che in 1F. Che ogni classe ha i suoi alunni con le loro particolarità e il suo compito non è quello esclusivo di trattare degli asintoti piuttosto che delle titolazioni acido-base, ma di fare in modo che ciascuno di quegli alunni che costituiscono la 1B realizzino il proprio successo formativo. Che è un concetto più ampio, maggiormente carico di responsabilità e che maggiormente necessita di competenze. Per questo non ci si improvvisa docenti dall’oggi per domani.Eh, già: non ci si improvvisa docenti dall’oggi per il domani!Eppure la realtà non dà conferma di quanto affermiamo. Il reclutamento dei docenti, materia di ogni governo che abbia fatto la storia, è stato sempre un terreno pieno di insidie. Se il reclutamento dei docenti ha destato non poche questioni, quello dei docenti di sostegno di certo lo ha superato di gran lunga.
Chi sono gli insegnanti di sostegno? Sono docenti formati negli anni con appositi corsi dalle sigle strane: TFA, SSIS, … , inseriti nelle classi laddove è presente almeno una certificazione ai sensi della legge 104/92 per facilitarne gli apprendimenti. Faraone aveva parlato addirittura di una iperspecializzazione in tutte le possibili diagnosi che si sarebbero potute trovare a scuola. Quindi: specializzazione - iperspecializzazione. Docenti altamente formati, insomma. Anzi, di più, di più.Già il fatto di dividere le competenze degli insegnanti all’interno di una stessa classe seppellisce il concetto di inclusione, perché sarebbe come dire: “questi alunni sono competenza mia”, “quell’alunno è competenza tua”, un po’ alla Checco Zalone: «i figli dei drogati a destra, i figli dei carcerati a sinistra». Ma il massimo dell’assurdo si è raggiunto quando il TAR, coi suoi ricorsi nominali, ha consentito l’accesso in graduatoria in seconda fascia (dove sono collocati coloro che hanno abilitazione, ma attendono accesso in prima) a coloro che sono in possesso di solo diploma di perito tecnico o operatore professionale.
Quando gli istituti nominano su sostegno intersecano le fasce delle graduatorie, che in totale sono tre, creando un’unica fascia ordinata secondo le tre fasce e poi per punteggio, per cui come esito di questo provvedimento tutti i diplomati di cui sopra “passano avanti” ai laureati. Quindi quello che è successo è che da un giorno all’altro, ti ritrovi a pianificare didattiche per alunni con “bisogni educativi speciali”, quindi che necessitano di “speciali attenzioni”, “professionali attenzioni”, persone che il giorno prima tutto pensavano tranne che alla scuola. Pure in fila alla cassa del supermercato si parlava di andare dai sindacati, perché loro avrebbero trovato il modo per entrare nel mondo della scuola a fare il sostegno.Come dicevo sopra, entrare in una classe adesso non è come 50/60 anni fa, quando arrivava il telegramma da qualche scuola di campagna e il maestro partiva in sella alla propria bicicletta pensando anche di procurarsi qualche “torcoletto” per accendere la stufa. Gli alunni arrivavano trafelati dai lavori in famiglia e non chiedevano altro che una leggera alfabetizzazione dopo la Guerra. Adesso quello che viene richiesto a questi docenti è ben altro che parlare di peso netto, peso lordo e tara. Parliamo di saper affiancare e lavorare con sindromi di Down piuttosto che con Asperger, Alti Funzionamenti, Disturbi Oppositivi Provocatori, Ritardi Cognitivi Gravi, Medi, Funzionamenti Limite, … e tutte le svariate forme che non stanno in mezzo alla campana di Gauss, che rappresenta la “Normalità”, ma tutte le sfaccettature che stanno sui rami ai bordi.
Tutto questo richiede una professionalità che non può essere improvvisata, che non si costruisce dall’oggi per il domani con Google alla mano. Richiede una preparazione approfondita e consolidata, sempre accompagnata da una naturale predisposizione all’empatia e alla relazione. Non si può pensare di arrogarsi il diritto di entrare in classe perché quella domanda era stata fatta perché non si sa mai, sulla scia di una rivoluzione iniziata da chi non ha avuto a cuore le vite di queste persone. Perché realizzare l’inclusione in queste condizioni è più una questione di fortuna o magari di scrupolo personale, che di professionalità. Invece uno Stato serio, una organizzazione seria, al servizio dei cittadini dovrebbe garantire il successo a prescindere, selezionando personale adeguato e non il primo capitato perché aveva fatto la domanda “che non si sa mai”, che quel giorno era dal parrucchiere e ha sentito che tutti entrano nel sostegno. Non si può entrare nella scuola pensando di fare il proprio tornaconto: ma sì, agli incontri di programmazione non vengo perché non servono a niente e pensando di fare i propri conticini: prendo dieci ore di laboratorio e otto di sostegno, così arrivo a cattedra piena. Non esiste una tale improvvisazione in nessun’altra professione. Non mi pare che chiamino all’ospedale dando l’opportunità di prendere due ore di sala operatoria, due in pronto soccorso e, perché no?!, due in radiologia così si va in pensione pure prima.
Forse prima di risolvere questa questione così intricata, dove gli interessi che concorrono sono di molti, riusciremo a trovare il Sacro Graal o addirittura l’ago nel pagliaio. Quello che è certo è che se non è lo Stato a garantire i diritti di chi ne avrebbe più bisogno, forse potremmo fare del nostro utilizzando un po’ di sana coscienza e di consapevolezza che non si può pensare di saper far tutto o di pensare a prendere e poi per il resto qualcuno provvederà. La vita, soprattutto di chi ha speciali bisogni, non va costruita sulle occasionalità o sulla fortuna, ma su solide basi che permettano una strutturazione di un progetto che prosegua anche oltre la scuola. Un insegnante può sempre far la differenza. In questi casi la fa di più.
Di Romina Ciribilli